Mosè di Michelangelo nella Basilica di San Pietro in Vincoli - Roma
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SAN PIETRO IN VINCOLI
MOSE'
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San Pietro in Vincoli

Facciata
I vincula di san Pietro, reliquia per la contenere la quale venne costruita la basilicaSan Pietro in Vincoli è il nome di una basilica di Roma. È chiamata anche basilica eudossiana dal nome della fondatrice, l'imperatrice romana Licinia Eudossia, ed è famosa per ospitare il Mosè di Michelangelo.

Storia
La basilica fu fatta costruire nel 442 da Licinia Eudossia, figlia di Teodosio II e moglie di Valentiniano III. L'imperatrice fece costruire la chiesa per custodire le catene (in lingua latina vincula) di san Pietro che la madre, l'imperatrice Elia Eudocia, aveva avuto in dono da Giovenale, patriarca di Gerusalemme durante il suo viaggio in Terra Santa assieme alle catene che avevano legato il santo nel carcere Mamertino.

Secondo la leggenda il papa Leone I le aveva avvicinate per confrontarle e le catene si erano congiunte tra loro in maniera inseparabile.

Nella chiesa sarebbero stati nominati papa Giovanni II e Gregorio VII (1074).

L'edificio fu restaurato da papa Adriano I nel 780, nel 1471 da papa Sisto IV e nel 1503 da Giulio II, come Sisto IV appartenente alla famiglia dei della Rovere; al restauro di Giulio II risale l'architettura attuale della chiesa, con il portico d'ingresso.

Facciata
È preceduta da un portico a cinque arcate sostenute da ottogonali, aggiunto nel 1475. L'attribuzione a Baccio Pontelli è incerta.

Interno

L'interno è diviso in tre navate, separate da 20 colonne corinzie. La volta ribassata della navata centrale mostra un grande affresco di Giovanni Battista Parodi.
Subito a sinistra dell'ingresso c'è la tomba di Antonio e Piero del Pollaiolo, con i busti raffiguranti i due artisti fiorentini, sovrastata da un loro affresco.
La navata laterale di sinistra reca molte ricche sepolture di personaggi importanti della gerarchia ecclesiastica. Queste sepolture sono decorate da sculture allegoriche di grande interesse. Notevole è il mosaico, posto circa a metà della navata, di San Sebastiano: è questa l'unica rappresentazione in cui il Santo è rappresentato come un uomo anziano con la barba. In fondo alla navata, si erge l'organo.
La chiesa contiene nel 2° altare della navata destra un S. Agostino del Guercino ed il ritratto del cardinale Margotti del Domenichino che ha disegnato anche il sepolcro.

Sacrestia
Nell'altare della sacrestia sono conservate le catene di S. Pietro che danno il nome alla chiesa.

Le porte di bronzo che custodiscono la reliquia, del 1477 erano considerate opera di Antonio del Pollaiuolo, ma studi posteriori le attribuiscono al Caradosso.

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Mosè (Michelangelo)

Michelangelo Buonarroti, 1513 - 1516 ca.
Marmo, altezza 235 cm
Roma, San Pietro in Vincoli
Il Mosè è una delle più celebri sculture di Michelangelo.

Essa è parte della tomba ubicata in San Pietro in Vincoli, a Roma, costruita da Michelangelo Buonarroti nel 1505 su commissione di Papa Giulio II, tomba completata nell'arco di trent'anni a causa delle continue modifiche apportate al progetto originario. Nel primo progetto la tomba doveva essere costituita come un mausoleo a tre piani, ornato da quaranta statue in marmo e rilievi in bronzo, con una pianta di 11 metri per 7 al cui interno stava la tomba del pontefice massimo: il Mosè doveva fare da pendant con la statua di San Paolo, in quanto entrambi avevano ricevuto la visione di Dio.

Storia
Inizialmente Papa Giulio II fu entusiasta del progetto, tanto che ordinò all'artista di partire per le cave apuane per scegliere i marmi più adatti a tal opera. Michelangelo passò otto mesi a Carrara, dal maggio al dicembre del 1505, contrattando e trasportando, su muli, navi, infine su rulli e slitte, i materiali più belli fino a Piazza San Pietro. Talmente tanti e belli erano che era diventata distrazione popolare andarli a rimirare. Si pensa che il Mosè sia stata una delle prime opere dello scultore.[citazione necessaria]Papa Giulio II non amava gli indugi, presa la decisione chiese al Bramante, l'architetto più illustre di quegli anni di progettare una nuova chiesa che prendesse il posto della vecchia Basilica Costantiniana, in Piazza San Pietro. Doveva essere il tempio della Cristianità, tanto smisurato da contenere il suo altrettanto enorme sepolcro. Giulio II, partito il progetto di quella che è oggi la Basilica di San Pietro, perse interesse per il suo maestoso sepolcro, distratto da ancor più maestosi affari e forse fuorviato da altri artisti invidiosi di Michelangelo.

Michelangelo arriva perfino a scappare da Roma, con il papa che aveva interrotto i pagamenti e lo evitava e i marmi che continuavano ad arrivare e che lui doveva pagare. Tornò solo due anni dopo, sperando di poter rimettere mano al Mosè. Le sue aspettative furono deluse e gli fu commissionato un nuovo lavoro che fu per lui fonte di frustrazioni, anche fisiche, e allo stesso tempo forse la sua opera più famosa e osannata, la Cappella Sistina.

Pochi mesi dopo Papa Giulio II muore, gli succedono Papa Leone X, Papa Adriano VI e Papa Clemente VII, che addirittura progetta di ucciderlo e per Michelangelo si profilano altri ostacoli al compimento del Mosè. Scappa spesso a Firenze. Michelangelo giunge, comprensibilmente, a dire che il Mosè è la «la tragedia della mia vita». Era diventato la sua ossessione. Morto Papa Clemente VII, il nuovo pontefice Papa Paolo III vuole che l'artista esegua il Giudizio Universale, ma gli eredi di Papa Giulio II pretendono a gran voce che il Buonarroti finisca la tomba del loro antenato.

Papa Paolo III si rese conto che Michelangelo era preso tra due fuochi. Convinse e rabbonì il nipote del papa. E rimandò ancora il compimento del sepolcro. Finito il Giudizio Michelangelo doveva riprendere e finire il Mosè. Ma il papa volle che dipingesse un'altra cappella intitolata a suo nome.

Intanto passano gli anni, e bisogna arrivare al 1545, proprio 40 anni, per vedere completata l'opera. Michelangelo era un vigoroso 30enne e ora è un vecchio triste di settant'anni. Gli eredi di Giulio II lo accusano di volersi tenere e investire in vari affari i soldi che ha percepito in quei quarant'anni. Quello che avrebbe dovuto essere un superbo mausoleo s'è ridotto a una "misera" parete.

Negli anni Michelangelo si occupò di altri progetti, a cui deve la sua gloria, ma se il Mosè ora fosse quello che era stato progettato, come dice Corrado Augias nel suo I segreti di Roma, «certamente sarebbe ancora oggi una delle meraviglie del mondo.»

Restauro
Nel dicembre del 2003 si è concluso un restauro quinquennale guidato da Antonio Forcellino. Il restauro, oltre alla pulitura delle statue, ha permesso di riaprire la lunetta alle spalle del gruppo scultoreo da cui proveniva la luce che illuminava la statua, e che era stata coperta nel 1704 da una vetrata. A proposito è stato realizzato un film-documentario, dal titolo "Lo sguardo di Michelangelo" e diretto dal celebre regista Michelangelo Antonioni, premio Oscar nel 1995.

Iconografia
Mosè viene rappresentato in posizione seduta, con la testa barbuta rivolta a sinistra, il piede destro posato per terra e la gamba sinistra sollevata con la sola punta del piede posata sulla base. Il braccio sinistro è abbandonato sul grembo, mentre quello destro regge le tavole della Legge, mentre la mano arriccia la lunga barba. La statua, nella sua composizione, esprime la solennità e la maestosità del personaggio biblico. Per quest'opera, Michelangelo si rifà al San Giovanni di Donatello, riprendendone la carica di energia trattenuta, resa manifesta nel volto contratto e concentrato, ma aumentandone la carica dinamica grazie allo scatto contrario, rispetto al corpo, della testa.

I corni sulla testa di Mosè rappresentano raggi di luce. Infatti nella Bibbia è riportato che Mosè scendendo dal monte Sinai aveva due raggi che partivano dalla sua fronte. In ebraico "raggi" si scrive "karen", che però nelle varie traduzioni è stato trasformato in "keren" (corna) anche perché nel Medioevo si riteneva che solo Gesù potesse avere il volto pieno di luce. Secondo lo psicologo analista junghiano James Hillman «quelle corna collocate lì da Dio o da Michelangelo restituiscono a Mosè ciò che aveva voluto separare e allontanare: Dio e l’animale, la legge e l'istinto, il dovere e il piacere, il monoteismo ebraico e il politeismo egiziano».

Leggende
È legato a questa scultura l'aneddoto secondo il quale Michelangelo, contemplando la stessa al termine delle ultime rifiniture e stupito egli stesso dal realismo delle sue forme, abbia esclamato "Perché non parli!?" percuotendone il ginocchio con il martello che impugnava.

È da sempre il simbolo della tomba di Giulio II e sicuramente rappresenta il maggiore motivo di attrazione per i visitatori della chiesa di San Pietro in Vincoli. La sua collocazione originaria era al piano superiore del monumento, ma successivamente Michelangelo decise di spostarla nella sua attuale posizione per poterla apprezzare meglio.

Lo sguardo del Mosè ha sempre colpito l'immaginazione dell'osservatore. Definito come “terribile”, è stato interpretato come espressione del carattere di Michelangelo. Il termine “terribilità” è stato coniato appositamente per definire il carattere irascibile, orgoglioso e severo dell'artista. Secondo una leggenda Michelangelo colpì violentemente questo ginocchio con un martello. Un gesto di rabbia che nasceva dall'esasperazione verso una statua così perfetta ma muta. L'espressione di Michelangelo: “Perché non parli?” si riferisce a questo episodio. In realtà sulla statua si riscontra solo una naturale venatura del marmo e non vi è traccia di fratture intenzionali.
La barba è un elemento fondamentale dell'iconografia del Mosè. Secondo il Vasari, è scolpita con una tale perfezione da sembrare più “opera di pennello che di scalpello”.
Osservando attentamente le tavole della legge, queste risultano rovesciate, come se fossero scivolate dalle braccia del Mosè.
Queste foto ed il testo della pagina sono tratti da Progetto Mosè www.progettomose.it

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Autoritratto e firma di Michelangelo Buonarroti