L'acqua a Pisa
N
el 1300 la popolazione pisana
usufruiva delle acque dei pozzi, queste però non erano buone perché il
terreno era paludoso e costituito da acque stagnanti e terra grossa,
viscosa. Inoltre l'Arno straripava frequentemente e peggiorava la
situazione. Nei pozzi dell'orto del
convento di San Paolo a Ripa d'Arno l'acqua dopo alcuni anni diventava
salmastra.
I pisani a causa dell'acqua erano malati di cachessia, soffrivano
di deperimento organico, riduzione delle masse muscolari, avevano un
colorito giallognolo, le donne avevano il "gozzo".Il filosofo
francese Montaigne in sosta a Pisa durante un suo viaggio nel 500
scrive: "Ha un estremo difetto d’acque cattive, e c’hanno tutte
del paludoso".
Tutto questo non
succedeva alla popolazione di Asciano che godeva di un'acqua pura e
salutare.
Giacomo Mercuriale nel suo
"Trattato de' Bagni di Pisa" stampato a Francoforte nel 1602
scrive che " fu mandata a Pisa un'acqua molto salubre (saluberrimas)
proveniente dai monti vicini".
Antonio Cocchi, studioso di medicina scrive: " la città di
Pisa gode di un'acqua bevibile che in bontà non cede ad alcuna al
mondo, e forse supera le più famose."
Il progetto di
Cosimo I°
Cosimo I dei Medici (1519 – 1571) progettò di
portare le acque pure di Asciano dentro le mura di Pisa per mezzo di un
acquedotto sotterraneo costruendo un condotto forzato con presa diretta
dalle sorgenti. La conduttura sotterranea costava meno di quella
sopraelevata sugli archi e si presentava anche meno laboriosa,
considerando la natura instabile e paludosa del terreno sul quale gli
archi dovevano poggiare per arrivare fino a Pisa.
Il condotto forzato non dette tuttavia i risultati sperati ed il
progetto fu abbandonato.
La costruzione
Si decise di tornare al vecchio
sistema della condotta sugli archi, metodo usato per gli antichi
acquedotti romani.
Il nuovo acquedotto fu iniziato nel 1588 dal figlio di Cosimo I, il
granduca Ferdinando I e portato a termine nel 1613 dal figlio di questi,
Cosimo II.
Il costo dell’opera fu
di 16.000 ducati e finanziata con i proventi derivanti da imposte,
provvigioni, tassa sul sale e dai ricavi della vendita dei pini
tagliati. La mano d’opera impiegata fu massima e, in gran parte, del
luogo; per la costruzione furono utilizzati laterizi e pietrame dei
castelli diroccati ormai abbandonati.
Diresse i lavori per
primo l’architetto Raffaello Zanobi di Pagno che fu assunto nel 1588;
egli, dopo diversi sopralluoghi, cominciò i lavori inerenti allo scavo
di fondazione dei pilastri , le cui basi furono gettate nel 1592. Per la
costruzione furono necessari circa 1000 pini , custoditi gelosamente dai
Granduchi Medicei.Il provveditore alla Fabbrica Bastiano Manaccia inviò
una lettera al Granduca Ferdinando in cui tra l'altro dice
" Havendo già fornito di porre in opera li mille pini che altre
volte li concesse per fondare i pilastri di detto lavoro, supplico
S.A.S. che resti servite di darli licentia che si ne possino tagliare
altri per seguitare l'opera."
Il Granduca rispose stabilendo che alla Fabbrica delle Fonti spettassero
le entrate dovute alla servitù del taglio dei pini.
Nell’anno 1593
Raffaello Zanobi, ammalatosi si ritirò a Firenze; gli successe nei
lavori il nipote ingegnere, Andrea Sandrini. L’opera
comprendeva la conduttura montana e la costruzione di 954 archi, che per
una lunghezza di 6 Km da Asciano attraversavano la pianura paludosa e
arrivavano a Pisa in Piazza delle Gondole. Da qui andavano all’interno
della città portando acqua alle fontane pubbliche.
Descrizione
G
li archi appoggiavano su basi di fondazione
costituiti da pini conficcati nel terreno che sostenevano pilastri in
muratura di pietre e pietrame senza intonaco. In un primo tempo gli
archi furono tutti uguali così da sfruttare sempre le stesse centine.
Sopra gli archi fu fatta una muratura mista, a fasce
alternate, con ricorso a mattoni che ne regolarizzavano la struttura; al
di sopra di essi fu murata una canaletta di terra cotta, a cui fu
sovrapposta, in un secondo tempo, una spessa lastra di pietra che doveva
impedire al sole di scaldare l’acqua lungo il percorso e alla polvere
di sporcarla.
Il Granduca Ferdinando seguiva con interesse la
costruzione; un' incisione di J.Callot lo rappresenta mentre visita il
cantiere.
Nel 1595 dopo 40 mesi di lavoro, la condotta fu
ultimata; però per alcuni errori di progettazione, l’acqua stagnava e
non arrivava Pisa come avrebbe dovuto, quindi furono necessari lavori di
sistemazione. Nel 1613 l’opera fu completata mentre era granduca
Cosimo II.
Il Cisternone e
la casa del fontaniere
N
ella parte alta
della Valle delle Fonti si trovano il Cisternone e la casa costruita ai
primi del '600 destinata al fontaniere dell'Acquedotto Mediceo.
Il Cisternone, oggi in stato di trascuratezza e di abbandono, era stato
fatto costruire da Cosimo III e conteneva una grande vasca di raccolta
delle acque. Queste venivano regolate dal fontaniere che aveva il
compito di aprire e chiudere la saracinesca per lasciar passare solo la
quantità d'acqua necessaria.Questo compito spettò sin dalle origini
alla nobile famiglia dei Leoli.
All'interno della loggia
si trovano ancora due importanti lapidi, una del 1613 e una del 1617,
che ricordano i Granduchi Ferdinando I e Cosimo II in quanto
realizzatori dell' Acquedotto.
La prima lapide suona così:
ACQUAEDUCTUM A
FERDINANDO
MAGNO DUCE ETRURIAE III
SALUBRITATIS URBIS
INCHOATUM
COSMUS II. MAGN. DUX. III
PERFECIT ANNO MDCXIII
Nella seconda
lapide leggiamo:
COSMO II
MAGNO D.
ETRURIAE IIII
A. MDCXVII
Interventi di
restauro
L
'acqua in un primo
tempo fu data in proprietà all'Ordine di S.Stefano come dimostra
l'iscrizione posta al bottino sul fosso di Macinate, su cui spicca
l'insegna dell'Ordine.
La Fabbrica delle Fonti rimase sotto le dirette dipendenze del Granduca
sino al 1626 quando passò all'Ufficio Fiumi e Fossi che iniziò a
vendere l'acqua ad alcuni privati.
Nel 1632 furono necessari altri interventi di restauro: furono costruiti
i contrafforti per rendere più stabili i pilastri, furono pulite le
canalette dal calcare, furono riparati gli schianti. Alcuni archi furono
ricostruiti più alti e stretti
Il periodo
lorenese
Interessante è
osservare l' ultima parte dell'Acquedotto Mediceo che provenendo da
Asciano termina alle mura in piazza delle Gondole. Da qui una tubatura
sotterranea portava l'acqua ad alcune fontane della città, unica
risorsa idrica per gli abitanti. Le prime fontane furono quelle di
piazza
delle Gondole, piazza D'Ancona, piazza Martiri della
libertà, piazza S. Anna e piazza dei Cavalieri,
collegate da un condotto sotterraneo detto Condotto della Religione
costruito per fornire l'acqua ai Cavalieri dell'Ordine di S.Stefano che
risiedevano nell'omonima piazza. In seguito furono costruite altre
fontane alla Cittadella, in piazza delle Vettovaglie, in piazza della
Berlina, in piazza del Duomo, in piazza Mazzini.
L'acqua fu poi portata nella zona meridionale della città: qui troviamo
una fontana dopo il ponte della Fortezza, una in via S.Martino, una
sotto la Loggia dei Banchi, un' altra accanto alla chiesa della Spina.
Nel 1780 il Granduca Pietro Leopoldo, con una propria delibera (motu
proprio) conservò per la Valle di Asciano uno specifico divieto di
"Tagliar piante, disboscare, cavar ciocchi, fare debbij e ridurre
nuovo terreno a coltivazione"; era ancora il riconoscimento del
legame profondo tra le limpide sorgenti e gli alberi che offrono
regimazione e frescura.
Decadenza e
disuso
N
ella prima metà
dell'800 la quantità d'acqua non fu più sufficiente dato l'aumento
della popolazione ed una serie di anni particolarmente asciutti.
E' del 1848 uno studio sulle fonti di Asciano, nelle relazione si
sosteneva la necessità di acquisire allo Stato l'intera valle delle
Fonti a garanzia dell'integrità delle sorgenti. Con
l'Unità d'Italia (1861) il Comune di Pisa divenne responsabile delle
acque. In quegli anni
l'ingegnere capo dell'Ufficio Tecnico del Comune parlava dell'Acquedotto
come di " opera rimarchevole, ma avanzo d'altri tempi."
Crolli, radici, scarsa pendenza non
permettevano di evitare il ristagno delle acque.
Nel 1925 fu inaugurato l'acquedotto di Filettole che permise di portare
l'acqua a tutte le case della città.
Durante l'emergenza del 1943, quando questo acquedotto venne bombardato,
l'acqua di Asciano rimase la principale, se non l'unica fonte, per
l'approvvigionamento idrico della città.
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