Foto di Nicola Bertellotti
L’eruzione solare della notte
ti veste di dolcezza.
Là il mare,
quella linea lontana che appare
tra le chiarie vieppiù decisiva,
nemmeno limita la tenerezza
del tuo sguardo tornato a speculare
se esiste per lei un orizzonte
verso cui andare, o se questo è qui.
Spengi le candele nelle stanze
che non ne hanno più bisogno,
dove filtra ancora lùbrica la luce del sogno,
scacci anche il sogno come un importuno:
sei in attesa di quanto altro scalpiccia
nel solito apparire del medesimo.
Mi offri un acino dell’uva dell’Avvento,
e anche lo stento della porta che ruota
lentamente sui cardini è una musica
meno ignota per me.
Per te la ruota
del fato non ha finito il suo giro:
ammiro quello che lì non è stato
né mai sarà compiuto…
come il suono
del liuto che, ricordi, abbiamo udito
un dì straziare i segni del viaggio
e incoraggiarci, indegni di ogni altrove.
Eravamo, anche lì, davanti a un mare
quasi lustrale nella lontananza,
davanti all’irrintracciabile colmarsi
di chiarezza dello stesso mistero.
Là finivano le orme di ogni passo
come il cane che davanti all’acqua
di un fiume perde il fiuto e non può
pedinare il cammino del fuggiasco.
Ma davanti al mistero non è questo
un rifiuto: il divieto è dentro te,
dentro, vedi, il tuo sguardo discreto
che sul vetro dell’essere riposa
nella cui trasparenza altro non osa
che guardare al di là ma anche ritrarsene
come da una visione dolorosa.
La vita non è una cosa strana:
tocchi entro di te qualcosa che
non ti appartiene come il Guadarrama
deserto e innevato che un giorno,
sorvolato dagli avvoltoi, vedemmo
rasentandone mentre andavamo
verso il regno dei morti dell’Escorial
i picchi e le rocce diluviali
che abbandonammo alle ali dei rapaci.
Perché taci davanti al tuo silenzio?
Piero Bigongiari
da “L’eruzione solare della notte”, in “Piero Bigongiari, Dove finiscono le tracce” (1984-1996), Le Lettere, Firenze, 1996
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