PROLOGO
Altro calcio. O nuovo, se preferite. Le regole da rispettare sono quelle del business, ci mancherebbe.
Così, la Fifa decide di cambiare la formula dell'Europeo 1996, quanto basta per portare sui campi
d'Inghilterra, dove andrà in scena l'atto finale, più squadre possibili, senza lasciare a casa le migliori.
Otto gironi, dunque, e 48 formazioni (l'Inghilterra entra d'ufficio, da paese ospitante) impegnate nelle
fasi eliminatorie. All'appuntamento inglese ne arriveranno sedici, il doppio rispetto alle fasi finali delle
edizioni precedenti, e saranno divise in quattro gironi da cui usciranno le otto protagoniste dei
quarti. L'idea è quella di rendere più viva e accesa la manifestazione, di assicurare spettacolo. Alla
fine, tutto si risolverà in un'occasione perduta. Compresa la scelta del "golden gol", regola già
sperimentata agli Europei Under 21 del 1994, e sfruttata nel migliore dei modi dall'Italia di Cesare
Maldini (trionfo sul Portogallo e "morte" della partita decretata da Orlandini con la rete del 2-1
segnata al 97'). Invece di cercare il colpo di grazia, le squadre che arriveranno ai supplementari nelle
partite inglesi si studieranno con infinita prudenza, e arriveranno a giocarsi il futuro ai rigori.
Insomma, non c'è molto di nuovo in Europa.

L'ITALIA DI ARRIGO
In Inghilterra arrivano tutte le favorite, compresa la Danimarca campione uscente che chiuderà
presto la sua avventura. In cima alla classifica, a sentire esperti e bookmakers (che oltremanica fanno
affari d'oro), la solita Germania, l'Olanda che ha qualche nuovo talento da mostrare, l'Inghilterra
che se non altro gioca in casa. E naturalmente l'Italia. Che ha fatto parecchie rivoluzioni, ma si
presenta pur sempre da vicecampione del mondo. Biglietto da visita significativo. La nuova Italia
vorrebbe dimenticare Usa '94, quel maledetto rigore sbagliato al "Rose Bowl" di Pasadena, che Roby
Baggio sogna ancora di notte. Dimenticare, andare oltre. Cercando di vincere subito, cercando di
dimostrare a tutti quello che l'Europa del pallone va dicendo da tempo: che il calcio italiano è il
numero uno, che per gli altri non c'è storia. Arrigo Sacchi affronta la lunga vigilia mordendo
diplomaticamente il freno: «Sogno la vittoria, ma sognare non significa promettere». Sembra
quasi voler mettere le mani avanti, il Ct, dopo la delusione americana. In quanto a esperimenti,
comunque, non lesina l'impegno. Da Los Angeles a Liverpool, primo appuntamento della fase finale
dell'Europeo, mette alla prova ottantanove giocatori. E il vizio (assurdo?) di cambiare in corsa non
gli passerà durante la trasferta inglese.

Ma andiamo per ordine. La Nazionale azzurra che inizia il suo viaggio continentale si tuffa in
un'Europa tutta nuova. Ci sono, a farle compagnia nel quarto gruppo, le nuove Repubbliche dell'ex
Unione Sovietica: Ucraina, Lituania, Estonia. Ci sono la Slovenia e la Croazia, rappresentativa di un
paese uscito da poco da una guerra devastante e assurda, di un popolo immerso nella ricostruzione.
L'approccio non è dei migliori: pareggio sofferto (1-1) a Maribor contro la Slovenia, con debutto
ufficiale di Panucci. Va meglio a Tallin, contro l'Estonia che è sinceramente poca cosa. Meglio dal
punto di vista del risultato (2-0 per gli azzurri, reti di Panucci e Casiraghi), perché in quanto a gioco
siamo ancora agli antipodi del bello. A Palermo arriva la prima sconfitta, contro la Croazia di Boban,
Prosinecki e Suker, che segna la doppietta che condanna gli azzurri (2-1 per gli uomini di Blazevic).
Resterà l'unica battuta d'arresto del girone eliminatorio, ma non l'unico cono d'ombra. Faticosissima,
per esempio, la vittoria di Udine contro una Slovenia poco più che dignitosa, che cancella solo in
parte il brutto pareggio dell'andata. Trovano il ritmo negli ultimi impegni, gli uomini di Sacchi: dopo
il prezioso pareggio (1-1 ) di Spalato contro i croati, l'Italia cresce quanto basta per raggiungere
l'obiettivo. Battuta l'Ucraina a Bari (3-1, doppietta di Ravanelli e pennellata finale di Maldini) dopo
un primo tempo in salita, sommersa di gol la Lituania a Reggio Emilia (4-0, doppietta di Zola più
vivo e acceso che mai). Quella sconfitta a Spalato peserà per la classifica finale del girone: Croazia e
Italia lo chiudono appaiate, con 23 punti, ma sono Boban e compagni a figurare al primo posto.
Poco male, l'obiettivo era quello di staccare il biglietto per l'Inghilterra e la missione è compiuta.
È Bierhoff la stella inattesa della squadra campione di Vogts.
Nella finale entra a venti minuti dal termine e ribalta il risultato contro la
Repubblica Ceca, autentica rivelazione del torneo. Sacchi cambia le carte in
tavola e perde la sua ultima scommessa. Nonostante la forma di Casiraghi
UN SOGNO POSSIBILE
L'Italia dell'Arrigo si ritrova nel gruppo 3, e la compagnia è quanto mai composita. C'è la tradizione,
la novità, l'imprevisto. La tradizione si chiama Germania, una corazzata guidata da Berti Vogts,
finalmente liberatosi del fantasma di Beckenbauer che aleggiava nello spogliatoio per voce di Lothar
Matthäus, "silurato" dal Ct alla vigilia dell'appuntamento dopo una lunga ed estenuante guerra di
nervi. Una Germania controcorrente, che invece dei "soliti noti", guerrieri dalle mille sicurezze,
presenta un bel pacchetto di novità. L'assenza di Matthäus, appunto; e poi giovani come Ziege,
Babbel, Scholl, Bobic; ancora, la fiducia riposta in Oliver Bierhoff, un'inattesa occasione che il
bomber non si lascerà sfuggire. Vogts, poi, è stato bravo a portare dalla sua parte i leader del
gruppo. Klinsmann è il suo capitano, Sammer il libero preferito a Matthäus.

La novità è la Repubblica Ceca, alla sua "prima" europea dopo la scissione dell'ex Cecoslovacchia.
Una squadra che arriva all'appuntamento inglese senza più l'ingombrante certezza del colosso Sparta
Praga, che costituiva tradizionalmente l'ossatura della Nazionale. Il faro, adesso, è lo Slavia Praga, ma
i suoi talenti sono giovani e inesperti di ribalte internazionali. Gente come Novotny, Bejbl,
Suchoparek, Poborsky si è fatta notare nelle giovanili e nella galoppata del club in Coppa Uefa fino
alla semifinale col Bordeaux. Ma la domanda è d'obbligo: reggerà la Repubblica Ceca il peso di una
kermesse di questo livello?

L'imprevisto, infine. Si chiama Russia e si porta dietro in Inghilterra molte domande. Ha vinto a mani
basse il proprio girone eliminatorio (otto vittorie, due pareggi e nessuna sconfitta) lasciandosi alle
spalle Scozia e Grecia. Ma anche la squadra approdata a Usa '94 prometteva scintille e naufragò
miseramente. Oleg Romantsev, più che un Ct un "padre padrone" della Nazionale, porta con sè una
rosa qualificata ma non troppo omogenea. All'ossatura dello Spartak Mosca si aggiungono
avventurieri del calcio europeo come Karpin, Kanchelskis, Kirjakov, Shalimov, Kolyvanov e
Simutenkov.

LE FOLLIE DI SACCHI
Alla vigilia, la Nazionale perde Ferrara: Sacchi rimedia adattando Maldini come centrale, e
promuovendo titolare Apolloni. Il Ct non porta in Inghilterra Panucci e Benarrivo, uomini che col
senno di poi dovrà rimpiangere. Niente Europa nemmeno per Roberto Baggio, Vialli e Signori,
esclusioni che non sorprendono dal momento che hanno già sollevato un'infinità di polemiche in
patria. La partenza di Liverpool, d'altronde, dà ragione al Ct. L'Italia batte la Russia col risultato di 2-
1, grazie alla prima doppietta azzurra di Casiraghi. Parte in quarta asfissiando i russi col pressing, va
in vantaggio, diventa quasi inguardabile dopo l'1-1 degli avversari, rinasce nella ripresa. Sacchi
indovina le correzioni giuste (Donadoni per un Del Piero abulico in un ruolo di centrocampista non
suo), non sbaglia una mossa. Il resto lo fanno la condizione esagerata di Casiraghi e il genio di Zola.
Il gioco c'è, il Ct dice di averlo ritrovato davanti alla lavagna nell'intervallo, e aggiunge che «nel calcio
ci vorrebbe il turn-over, come nel basket». Purtroppo gli succederà di esasperare il concetto molto
presto.
Già dalla seconda partita, contro la Repubblica Ceca: Sacchi cambia cinque uomini, rinuncia al
tandem Casiraghi-Zola, getta nella mischia Ravanelli e Chiesa, Mussi e Fuser. Ripudia, insomma, il
vecchio detto «squadra che vince non si tocca». E perde la sua scommessa, così come l'Italia perde
la partita. Finisce 2-1 per i cechi, che vanno in vantaggio dopo quattro minuti con Nedved. Chiesa
agguanta il pari, ma Apolloni si fa espellere dopo mezz'ora di gioco per doppia ammonizione,
Sacchi tarda a rinforzare la difesa con Carboni e al 35' Bejbl chiude la partita, almeno dal punto di
vista del risultato. Inutile il secondo tempo, inutile la riorganizzazione del gioco, inutili i tardivi
ripensamenti del Ct (dentro Zola e Casiraghi, troppo tardi), inutili gli eroismi. Ci si gioca tutto con la
Germania, che nel frattempo ha travolto la Russia (3-0), ma l'onda della polemica si è già alzata. Del
Piero, escluso da Sacchi alla vigilia della sfida, la alimenta: «Non capiremo mai il mister fino in
fondo: non mi ha detto nulla».

E la sfida decisiva condanna gli azzurri, anche se sul campo non c'è sconfitta. Finisce 0-0, l'Italia
surclassa sul piano del gioco la Germania, ci si mette anche il destino che dopo appena otto minuti
fa sbagliare un rigore decisivo a Zola, uno dei migliori della spedizione azzurra, che nell'occasione si
smarrisce (e Sacchi non sceglie di sostituirlo: ennesimo errore), e fa fare miracoli a Koepke, numero
uno tedesco, anche quando la Germania resta (per più di mezz'ora) in inferiorità numerica. L'Italia
chiude il girone al secondo posto a pari punti con la Repubblica Ceca, che l'ha battuta nel confronto
diretto, e fa le valigie. I russi la fanno sperare fino all'ultimo: nella sfida finale contro i cechi, a
Liverpool, passano dallo 0-2 al 3-2. Una vittoria degli uomini di Romantsev salverebbe la spedizione
azzurra nonostante tutto. Sarebbe l'ennesimo miracolo dell'era sacchiana, ma questa volta la
Misericordia gira la testa: all'88' Smicer segna un gol storico per la Repubblica Ceca, quello del 3-3
che vale il passaggio ai quarti. Per l'Italia il viaggio europeo è terminato, e Sacchi finisce sotto il tiro
incrociato delle critiche.
Il concetto è unanime: gli azzurri escono dall'Europeo a testa alta, Arrigo Sacchi no. Lui fila dritto sul
banco degli imputati, per la gestione dissennata, a detta di tutti, con cui ha gestito la squadra, per
come l'ha mandata allo sbaraglio nella partita apparentemente più abbordabile, e certamente più
delicata. La condanna dell'uomo di Fusignano coinvolge anche Vincenzo Matarrese, presidente della
Figc. Sembrano entrambi al capolinea, anche se Sacchi assicura che non si dimetterà, e gioca in
difesa: «Esco dagli Europei con una sola sconfitta, questo non è un fallimento perché abbiamo
giocato bene. Dimettermi? Non ci penso proprio, semmai penso al Mondiale». Non ci arriverà.
L'amichevole con la Bosnia, il 6 novembre a Sarajevo, sarà il suo ultimo atto. Una sconfitta per 2-1,
prima di passare il testimone nelle mani di Cesare Maldini. A risolvere il problema penserà Silvio
Berlusconi, richiamando il profeta di Fusignano sulla panchina del Milan. Dove le cose, per lui, non
andranno meglio.

UN'EUROPA DI RIGORE
Gli Europei vanno avanti, nonostante sul loro svolgimento sia calata, pesante, anche l'ombra del
terrorismo. Alla vigilia della sfida tra Russia e Germania, il 15 giugno, un furgone-bomba piazzato
dall'Ira davanti all'entrata di un supermercato non provoca una strage per chissà quale miracolo
divino. I feriti sono 211, da lì in avanti il servizio di sicurezza, già attivissimo prima dell'attentato,
moltiplicherà gli sforzi.

Insieme a Germania e Repubblica Ceca, protagoniste del girone dell'Italia, arrivano ai quarti di finale
Inghilterra, Olanda, Francia, Spagna, Portogallo e Croazia. Se un rigore sbagliato è alla radice
dell'eliminazione azzurra (proprio come nella finale di Usa '94, a proposito di corsi e ricorsi storici), di
qui in avanti i rigori decideranno spesso l'andamento del torneo. Grazie ai rigori, e alle prodezze del
suo numero uno David Seaman, l'Inghilterra manda a casa la Spagna (4-2, dopo che tempi
regolamentari e supplementari si erano chiusi a reti inviolate).

Stesso copione per la Francia: 0-0 contro l'Olanda in 120', 5-4 dopo la fatidica lotteria e dopo una
partita dalle emozioni inesistenti: l'unica arriva da un rigore negato agli olandesi per un fallo di mano
di Desailly che per l'arbitro Lopez Nieto, e solo per lui, è avvenuto fuori dall'area. A proposito di
arbitri, finisce nell'occhio del ciclone anche lo svedese Sundell, colpevole di una direzione di gara
decisamente filotedesca nella sfida tra Germania e Croazia. Finisce 2-1 per Klinsmann e compagni, i
croati si lamentano (a ragione) per l'espulsione di Stimac e per il successivo gol vittoria realizzato da
Sammer dopo un evidente fallo di Babbel non sanzionato. Germania-Croazia è concretezza contro
talento. La concretezza paga, il talento a volte viene profuso al limite dell'autolesionismo. Tradotto: la
Croazia è più bella, la Germania va in semifinale. Una stilettata al cuore di Arrigo Sacchi arriva
dall'ultimo quarto, in cui la Repubblica Ceca batte il Portogallo per 1-0 con un gol di Poborski.
Domina il gioco dei portoghesi, ammaestrato da Rui Costa, ma i cechi vanno avanti e aggiungono
rimpianti al già pesante fardello azzurro.
UN FILM GIA' VISTO
Inghilterra-Germania è la partitissima di semifinale. La vigilia è condita di ricordi piacevoli (la finale
mondiale del '66 tra le stesse due nazioni, nello stesso storico "teatro" di Wembley) e provocazioni
disdicevoli (il Daily Mirror pubblica in prima pagina un fotomontaggio che raffigura Pearce e
Gascoigne con elmetto della Seconda guerra mondiale in testa, provocando lo sdegno dello stesso
Ct inglese Venables). L'Inghilterra è in crescita, la Germania conta gli assenti (mancano Klinsmann e
Bobic) e i favori del pronostico vanno ai padroni di casa. Invece vince proprio la Germania, dopo
120 minuti in cui le uniche emozioni si vedono ai supplementari, e dopo la solita appendice dei
rigori: 1-1 la partita vera, 7-6 dopo i tiri dal dischetto).

Non va meglio, in quanto a spettacolo, nell'altra semifinale, che se non altro porta la novità della
vittoria della Repubblica Ceca. Partita brutta, tanto per cambiare. E una volta di più risolta ai rigori,
segno che la formula del "golden gol" più che al rischio invita le squadre alla prudenza. Dopo i
supplementari, giocati da francesi e cechi con la paura di perdere addosso, finisce 0-0. E ai rigori il
peso della mancata qualificazione alla finalissima per gli uomini di Jacquet ricade sulle spalle di
Pedros, che sbaglia il rigore numero sei. Non lo imita Kadlek, finisce 6-5 per gli uomini di Uhrin e gli
italiani rimasti a seguire un Europeo che non è più loro hanno nuove occasioni di rimpianto. Andate
a guardarla, la finalissima: mette di fronte Germania e Repubblica Ceca, ovvero le due squadre che
hanno buttato fuori l'Italia di Arrigo Sacchi dal gruppo C. Fin qui, due formazioni non esattamente
irresistibili. Che gli azzurri, a detta di tutti, avrebbero potuto tranquillamente domare. Se al Ct non
fosse montata la fregola del cambiamento.Se, se. La storia, nel calcio come nella vita, non si scrive a
forza di se. Resta un'occasione perduta, punto e basta.
EFFETTO BIERHOFF
L'ultimo atto va in scena a Wembley, tra rimorsi italiani e critiche di tutta Europa. Germania-
Repubblica Ceca è il gran finale di un Europeo che di grande ha avuto davvero poco. È brutta la
Germania, vecchia e bollita, decimata da infortuni e squalifiche; non è per nulla adatta al ruolo di
prima della classe la Repubblica Ceca, arrivata fino in fondo con un gioco fatto di attese, coperture,
ripartenze. Per dirla all'antica, di catenaccio e contropiede. Eppure riesce ancora a sognare, la
squadra di Dusan Uhrin, e a sentirsi per un attimo addosso il ruolo di Cenerentola predestinata.
Nonostante si ritrovino alla canna del gas, i tedeschi provano a conferire maggiore rotondita' alla
manovra, anche se non e' facile aggirare i cavalli di frisia di Uhrin. Per mezz'ora e' soltanto una
sterile contrapposizione tra i due blocchi prima che a Kuntz si presenti per due volte nel volgere di
sette minuti la possibilita' di battere il portiere Kouba, coraggioso, e pure fortunato al 34' , quando
Hornak in rovesciata spazza via il pallone dalla rete. I ritmi sono languidi, pero' caratterizzati dalle
accelerazioni al fulmicotone dei ceki, frustate che lasciano il segno. Cosi' Kuka e' irresistibile nel finale
del primo tempo, quando va via di forza sulla sinistra, si libera di Eilts con un cambio di marcia e
costringe Koepke al salvataggio miracolo.

Paiono piu' motivati, i ragazzi di Praga, la loro freschezza mette a nudo il passo greve di questa
Germania sempre piu' incerottata dopo che pure Eilts, uomo irrinunciabile, deve arrendersi per
infortunio. Pero' per consentirgli di rompere l' equilibrio, serve la mano caritatevole di Pairetto, che
sanziona con il rigore (trasforma Berger, con il pallone che rotola sotto il corpo di Koepke) un
aggancio scorretto di Sammer su Poborsky avvenuto al di fuori dell' area. Vogts comunque
reagisce bene, pescando Bierhoff al momento giusto. L'"italiano" e' infatti lucido sulla lunga
punizione di Ziege (il suo tocco di testa finisce a bersaglio, anche in virtu' di un "blocco" di Babbel,
utile a squarciare la retroguardia ceka) e inventa il primo "Golden gol" dell' eurostoria, nelle battute
iniziali del primo tempo supplementare. Anche stavolta, pero' , c'e' qualcuno a spianargli la strada. E'
il meno sospettabile di tutti, Kouba, il portiere paratutto, che sul suo diagonale di sinistro si oppone
a mani aperte, schiaffeggiando il suo personale sogno e quello di tutta una piccola nazione al primo
grande appuntamento con la storia. Crudelta' del calcio.
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1996: GERMANIA