Storia dell’artigianato Gardenese

Per comprendere la natura e il carattere dell’arte gardenese è necessario conoscere questa valle, ricca di ampi boschi e suggestiva per le sue splendide rocce dolomitiche. Essa ha dato origine ad una fiorente industria casalinga, quella dei giocattoli e dell’arte sacra e profana che ha valicato i confini dell’Italia e dell’Europa e ha conquistato fama mondiale.
La scultura del legno nasce grazie alla creatività della gente del luogo e all’urgente necessità di avere un’occupazione invernale che possa in qualche modo, compensare la scarsa fertilità dei terreni e l’insufficiente produttività dei masi. La produzione di figure in legno inizia nel XVII secolo, e vedrà lo sviluppo dal modello più elementare dell’artigianato domestico sino alla fabbricazione seriale e industriale. In questo percorso evolutivo non si è mai tralasciata la ricerca per l’originalità e per la massima qualità del prodotto fatto a mano da chi ha alle spalle generazioni di artisti artigiani.

Le prime forme di artigianato domestico di integrazione all’agricoltura
L’economia di sussistenza dei masi di montagna è stata fino al 1800 o addirittura fino al secolo scorso, alla base della sopravvivenza della popolazione gardenese.
La valle, essendo posizionata ad un’altitudine piuttosto elevata, che va dai 1150 di Ortisei ai 1700/1800 m dei masi più alti di Selva, ha un terreno che non è particolarmente fertile. Inoltre, il periodo in cui la terra dà i frutti è relativamente breve; d`inverno fa freddo e in cattive annate si dovevano cavare le patate e le barbabietole da sotto la neve con il piccone. Nella valle non crescono cereali e non ci sono le condizioni per vigneti o altri tipi di frutta. Fino alla metà del XIX secolo, l’allevamento di bestiame è stato, come è abituale nelle valli di montagna, il settore economico fondamentale per la maggior parte degli abitanti.
Il lavoro artigianale casalingo rappresentava inizialmente una fetta molto piccola del guadagno delle famiglie gardenesi e il lavoro nei campi non era particolarmente conveniente, sicché era praticato quasi esclusivamente per l’autoconsumo; si allevava bestiame da latte, buoi e in parte anche maiali. La popolazione dunque era piuttosto povera, anche se l’artigianato faceva sì che in Val Gardena si vivesse meglio che nelle vallate vicine.
I prodotti che i contadini producevano venivano venduti o scambiati per acquistare alimenti o attrezzature. Tipico dei paesi montanari era la scarsità di denaro contante, altra causa della necessità di produrre artigianalmente qualche prodotto da poter vendere sul mercato. Una di queste attività è la produzione di Loden, un particolare tipo di feltro che veniva utilizzato per cucire vestiti, caratteristici della cultura bavarese-tirolese. Nel XVI secolo il Loden della Val Gardena era il più pregiato e il più diffuso del Tirolo.
E’ soltanto nel XVII secolo che le donne e le fanciulle della valle iniziarono a lavorare al tombolo e gli uomini a intagliare il legno.

L’artigianato del lavoro al tombolo
Fino agli inizi del XIX secolo il lavoro al tombolo aveva grande importanza per l’economia della valle. Tutta la popolazione femminile, dalle ragazzine di sette anni, fino alle vecchiette di ottant’anni, svolgeva questo lavoro. L’abilità nel ricamo al tombolo a cui le donne erano giunte, spiega perché i costumi tradizionali gardenesi sono così riccamente ornati e curati nei minimi dettagli.
Per due secoli la confezione di pizzi aveva garantito alle famiglie un guadagno integrativo da non poco conto. Ma già intorno al 1830 solo donne anziane praticavano ancora quest’arte. I fattori che portarono al declino di quest’attività sono la crescente concorrenza di pizzi a minor costo provenienti da altre zone, la separazione del Tirolo del 1810 e la conseguente difficoltà di trovare mercati di sbocco e soprattutto la crescita esponenziale dell’esportazione di prodotti artigianali dell’intaglio nel legno.

L’artigianato della scultura del legno
È molto difficile stabilire di preciso in che data precisa l’attività della scultura in Val Gardena ebbe inizio, probabilmente si tratta di un processo che ha le sue origini all’inizio del XVII secolo. La prima documentazione è del 1625 e riguarda lo scultore Christian Trebinger che insieme ai fratelli Bartolomeo, Domenico e Antonio si specializzarono nella produzione dell’intaglio di oggetti ornamentali, cornici e supporti per orologi e mensole. Grazie a loro nacque la famosa dinastia dei Trebinger, mentre grazie a Melchiorre Vinazer di Santa Cristina si deve l’inizio della lunga attività della famiglia Vinazer.
Melchiorre Vinazer nasce l’11 settembre del 1622 e nel 1650 ottiene il diploma di scultore dopo aver svolto il proprio alunnato presso il maestro Rafael Barath nelle vicinanze di Bressanone. Ben sei dei figli di Melchiorre divennero scultori: alcuni perfezionarono la loro tecnica viaggiando e visitando città come Roma, Venezia e Vienna.
In questo periodo la scultura in legno non è ancora un’attività ampiamente diffusa in valle e spetta alle due famiglie Trebinger e Vinazer il merito di promotori della tradizionale scultura lignea gardenese. I loro studi e al loro perfezionamento presso maestri scultori e in accademie d’arte furono fondamentali per la definizione dell’identità culturale dell’artigianato gardenese.
Nel corso degli anni il numero di scultori iniziò a crescere, e nella seconda metà del XVII secolo la valle ne contava 50. Realizzavano vere e proprie opere d’arte che erano commissionate in prevalenza per le chiese.
La consapevolezza della gente del posto che la scultura potesse rappresentare un’importante fonte di guadagno, spinse molte famiglie contadine a produrre oggetti in serie, sia d’ordine sacro che profano. Poiché non potevano presentare alcun titolo di maestro d’arte, cercarono di specializzarsi nella produzione di giocattoli o di piccole figure del presepe.
Accadde poi che la vendita di opere d’arte su ordinazione stagnò, mentre l’esportazione di figure in legno e di giocattoli si espandeva anche oltre i confini del Tirolo. Nel 1680 le esportazioni erano verso Venezia, Genova, Lisbona, Vienna, Graz, Stoccarda, Düsseldorf, Colonia, Francoforte ed altre grandi città europee.
Nel 1788 seguì un breve periodo di crisi a causa di un intervento del regime austriaco: un decreto governativo di Innsbruck ordinò la diminuzione del numero di scultori da 300 a 150, al fine di preservare il bosco di Rasciesa che negli anni precedenti era stato oggetto di un indiscriminato disboscamento.
I gardenesi appresero la cosa con sorpresa e sdegno e replicarono con la proposta da parte del comune di Ortisei di fare pagare agli scultori il consumo di legname. L’idea ebbe grande successo e il governo austriaco ritornò sui suoi passi e ritirò il decreto come i gardenesi avevano richiesto.
I giocattoli in legno, chiena in ladino, rappresentavano alla fine del XVIII secolo l’attività economica principale. Purtroppo, sono pochi i documentati di questo periodo per riuscire a capire come si giunse all’idea di produrre giocattoli. Una possibile spiegazione potrebbe essere quella che a seguito delle continue migrazioni i gardenesi abbiano avuto modo di conoscere i giocattoli realizzati nei paesi limitrofi.

I primi commercianti: venditori ambulanti e il loro insediamento all’estero
In questo periodo nasce una figura molto importante per il commercio dei prodotti gardenesi: il venditore ambulante. Non aveva una sede fissa, ma girovagava nei mercati. Questi venditori partivano in primavera portando sulla schiena gerle colme di giocattoli in legno e ritornavano in autunno. D’inverno si ritiravano nelle loro case per preparare la merce per la primavera successiva. Ben presto iniziarono ad intraprendere viaggi più lunghi, così che le quantità di oggetti che un singolo poteva trasportare, non bastavano più. Coloro che erano riusciti a mettersi dei soldi da parte si stabilirono all’estero dove potevano smerciare più agevolmente i prodotti acquistati in valle. Le località preferite erano le grandi città tedesche, austriache, italiane, spagnole e portoghesi. I forti legami economici con questi paesi e la facilità con cui appresero le nuove lingue, contribuirono ulteriormente a spianare loro la strada.
Alcuni non si limitarono a vendere i manufatti gardenesi, ma agirono in qualità di intermediari, di commercianti di antichità e di agenti di cambio valuta, sfruttando appieno le proprie capacità nell’ambito del commercio. I gardenesi emigrati si avvalsero volentieri anche di aiutanti, cosicché le famiglie della valle inviarono i propri figli 14-16enni dai parenti all’estero per permettergli di apprendere la professione del commerciante. In questo modo molti giovani usufruirono di una formazione commerciale fuori dalla valle. Si stima che attorno all’anno 1800, i venditori ambulanti gardenesi stabilitisi all’estero, abbiano accolto 2/3 della popolazione della valle, l’equivalente cioè di 1200 persone; non furono pochi coloro che raggiunsero un discreto benessere economico, e tra questi Melchiorre Ortner, residente a Cuenca in Spagna che finanziò ben 300 uomini durante la prima guerra coloniale spagnola.
La Val Gardena approfittò poco di queste ricchezze, escluso nei casi di morte e di conseguente attribuzione dell’eredità ai parenti restati a casa.
Scarsi invece, furono gli insediamenti commerciali in Francia, paese che avrebbe potuto rappresentare uno dei mercati di sbocco più prolifici, ma purtroppo durante la rivoluzione francese tanti commercianti gardenesi dovettero abbandonare la propria attività.
Queste migrazioni alla ricerca di fortuna all’estero, si conclusero definitivamente nella prima metà del XIX secolo. I motivi principali furono i cambiamenti delle condizioni commerciali, dall’ampliamento delle vie di comunicazione al trasporto, e soprattutto l’introduzione dell’obbligo del servizio militare che tolse ai giovani la possibilità di allontanarsi dalla valle per lunghi periodi. Infine, altri fattori di importanza rilevante, furono la costruzione nel 1856 della strada carrozzabile che collegava la valle con la strada del Brennero e nel 1915 della ferrovia della Val Gardena.

La pittura e la doratura
Tra il XVII e il XVIII secolo sorse l’industria per la pittura e la doratura degli oggetti scolpiti. Molte figure venivano dipinte dagli stessi scultori, ma le statue di grandi dimensioni e gli altari erano invece dipinti e completati a Castelrotto, a Funes, a Bolzano o a Bressanone. I giocattoli di fattura più delicata furono addirittura spediti in Baviera per essere dipinti là. Si deve attendere la fine del XVIII secolo quando alcune famiglie della valle decisero di dedicarsi alla pittura e alla doratura delle statue. Fu allora che l’industria gardenese raggiunse quell’alto grado di perfezionamento che la rende ancora oggi così unica e originale.
Per sveltire il più possibile la produzione e guadagnare maggiormente, si ricorse alla divisione del lavoro di pittura in fasi diverse: inizialmente si applicava la prima mano, poi si segnavano uno dopo l’altro, gli occhi, i capelli, le labbra, i bottoni, le scarpe ecc. insomma i dettagli più minuti, mentre i lavori più semplici erano affidati ai bambini. Tra una fase e l’altra, le sculture venivano appoggiate sul banco della stufa ad asciugare. Al fine di evitare lo scoloramento, si applicava un tipo di lacca ottenuta mischiando alcol puro con resina di abete e di larice. La sua applicazione era una procedura piuttosto pericolosa, poiché era necessario riscaldare l’alcol e il rischio che prendesse fuoco tutta la casa, non era da sottovalutare.
I primi doratori residenti a Ortisei furono Joachim Unterplatzer, Thaddeo Oberbacher e Josef Großrubatscher.

La figura del commerciante
A metà del XIX secolo arrivò in Val Gardena il modello di produzione del Verlagssystem, che aveva già dato ottimi risultati nelle città tedesche e austriache. Con questo sistema, la nuova classe sociale dei Verleger commissionava lavori agli artisti artigiani e poi vendeva i prodotti soprattutto all’estero. In breve tempo gran parte delle figure in legno passò nelle mani dei commercianti che snellivano la logistica dello smercio e allo stesso tempo rifornivano di materie prime i lavoratori domestici, permettendo loro di non spendere tempo nel reperimento del legname.
La produzione e tutti i suoi rischi, gravava ancora sui lavoratori, ma ora era il Verleger colui che aveva il compito di pubblicizzare i prodotti e di trovare gli acquirenti. I primi Verleger furono il sacrestano Johann Dominik Moroder e il sellaio Josef Purger, entrambi di Ortisei. A loro fecero seguito altri commercianti provenienti anche da Selva e da S. Cristina. Inizialmente non riscuotevano grande importanza, per il loro servizio di spedizione merci percepivano soltanto una modica provvigione e svolgevano più che altro la mansione di commissionari per il parente che si trovava all’estero.
I commercianti gardenesi capirono ben presto che per poter incrementare le esportazioni era necessario un collegamento con la valle più efficiente. Le strade che comunicavano con i paesi esteri erano ripide e strette, e un cavallo era in grado di portare al massimo un carico di soli 100 kg; queste erano le strade su cui, fino a metà ’800, venivano trasportati i generi alimentari e i prodotti d’artigianato.
La svolta è nel 1856, quando venne costruita, sotto la direzione di Johann Baptist Purger, la strada che collegava Ponte Gardena a Ortisei e successivamente a Plan. L’intera popolazione gardenese capì l’importanza di questa iniziativa privata e diede incondizionatamente il proprio consenso. I debiti accumulatisi per l’intera opera viaria vennero saldati in 26 anni grazie all’introduzione di un pedaggio, che si rivelò utile anche per la copertura dei costi di manutenzione. L’apertura di una strada che facilitasse le comunicazioni tra una vallata di montagna e gli altri paesi non era certo cosa usuale per quei tempi, ma grazie al Verleger Johann Baptist Purger la Val Gardena fu collegata al mondo esterno decenni prima di altre vallate di alta montagna.

Gli intagliatori domestici
Mentre la situazione economica dei commercianti era spesso molto buona, i lavoratori domestici non godevano dello stesso benessere. Gli intagliatori era sottopagati e dovevano lavorare dalla mattina alla sera per poter garantire l’esistenza alle loro famiglie; le famiglie solitamente molto numerose, contribuivano al lavoro secondo le diverse capacità, compresi i bambini dell’età di 6 anni. Vi erano famiglie che interrompevano il lavoro dell’intaglio soltanto nei periodi della coltivazione dei campi o della raccolta del fieno. Durante la stagione invernale tutta la famiglia, vecchi e giovani, maschi e femmine passavano le giornate nella stua (ladino per “soggiorno”) sul penic (ladino per “tavolo da intaglio”) a lavorare il legno con i loro scarpiei (ladino per “scalpelli”). Gli intagliatori dipendevano completamente dai loro mandanti e avevano scarso potere contrattuale, dato che, seppur molto numerosi, non avevano alcun tipo di ente che poteva sostenere e tutelare i loro diritti.

Lo sviluppo degli scultori grazie alle scuole
Fino alla metà del XIX secolo il processo di apprendimento della scultura era stato di tipo generazionale, senza alcun genere di aiuto o sostegno esterno. L’idea di scolpire modelli diversi veniva unicamente dai commercianti che meglio di altri riuscivano a interpretare la domanda del mercato, ma né loro, né gli intagliatori si ponevano il problema di una realizzazione dei prodotti che fosse tecnicamente più precisa e raffinata. La produzione consisteva ancora prevalentemente in un artigianato domestico che si affiancava al settore trainante dell’agricoltura. I prodotti gardenesi si vendevano bene, ma il guadagno dei lavoratori domestici spesso non era neppure dignitoso e la dipendenza dai Verleger era forte e diffusa. Questi dovevano cercare di contenere i prezzi il più possibile, poiché le merci venivano esportate in paesi sempre più lontani, dalla Russia all’America con conseguente innalzamento dei costi di trasporto.
Fu grazie all’istituzione di una scuola per scultori, idea lungimirante di Rudolf Eitelberger, che la situazione dell’artigianato gardenese migliorò notevolmente. La cosa non piacque ai Verleger e neppure al consiglio comunale da loro presieduto. Costoro temevano che la costruzione di una scuola di scultura avrebbe danneggiato i loro profitti. La situazione si sbloccò grazie all’interessamento del governo austriaco che nel 1872 sovvenzionò l’istituzione di una scuola d’intaglio a Ortisei da parte di Ferdinand Demetz, che più tardi venne privatizzata. La scuola promosse un decisivo miglioramento tecnico e artistico e indirettamente favorì anche la situazione economica degli scultori. Nel giro di pochi anni vennero costruite diverse nuove botteghe per scultori e falegnami, e salì anche il numero di pittori. La costruzione di altari, che era stata trascurata nella prima metà del XIX secolo, venne ripresa e alcuni scultori si specializzarono nell’arredamento di intere chiese. Per volume e profitti, la Val Gardena sorpassò le altre località tradizionali di scultura nel legno come Oberammergau, Berchtesgaden e Monaco.
Nel 1894 venne aperta una scuola privata anche a S. Cristina che dipendeva a sua volta dal direttore della scuola di Ortisei. Un certo professor Raske impartiva l’insegnamento del disegno e dell’intaglio ad una classe di 12 studenti; le sculture che realizzavano erano poi esportate e agli alunni spettava un compenso minimo giornaliero. La scuola privata di S. Cristina cessò la sua attività dopo quattro anni a causa della contro-propaganda degli speditori che in essa vedevano soltanto un danno per i loro interessi. Con grande sforzo del comune di Selva e grazie all’aiuto del Governo austriaco, si costruì allora un’altra scuola d’intaglio, questa volta a Selva, dove furono gli stessi abitanti ad insistere sulla necessità di avere una scuola professionale. L’edificio, terminato nel 1908, ebbe la denominazione “Scuola Professionale Imperatore Francesco Giuseppe”.
A differenza dell’artigianato che si stava espandendo sempre più, l’agricoltura non riuscì a tenere il passo e perse il ruolo di principale fonte di ricchezza della valle. Lo sviluppo della scultura avvenne solamente a Ortisei, da sempre centro commerciale della valle. Negli altri comuni e nelle frazioni di Bulla, Oltretorrente e Roncadizza, la situazione era rimasta la stessa: gli artigiani domestici specializzati nella produzione di giocattoli erano sempre legati ai loro acquirenti. Le numerose botteghe di scultori che si diffondevano in valle causarono un notevole flusso migratorio da altre vallate, come dalla Val Badia, da Arabba, o da altri paesi della Baviera e dell’impero austroungarico verso la Val Gardena. Gli immigrati trovarono facilmente lavoro come scultori, pittori, doratori e falegnami e contribuirono ad accrescere la prosperità economica di Ortisei. Nel 1914 il numero di scultori di statue era passato, in meno di 50 anni, da 15-20 a 260 tra maestri e allievi. Anche il numero dei pittori di statue aumentò considerevolmente, passando da 3-4 a 80-85 occupati. Inoltre, si sviluppò un vero e proprio settore di falegnameria specializzato nella costruzione di altari e nella decorazione interna delle chiese. In quegli anni le esportazioni erano indirizzate in tutto mondo, in particolare in Inghilterra e nelle colonie britanniche, in Germania, in Russia, in Giappone, in Cina e in Australia, mentre si arrestarono verso l’Italia e la Francia per gli alti costi dei dazi doganali.

La ferrovia della Val Gardena
Con lo scoppio della prima Guerra mondiale molte botteghe di scultori dovettero chiudere e anche l’artigianato domestico ne risentì gravemente. Di positivo vi fu la costruzione di una ferrovia che collegava Chiusa con Plan per una distanza di 31 km e un dislivello di ben 1072 m. Fu il governo austriaco a decretarne la costruzione, in primo luogo per rifornire l’artiglieria sul fronte dolomitico, che contrapponeva l’alleanza Germania-Austria all’Italia.
Il percorso ferroviario venne poi ultimato da prigionieri russi nel 1915, nel tempo record di 4 mesi e per accelerare ancor più i tempi, i ponti e i viadotti furono provvisoriamente costruiti in legno e solo in un secondo momento, in pietra.
Per molti anni la ferrovia della Val Gardena ha rappresentato per la valle un valido mezzo di trasporto e ha inoltre favorito lo sviluppo del turismo e lo smercio dei prodotti in legno. Rumoroso e lento, con l’avvento della motorizzazione su strada, il treno fu presto soppresso e sul suo originario tracciato è stata costruita una strada per auto, mentre il suo percorso all’interno della valle è stato trasformato in un sentiero pedonale che collega Ortisei a Santa Cristina e Selva.

Periodo delle guerre mondiali
L’industria del legno gardenese fece molta fatica a riprendersi dopo le catastrofiche conseguenze della prima guerra mondiale. Alcuni mercati di sbocco erano andati perduti e la domanda di prodotti artigianali in legno fu ai minimi storici per diversi anni. Oltre alle difficoltà economiche generali, si sentì con grande dolore la perdita di tanti uomini gardenesi che avevano prestato servizio militare. Molti dei caduti erano scultori qualificati o ottimi intagliatori e di loro si avvertì la mancanza durante la fase di ricostruzione dell’industria del legno.
L’incertezza di prospettive future portò molti scultori a cercar lavoro nelle valli vicine o addirittura in Argentina o in altri paesi del mondo. A seguito poi dell’annessione dell’Alto Adige all’Italia si registrò anche una perdita rilevante di valore del legno. Nei primi anni del dopoguerra, alcuni Verleger ritenevano il legname più utile come legna da ardere che come materia prima per la produzione industriale. L’unico fattore positivo fu che si cominciò a dare molta più importanza alla qualità dei prodotti finiti. A partire dal 1926 si ebbe una prima ripresa delle esportazioni che continuarono con crescente affermazione economica sino all’inizio del secondo conflitto mondiale.
Riprese anche il settore delle piccole figure artigianali con oggetti ornamentali di uso comune come cavatappi, portapenne, posacenere, figure per scacchi, piccole Madonne, crocifissi stilizzati e altri articoli di souvenir. Prima della Grande Guerra la metà della produzione riguardava altari e statue; queste ultime continuarono ad essere presenti nella produzione e nella vendita, ma gli altari scomparvero quasi del tutto. A questo contribuì il crollo dell’impero austro-ungarico e il conseguente venir meno di importanti mercati di sbocco all’interno della federazione. Il mercato italiano era molto più competitivo per l’importanza del marmo come materia prima sostitutiva nella costruzione di altari o di sculture religiose nelle chiese.
Un altro segmento produttivo che perse la sua importanza fu quello dell’industria dei giocattoli. I Verleger non riuscirono più a interpretare e a soddisfare le nuove esigenze della clientela. I concorrenti più competitivi erano le imprese che producevano giocattoli con altri materiali.
Fu grazie alle due scuole professionali di Ortisei e di Selva che in quegli anni la scultura gardenese migliorò considerevolmente grazie a soluzioni creative originali e a una maggior perfezione tecnica. Gli sforzi che i due comuni avevano sostenuto per l’istituzione delle due scuole vennero così ricompensati.
L’alta qualità artistica dei manufatti però, non fu sufficiente per affrontare la crisi finanziaria mondiale degli anni trenta e anche in Val Gardena si ebbe un nuovo periodo di difficoltà economiche.
Poco prima dello scoppio della seconda guerra mondiale l’esportazione negli Stati Uniti era metà dell’intera produzione, a cui seguiva la Germania e l’Inghilterra, mentre soltanto il 5% dei prodotti era per il territorio nazionale.

Dopo la seconda Guerra Mondiale
Le conseguenze della seconda guerra mondiale risultarono assai minori rispetto a quelle della prima e verso la fine del conflitto, alcuni influenti membri delle truppe americane si prodigarono affinché la domanda di sculture gardenesi ritornasse a salire. Furono svendute le scorte rimaste nei magazzini e in breve tempo si ripristinarono i contatti con il mercato statunitense. Anche la scultura sacra riprese nuovamente ed essere richiesta. Agli inizi degli anni sessanta vennero esportati almeno 2/3 delle sculture prodotte, di cui il 75/80% negli USA. Il mercato nordamericano, grazie al diffuso cattolicesimo e alla tendenza della Chiesa di promuovere un arredo liturgico più semplice, si mostrò particolarmente recettivo. Anche le esportazioni nell’America del Sud superarono quelle negli stati europei, Germania compresa, che aveva ormai perso il suo ruolo di partner commerciale, soprattutto nei primi anni del dopoguerra. Le successive disposizioni del Concilio Vaticano II (1962-1965), che prevedevano una disposizione di statue ancor più sobria, portarono, per alcuni anni, ad un arresto del mercato.
Permaneva fiorente il commercio di piccole sculture lignee, in paesi come gli stessi Stati Uniti, la Germania, la Svizzera e l’Italia. Rispetto infatti, al periodo precedente la guerra, la vendita di prodotti di piccole misure sul mercato interno era salita fino a rappresentarne il 25%.
L’artigianato gardenese del legno aveva ormai assunto proporzioni così elevate che non c’era famiglia nella valle che non disponesse degli utensili necessari per intagliare una statuetta. Nel 1965 il settore della scultura in Val Gardena offriva un’occupazione a circa 1800-2000 persone, corrispondente ad 1/3 della popolazione di tutta la valle.
Si osservarono due contrapposte tendenze: i piccoli intagliatori si organizzavano in gruppi, mentre gli scultori e i pittori preferivano un lavoro più individuale. Così, i grandi laboratori di scultura che contavano dai 15 ai 20 allievi, caratteristici di Ortisei fino al 1900, non esistevano più. Tre i fattori che determinarono tale cambiamento: il desiderio degli scultori di affrancarsi dalla dipendenza dei Verleger, una sempre più crescente ed esigente domanda di statue lignee ed infine motivi d’ordine fiscale.

L’industrializzazione della produzione di giocattoli e di piccole sculture
La forte domanda di sculture gardenesi dopo la seconda guerra mondiale, portò a galla tutti i limiti del sistema di produzione della valle. Il Verlagssystem, non consentiva più di essere competitivi in un mercato mondiale in continua evoluzione. Il vecchio sistema non permetteva ai commercianti di controllare la qualità e i tempi di fornitura delle sculture da parte dei lavoratori domestici i quali dovevano spesso soddisfare le richieste di più commercianti, e non sempre vi riuscivano. C’era inoltre scarso interesse nel rinnovare le produzioni, perché succedeva spesso che un modello venisse copiato da un altro commerciante. Una cosa simile accadeva al singolo Verleger: non gli conveniva investire in nuovi prodotti, perchè venivano regolarmente ripresi e copiati dalla concorrenza. Si correva il rischio di non poter soddisfare le esigenze della clientela o quelle di un mercato che nel frattempo si era evoluto, e richiedeva merce di ottima fattura e con tempi di consegna rapidi e sicuri.
Queste nuove richieste portarono i commercianti a prendere in mano loro stessi la produzione delle sculture. L’ausilio di macchinari moderni permise un notevole aumento produttivo di sculture, una maggiore accuratezza e conseguentemente guadagni migliori. Infine, si poteva garantire la consegna puntuale degli ordini.
Ad Anton Riffeser va riconosciuto il merito per un “fiuto” commerciale davvero non comune. La storia di Riffeser è un altro esempio del fatto che nello sviluppo di una secolare tradizione di artigianato spesso è decisivo lo spirito di iniziativa del singolo. La ditta ANRI (ANton RIffeser), che era già nata nel 1925, fu appunto la prima fabbrica che affrontò con coraggio i compiti di una gestione fino allora ignoti. Dopo la seconda guerra mondiale la ditta fu ampliata e si acquistarono i primi macchinari come le fresatrici a pantografo per la sbozzatura delle sculture. La ditta Anri era anche la prima in valle ad avere un impianto per l’essiccazione del legno e vantava anche un proprio stabilimento succursale in Germania. Per molti anni la sua importanza nell’economia della valle si è rivelata determinante, offrendo lavoro a tanti gardenesi. Nel 1952 contava 50 dipendenti, nel 1955 il numero salì a 150, due anni dopo a 230 e nel 1965 arrivò a 280. L’Anri è ancora oggi in funzione, ma la sua importanza nell’assetto sociale gardenese è diminuita, anche a seguito di imprese a gestione familiare come la ditta BERGLAND.
Un altro esempio d’industrializzazione è rappresentato dalla ditta SEVI (SEnoner VInzenz), specializzata nella produzione di giocattoli in legno. Gli uffici di gestione si trovavano a S. Cristina, mentre lo stabilimento era stato costruito nella zona di Pontives all’entrata della valle.
In questo tipo di fabbriche – ANRI e SEVI – intagliatori e pittori lavoravano nello stesso stabilimento. La novità era che i vari strumenti di lavoro e i macchinari erano messi a disposizione dal datore di lavoro che provvedeva anche al salario mensile dei suoi dipendenti. Inizialmente l’opinione della gente nei confronti delle fabbriche era critica e dubbiosa, ma col tempo tutti si resero conto dei vantaggi che offriva il lavoro dipendente. Un lavoratore dipendente riceveva un salario fisso, era assicurato in caso di malattia e di infortuni sul lavoro, percepiva premi, assegni familiari e una pensione e svolgeva il proprio lavoro in spazi comodi e luminosi. Tutto questo era fino ad allora sconosciuto per un intagliatore o un pittore.
Negli ultimi anni si deve però parlare di una netta controtendenza, le grandi ditte di stampo industriale incontrano difficoltà sempre maggiori. I piccoli lavori come la rifinitura delle figure, l’assemblaggio delle parti e la pittura delle sculture, devono essere fatti necessariamente a mano. Le ditte di grandi dimensioni non riescono a fronteggiare facilmente i momenti di crisi a causa dei costi fissi molto alti e di una minore flessibilità manageriale. Non raggiungere il volume di vendita prospettato significa dover licenziare il personale e nelle situazioni più compromesse, anche l’inevitabile cessazione dell’attività, come è accaduto, per esempio, alla ditta SEVI. È per questo che negli ultimi anni si sono affermate piccole ditte a conduzione familiare che possono contare su una maggiore flessibilità, su prodotti originali e di qualità, su un ottimo rapporto con la clientela e soprattutto, su un considerevole contenimento dei costi. Si può quasi parlare di un ritorno al sistema del Verleger: le ditte danno le commissioni ai lavoratori domestici e vendono poi le sculture prodotte con il proprio marchio.