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Corriere della Sera

per la 1a volta in Italia uno scrittore recita una sua opera. in 4 audiocassette " lettera a un bambino mai nato " , il celebre romanzo della Fallaci

Oriana, il libro, la voce

" ho vissuto le incertezze e gli strazi, infine la morte, del mio personaggio "

------------------------- PUBBLICATO ------------------------------ Per la prima volta in Italia uno scrittore recita una sua opera. In quattro audiocassette "Lettera a un bambino mai nato", il celebre romanzo della Fallaci colloquio con ORIANA FALLACI TITOLO: ORIANA, IL LIBRO, LA VOCE "Ho vissuto le incertezze e gli strazi, infine la morte, del mio personaggio" - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - Puo' un capolavoro rinascere? Puo' un libro venduto in milioni di copie in tutto il mondo avere una seconda vita? Ci puo' essere un qualche cordone ombelicale che lega un grande romanzo a un' altra "cosa" che viene diciott' anni dopo? Prima di rispondere "no", provate ad ascoltare le quattro cassette con la voce di Oriana Fallaci che legge, recita, soffre il suo Lettera a un bambino mai nato. E' l' ultima fatica ("si' fatica, tanta fatica fisica", dice la scrittrice), l' ultima sorpresa, di una donna che ha combattuto una vita intera contro i potenti della Terra usando la parola scritta e ora si concede con la sua voce a chi vuole entrarle nell' anima, a chi vuole condividere con lei la sofferenza, lo strazio, l' amore, la poesia. "Questo non e' un romanzo, e' un poema", diceva Panagulis di Lettera a un bambino mai nato. Da domani la Rizzoli lancia un' iniziativa senza precedenti in Italia: un cofanetto che contiene la trentasettesima edizione del libro (e i tanti che amano la Fallaci scrittrice potranno appassionarsi a trovare nel volume delle piccolissime, ma assai significative, modifiche al testo) abbinata alle audiocassette in cui la scrittrice, con la sua voce ora roca, ora forte, ora appassionata, ora disperata, innamorata, dolce, crudele, ora sensuale, ora maschile, infantile, ora soffio, ora urlo, legge il suo romanzo. Ha voluto far tutto lei, l' Oriana: e' stata la regista di se stessa, s' e' imposta giornate di quindici ore in sala di registrazione, ha combattuto contro "quel microfono che non ti perdona nemmeno un sospiro", s' e' rintanata nel buio di una saletta dove un piccolo cono di luce illuminava soltanto le pagine del libro, s' e' schiacciata come una fisarmonica per costringere polmoni e corde vocali ad assumere i toni della voce di un bambino, di un inquisitore, di un medico, di un padre, di una donna che lancia una terribile sfida a se stessa e al mondo. Oriana Fallaci ha anche voluto scegliere personalmente le musiche che segnano gli "stacchi" tra uno e l' altro dei trentadue capitoli del libro. Curiosamente ha usato sempre sinfonie nordiche, come quel misterioso Greensleeves che apre e chiude l' opera in audiocassette. Ma, adesso, la parola a Oriana Fallaci che ci accompagna, con la sua voce, in un drammatico e meraviglioso viaggio. (f.c.) "Il sesso inutile", "Penelope alla guerra", "Gli antipatici", "Se il Sole muore", "Niente e cosi' sia", "Intervista con la Storia", "Lettera a un bambino mai nato", "Un uomo", "Insciallah" e le corrispondenze di guerra dal Vietnam, dal Medioriente, dall' America Latina, dal Bangla Desh, dall' Arabia Saudita, dal Kuwait, i reportages dagli Stati Uniti, i celebri incontri coi padroni del mondo: e' una vita che attraverso la parola scritta lei colpisce al cuore milioni di lettori. Ed ora quella parola scritta diventa voce... "Ma la parola scritta non e' muta! E' voce. Anche quando leggo con gli occhi e basta, io non odo il silenzio: odo una voce che mi parla, mi legge. E piu' che mai quando scrivo perche' , mentre scrivo, io non sto zitta. Bisbiglio a me stessa le frasi, me le detto, me le recito, ne faccio una colonna sonora il cui tono corrisponde a quello del racconto o dei dialoghi... Infatti, se il racconto e' triste, la mia voce diventa triste. Se e' allegro, la mia voce diventa allegra. Se a dialogare e' un uomo, la mia voce diventa una voce da uomo. Se e' un bambino, la mia voce diventa una voce da bambino... Voglio dire: v' e' un legame fisico, un continuum materiale, fra l' apparente astrattezza della parola scritta e la corporeita' della parola parlata. Proprio come nella musica dove l' apparente astrattezza delle note scritte e' in realta' una festa di suoni e di voci. No, io non riesco a scindere lo scritto dal parlato. Ben per questo leggo sempre volentieri . ad alta voce, intendo, cioe' in pubblico . brani dei miei libri. L' anno scorso, in inglese, ho letto pagine di Insciallah a New York, a Chicago, a Boston, a San Francisco, a Washington. E,dopo che il romanzo e' uscito nei vari paesi d' Europa, in inglese o in italiano l' ho letto ad Amsterdam, a Dusserdolf, ad Amburgo, a Berlino, a Goteborg in Svezia, a Zurigo, a Barcellona dove mi sono addirittura permessa di cimentarmi in spagnolo. E ogni volta m' e' parso di fare la cosa piu' normale del mondo. Cioe' di restituire la parola scritta alla sua essenza originaria: la corporeita' del suono che la partorisce". Eppure con queste sorprendenti cassette di Lettera a un bambino mai nato lei ha inventato una cosa nuova. Un modo diverso e originale di far conoscere, diffondere la cultura. "No, no, no. Non ho inventato nulla, purtroppo. A parte il fatto che in Paesi come la Francia e gli Stati Uniti gli audio books, cioe' gli audio libri, costituiscono ormai un florido mercato, e' da Adamo ed Eva che la cultura si diffonde attraverso la parola parlata. L' Uomo ha tre milioni di anni, sembra, ma la parola scritta ne ha poche migliaia. Cinque o seimila, se e' vero che i primi a trasformare in segni i suoni della voce sono stati i sumeri e poi gli egiziani. Non sono appena del 3500 avanti Cristo le mitiche tavolette di argilla trovate a Uruk, insomma il primo esempio di sistema grafico? Non e' appena del 2500 avanti Cristo la famosa statuetta dello scriba egizio che scrive su un papiro appoggiato sulle ginocchia? Perbacco! Tre milioni, anzi due milioni e novecentonovantacinquemila anni son tanti... Non e' pensabile che prima di inventare la parola scritta l' Uomo se ne sia stato li' come un coglione a grattarsi la pancia. Che cioe' non abbia elaborato sentimenti e idee, diffuso e tramandato fiabe e poesie, leggi e leggende! Le ha elaborate a voce, no? Le ha diffuse e tramandate a voce. Del resto, anche dopo l' avvento della parola scritta, la cosiddetta tradizione orale e' rimasta. Cosa ovvia se si considera che i papiri erano lunghi da comporre, costosi, ingombranti, quindi riservati a una cerchia di eletti, che anche al tempo dei romani erano privilegio di pochi, e che il popolo non sapeva ne' leggere ne' scrivere. In fondo quelle quattro audiocassette, il mio libro parlato, non sono che un ritorno alle origini. Un poetico imbarbarimento". E quali sono, secondo lei, i vantaggi di quel poetico imbarbarimento? "Questi. Leggere con gli occhi richiede tempo, concentrazione, immobilita' . E oggigiorno la gente non fa che spostarsi da un luogo all' altro, si concentra poco, non ha tempo. Di conseguenza, legge sempre di meno. O non legge. Pero' ha ritagli di tempo: il tempo che perde viaggiando in automobile o in treno o in aereo, ad esempio. O il tempo parallelo di cui dispone se fa un lavoro manuale, meccanico. Cioe' un lavoro che permette di pensare anche a cose diverse da quelle che si stanno facendo. Una sarta che cuce, ad esempio. Una domestica che pulisce una casa. Un operaio che sta alla catena di montaggio. Un imbianchino che dipinge un muro, un autista che aspetta... Non e' logico, dunque, che qualcuno legga per loro? Non e' giusto che qualcuno riempia i loro ritagli di tempo facendosi ascoltare? Io la vedo quella sarta, quella domestica, lo vedo quell' operaio, quell' imbianchino, quell' autista, che ascolta le mie audiocassette di Lettera a un bambino mai nato. Lo vedo il viaggiatore che guida lungo l' autostrada del Sole e che invece di una canzonaccia ascolta il mio libro parlato. E poi vedo un insegnante che lo fa ascoltare alla sua scolaresca... Prima di lavorare per me, il mio segretario di New York faceva il maestro di scuola. E quando gli confidai che avrei inciso su nastro Lettera a un bambino mai nato, esclamo' : "For Christsake, lei realizza il mio sogno di maestro. Non c' e' altro modo, mi creda, per indurre gli studenti pigri a conoscere un libro". E come le e' venuta quest' idea, quando? "Molti anni fa. Quasi subito dopo averlo pubblicato. E non fui la sola. A quel tempo anche Liv Ullmann, l' attrice svedese, voleva leggerlo. In teatro. Fu l' anno in cui Ingmar Bergman penso' di girarne un film: progetto sul quale non ci mettemmo d' accordo perche' le alterazioni che egli proponeva eran troppe. Incluso il cambiamento del titolo. Ne parlammo all' hotel Pierre di New York, ricordo, c' era anche Liv Ullmann che aveva organizzato l' incontro, e a un certo punto Liv disse: "Io preferirei leggerlo, farne uno one woman show in teatro". Un paio di anni dopo la medesima idea venne all' americana Faye Dunaway. Faye voleva girare un film da Un uomo, e un pomeriggio piombo' nel mio ufficio di Fifth Avenue con un bustone pieno di fotografie nelle quali appariva truccata da Joan Crawford: la diva che aveva impersonato in Mammy dearest. Me le mostro' a una a una e disse: "Sono stata una perfetta Crawford. Posso diventare una perfetta Fallaci". Le risposi che la ringraziavo moltissimo ma il personaggio di Un uomo era un uomo, era Panagulis, non la Fallaci. Cosi' lei ripiego' su Lettera a un bambino mai nato. Me lo chiese per farne lo stesso one woman show di cui aveva parlato la Ullmann. Altro progetto che non si realizzo' perche' non ero contenta del modo in cui il libro era stato tradotto in inglese e non avevo voglia di mettermi a ritradurlo. Infine, Sofia Loren che lo scorso inverno mi chiamo' per dire: "Oriana, voglio fare la Lettera". Ma ormai avevo gia' deciso di farla io". Rubando il mestiere a lei, a Liv Ullmann, a Faye Dunaway... "Macche' rubare il mestiere! Non dica sciocchezze! Non ho mica girato un film!". No, ma ha fatto l' attrice. Il suo libro parlato e' il lavoro di una attrice. E quando la Fallaci si improvvisa attrice, e' lecito dire che ha rubato il mestiere agli attori. "Le rispondero' cosi' . Anzitutto il libro e' mio, l' ho scritto io, e un autore ha il sacrosanto diritto di leggere . diciamo pure recitare . la propria opera. E aggiungo: se ha una buona voce, se e' capace di usarla, suonarla come uno strumento musicale, nessuno puo' far quella lettura meglio di lui. Perche' nessuno quanto lui sa che cosa voleva dire e come voleva dirlo. Nessuno quanto lui conosce il legame fisico, il continuum materiale, che unisce l' apparente astrattezza della parola scritta alla corporeita' della parola parlata. Ma ammettiamo pure che lei abbia ragione: che la mia lettura sia in realta' una recitazione, che io mi sia improvvisata attrice. In tal caso, senta: con tanti attori e attrici che si improvvisano scrittori, che addirittura pretendono d' essere considerati scrittori veri, che insomma invadono il mio territorio, il minimo che potessi fare era invadere per una volta il loro. Cioe' rendergli pan per focaccia. Detto questo, mi permetta una messa a punto. Un complimento che essi meritano. Io non ho mai guardato gli attori con disprezzo o alterigia. Al contrario. Ho sempre sostenuto che per recitare ci vuole cervello e mi sono sempre stati simpatici. Tra loro ho sempre avuto amici ed amiche. Non dimentichiamo che la mia piu' cara amica e' stata Ingrid Bergman. Malgrado cio' non sapevo, non avevo capito, che il loro mestiere fosse cosi' faticoso. E dopo questa esperienza li rispetto molto di piu' ". Di quale fatica parla? "Di quella fisica, per incominciare. In questo caso, di quella che si dura a leggere ad alta voce dinanzi a un microfono. Perche' una cosa e' farlo dinanzi al pubblico di una universita' o di un teatro, e una cosa e' farlo dinanzi a quell' insetto metallico che ascolta con cento orecchi e capta il piu' infinitesimale rumore. Il piu' inudibile errore. Non puoi sbagliare, con lui. Non perdona, lui. E di conseguenza intimidisce. Oh, se intimidisce! Guardi, io non mi lascio mai intimidire dal pubblico. Anche se in sala vi sono mille persone come e' successo ad Amsterdam e a San Francisco, o duemila come e' successo a Harvard, rimango tranquilla. Perche' il pubblico lo sento amico, indulgente. So che s' e' scomodato a venire fin li' perche' mi vuole bene. Quell' insetto metallico, invece... Dio, che fatica! Resa doppia oltretutto dal particolare che i miei polmoni non sono quelli di un atleta, e che la mia voce non e' esercitata come la voce di un attore. "Chi ne sapeva nulla del diaframma, del fatto che per amministrare il fiato bisogna "appoggiare" la voce sul diaframma?!? Io del diaframma conoscevo soltanto la definizione studiata quando frequentavo la facolta' di Medicina: "Muscolo piatto a funzione respiratoria che separa la cavita' toracica da quella addominale". Cosi' incominciavo a leggere e bang! A meta' frase mi mancava il respiro. Restavo strangolata, soffocata, dal mio stesso respiro. Oppure mi mettevo ad ansimare peggio d' un cavallo, col cuore che mi esplodeva dentro... Senza contare la fatica emotiva, E' duro, sa, calarsi in un personaggio. Vivere le sue incertezze, i suoi strazi, la sua morte...". Quali sono stati i capitoli piu' difficili? "Il primo e l' ultimo. Il primo perche' non riuscivo a imbroccare l' andatura giusta, non trovavo il tono giusto delle cinque parole che aprono il libro: "Stanotte ho saputo che c' eri". L' ho rifatto almeno dieci volte. L' ultimo perche' ... perche' ... Be' , lasciamo perdere. Pero' sono state difficili anche le tre fiabe e il Processo. Il Processo perche' in quel capitolo il libro non e' piu' un monologo, a parlare non e' piu' la donna. Sono i sette giudici testimoni e cioe' il medico, la dottoressa, l' amica, il commendatore, il padre del bambino, i genitori. La voce dell' uno non poteva essere uguale alla voce dell' altro, e di volta in volta ho dovuto cambiarla. Infine sono state difficili, anzi difficilissime, le tre pagine in cui parla il bambino. Ah, quel maledetto bambino! Quanto mi ha fatto disperare!". E chi dirigeva il tutto? Chi giudicava se la recitazione andasse bene o male? "Io. Ed ero un giudice cattivissimo. Spietato. Se avesse udito i berci e gli insulti che rivolgevo a me stessa! "Idiota, cretina, bestiaaa! Che hai combinato, ora va rifatto, mentecattaaa!". Quel povero tecnico faceva certi scossoni...". In parole diverse, ha rubato il mestiere anche al regista. "Si' , ho fatto tutto da me. Come gli attori quando dirigono se stessi, come Clint Eastwood in Unforgiven. Che c' e' di male? E che c' e' di straordinario? Quel libro parlato era un' idea mia, una creatura mia, da anni sapevo come avrei dovuto realizzarlo, quindi non serviva un vero regista. Infatti anche le musiche che separano i capitoli le ho scelte io, le ho mixate e montate io, cucite al testo. Ed e' stato il lavoro piu' piacevole, piu' appassionante. Si' , mi sono divertita moltissimo a maneggiare Grieg, Sibelius, Smetana, Dvorak. Quattro signori per i quali nutro una gratitudine pazza. Mi hanno aiutato tanto nella lettura! Poiche' ad ogni capitolo avevo assegnato il suo brano musicale, e, prima di leggerlo, dicevo al tecnico: "Mi dia la musica". Lui me la dava, nel buio interrotto soltanto dal piccolo fascio luminoso che cadeva sui fogli io la ascoltavo, e ad ascoltarla trovavo il tono giusto". "Sinfonie nordiche per esprimere il dramma" Tutte sinfonie nordiche. Neanche una italiana, vien spontaneo notare. Perche' ? "Non certo per far piacere a Bossi, glielo assicuro. E la risposta e' semplice: perche' le trovo stupende, perche' si adattano bene alla storia del libro, perche' esprimono bene il dramma del libro, e perche' io mi riconosco in quel tipo di musica non mediterranea. Chiedo scusa a chi ne restera' ferito, ma io non ho mai amato le canzoni napoletane. Ne' le nenie arabe ne' il flamenco. Quei suoni sono sempre stati per me un rumore molesto...". E Greensleeves, la canzone che apre e chiude la sua lettura, o meglio, la sua recitazione? "Greensleeves... Guardi, ciascuno di noi ha un motivo musicale che piu' di qualsiasi altro lo tocca al cuore e al cervello. E per me questo motivo e' Greensleeves. Non so nulla, non si sa nulla, di Greensleeves. Ne' chi l' ha scritta, ne' quando, ne' dove. Secondo alcuni si tratta d' una antica ninna nanna irlandese. A me sembra una musica trovadorica, medievale. Una canzone d' amore composta alla corte di re Artu' . La sua dolcezza e la sua malinconia mi struggono talmente che uso dire: "Quando saro' morta, non sprecate tempo in funerali. Anche se mi buttate sotto un olivo, per me va bene. Ma se buttandomi suonate Greensleeves, mi fate una cortesia". A proposito della morte, del resto un tema del libro, c' e' una cosa che vorrei chiederle. Nelle precedenti edizioni, ben trentasei, Lettera a un bambino mai nato si concludeva cosi' : "Tu sei morto. Forse muoio anch' io. Ma non conta. Perche' la vita non muore". Nella trentasettesima edizione che accompagna le audiocassette, per la prima volta una edizione riveduta e corretta, si conclude invece cosi' : "Tu sei morto. Ora muoio anch' io. Ma non conta. Perche' la vita non muore". Com' e' che quel forse e' diventato ora? Che cosa c' e' dietro quel ripensamento? "Nessun ripensamento... Quando scrissi il libro, quella frase incominciava come incomincia nel testo parlato e in questa trentasettesima edizione: "Ora muoio anch' io". Non ho mai avuto dubbi sul fatto che la donna morisse. Pero' si' : dietro cio' che sembra un ripensamento c' e' qualcosa. C' e' una bella storia". Me la racconti. "Ecco qua. Le bozze di Lettera a un bambino mai nato non furono corrette in Italia. Furono corrette ad Atene, nell' appartamento ufficio dove Alekos Panagulis abitava dopo essere stato eletto deputato. E questo fu fonte di molti litigi perche' Alekos pretendeva di partecipare alle correzioni. Da buon poeta, e amando la metrica che uso dare al mio scrivere, sosteneva ad esempio che il libro non andava pubblicato in prosa ma in versi. Un pomeriggio trovai le bozze tutte scarabocchiate da barrette che interrompevan le frasi, le trasformavano in versi. Cosi' : "Stanotte ho saputo . che c' eri . Una goccia di vita . scappata dal nulla...". Oppure interveniva sui verbi, sugli aggettivi, sulla punteggiatura... Non sapevo piu' dove nasconderle, quelle bozze. Una volta, uscendo di casa, le ficcai dentro una pentola. E lui le trovo' anche li' . Ma, soprattutto, non gli piaceva il finale. Cioe' il fatto che la donna morisse. "Assassina! Hai ammazzato, ammazzi, povera donna!" gridava nel suo buffo italiano privo di articoli. E inutile spiegargli che quella morte rientrava nella logica del racconto, inutile rispondergli: "Pensa ai fatti tuoi, il libro e' mio e finisce come voglio io". Quando giunsi all' ultima bozza, mi accorsi che aveva cancellato la frase ora muoio anch' io. E mi arrabbiai di brutto. Oh, se mi arrabbiai! Mi arrabbiai talmente che feci le valigie e rientrai in Italia". Senza salutarlo? "Senza salutarlo. L' avevo presa proprio male. M' era parso un atto di violenza, una mutilazione della mia creatura. Ma tre giorni dopo, mentre stavo nello studio che ancora tenevamo a Firenze, al Poggio Imperiale, ecco Alekos: con un visuccio tutto contrito e un fogliettino in mano. "Sono venuto a proporre compromesso" dice "A firmare armistizio". Poi mi porge il fogliettino, e sul fogliettino c' e' scritto: "Forse muoio anch' io". Be' ... Che cosa dovevo fare? Era cosi' irresistibile col suo visuccio contrito. E la sua difesa della vita era cosi' commovente, cosi' esaltante. Capitolai e pubblicai il libro con la sua frase. Un atto d' amore. Ma quel forse, ovviamente rimasto anche dopo la sua morte, non mi e' mai andato giu' . Mai. E arrivando in fondo alla lettura m' e' venuto spontaneo pronunciare la parola ora. Non forse. Cosi' ho cambiato anche il testo scritto e l' ho finalmente restituito al finale con cui era stato concepito". Bella storia, ha ragione. Ma c' e' un' altra cosa da chiarire. Ed ecco: quando le ho chiesto quali fossero stati i capitoli piu' difficili da leggere, lei ha risposto: "Il primo e l' ultimo". Poi mi ha dato soltanto i motivi per il primo. Per il secondo ha avuto una lunga esitazione ed ha detto: "Perche' ... perche' ... Be' , lasciamo perdere". Che cosa ha lasciato perdere? "Lasciamo perdere". No, invece. Deve dircelo. "E va bene. Ve lo dico. Vede, specialmente in questa versione che restituisce il finale al suo "ora muoio anch' io", l' ultimo capitolo narra la morte della donna. E, com' e' noto, l' anno scorso sono stata operata di cancro, malattia che viene definita inguaribile. Sono malata, insomma, e piu' di quanto racconti agli altri o a me stessa. Inevitabile, quindi, che malgrado il mio amore per la vita, malgrado la furia con cui combatto l' alieno, malgrado la mia speranza di vivere piu' a lungo possibile, io coabiti con l' idea della morte. Intendiamoci: non e' che tale idea mi neutralizzi. Io l' accetto. L' accetto a tal punto che, in quel senso, la mia sola preoccupazione e' morire bene. Cioe' dignitosamente, coraggiosamente, come mio padre e mia madre e mia sorella Nee' ra: tutti morti di cancro. Pero' l' attesa, questa specie di attesa, e' in me. Sempre in me. E dover leggere quel capitolo, quel finale, mi innervosiva. La notte prima di leggerlo non dormii. Non facevo che rigirarmi nel letto, mugugnare "accidenti, accidenti, accidenti". E al mattino ero cosi' stanca che avevo quasi perso la voce. Quasi senza voce mi piazzai dinanzi al microfono, dissi al tecnico mi dia la musica, poi spensi la luce e rimasi nel buio interrotto soltanto dal fascio luminoso che cadeva sui fogli. In quel buio ascoltai il brano di Grieg, La morte di Aase, in quel buio cominciai a leggere, e... Fu come leggere la mia morte. Porca miseria! L' ho riletto cento volte, quel dannato capitolo. Piu' lento, meno lento. Piu' roco, meno roco. Piu' ansimante, meno ansimante. E ogni volta e' stato come leggere la mia morte". Mi scusi. E mi lasci porre l' ultima domanda: che cosa si aspetta dai critici? "Oh, io da quelli non mi aspetto mai nulla di buono. Sono troppo spesso guidati dall' arroganza e dal livore, dalla gelosia per chi scrive nonche' dalla pigrizia. Perche' di rado si scomodano a leggere cio' che giudicano: i libri li sfogliano e basta. O ne guardano le prime pagine e basta. Sono sempre stati cosi' , del resto. Ovunque. Se pensa che l' Odessa Courier defini' Anna Karenina di Tolstoi "robaccia sentimentale, un libro che non contiene una buona idea". Se pensa che il Saturday Review bollo' Dickens dicendo che la sua fama non sarebbe durata a lungo: "Fra cinquant' anni i nostri ragazzi si chiederanno perche' i loro nonni misero Dickens tra i maggiori romanzieri del loro tempo". Se pensa che il New York Herald Tribune affermo' che Scott Fitzgerald non era un romanziere e che Il grande Gatsby sarebbe durato una sola estate... Con me non sono mai stati giusti, neanche gentili. Pensi alle fotografie crudeli che certi giornali amano pubblicare di me. Fotografie che mi sfigurano, che mi ridicolizzano. Pensi alle calunnie che hanno scritto su di me. Calunnie per cui ho fatto causa. Pensi alle cattiverie e gli insulti con cui alcuni hanno accolto l' uscita di Insciallah, compiacendosene poi con titoloni di questo genere: "L' Oriana ferita". Con Un uomo accadde lo stesso. Anzi peggio. E cosi' per Lettera a un bambino mai nato. Inconsapevolmente parafrasando il giudizio dato su Il grande Gatsby dallo Herald Tribune (il che mi pone in ottima compagnia), una giornalista incomincio' l' articolo cosi' : "Brutto, brutto, bruttissimo. Durera' una sola estate". Be' , e' durato assai piu' d' una estate. Ha ormai compiuto diciassette anni e solo in Italia ha venduto un milione e mezzo di copie. Non era neanche tanto brutto anzi bruttissimo, visto che e' stato tradotto in tutte le possibili lingue compreso l' arabo e il cinese, il farsi e il bengali, e visto che ovunque vien salutato come un bel libro..." "Il vero critico e' il pubblico" Ma sulla sua lettura, la sua recitazione col commento musicale, che cosa pensa che diranno? "Che ne so? Suppongo che i piu' ostili si divertiranno a sbeffeggiarmi. Qualcuno sghignazzera' ora fa l' attrice, si crede d' essere Eleonora Duse, qualcun altro strillera' che ho rispolverato una cosa vecchia, qualcun altro ancora mi dedichera' una vignetta dove appariro' con la bocca spalancata e la cetra in mano... Ma non importa. Io ho sempre sostenuto che il vero critico e' il pubblico, che se il pubblico ti legge e ti ascolta vuol dire che non sei un fesso, e sono certa che alla gente il mio libro parlato piacera' . Chiarito cio' , sui critici malevoli ho un' ultima osservazione da fare. Questa. In passato ho sofferto, si' , a causa loro. Pero' stavolta non credo proprio che soffriro' . Sa perche' ? Perche' le malattie cosiddette inguaribili regalano un grande distacco. E ormai v' e' in me un grande distacco. Alle perfidie gratuite, alle piccole cose sgradevoli, guardo con un' alzata di spalle". Intervista raccolta da Francesco Cevasco ------------------------- PUBBLICATO ------------------------------ Oriana Fallaci racconta. L' idea covata per anni, la clausura in sala di registrazione, la scelta delle musiche Il dramma di leggere l' ultimo capitolo. Perche' diciotto anni fa il vero finale venne cambiato TITOLO: Bambino, maledetto bambino, quanto m' e' costato darti la voce! - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - -

Cevasco Francesco

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(21 settembre 1993) - Corriere della Sera

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