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Culture

Little Tony, il rocchettaro dal cuore matto

Uno come lui se fosse nato in Inghilterra l'avrebbero fatto baronetto, se fosse nato in Francia gli avrebbero dato la Legion d'onore per meriti artistici.

martedì 28 maggio 2013 00:28

di Francesco Troncarelli

Questa volta il suo "cuore matto" non c'entra niente, non è stato lui a tradirlo, ma quello che viene chiamato da sempre il male del secolo, il male che non perdona e che da più tre mesi lo stava finendo giorno dopo giorno.

E così Little Tony, uno dei cantanti più amati e seguiti dal pubblico per la sua bravura e verve, se ne è andato in punta di piedi, quasi in incognito, contrariamente a come aveva sempre vissuto, ovvero in movimento e sotto i riflettori, da grande seguace del rock quale era, vuoi per concerti su e giù per l'Italia (130 serate all'anno!), vuoi per interviste e partecipazioni televisive.

Sì perché, Antonio Ciacci, nato a Tivoli 72 anni fa da genitori musicisti, Little in omaggio al grande Little Richard, è stato uno dei grandi protagonisti della musica leggera italiana. Dominatore delle classifiche di Hit Parade, animatore di spettacoli storici come "Canzonissima" e il "Cantagiro" e naturalmente di Sanremo. Era un artista che non passava inosservato anche esteticamente, con quel ciuffo ribelle e quei vestiti alla Elvis con cui si agghindava anche fuori dal palcoscenico e che lo dstinguevano dagli altri.

Aveva cominciato giovanissimo ad esibirsi insieme ai fratelli Enrico e Alberto per le feste di piazze e nelle balere, poi venne scoperto da un manager inglese mentre cantava allo Smeraldo a Milano, durante l'avanspettacolo e da lì iniziò la sua fortuna. Ad appena 16 anni, si ritrovò in Inghilterra catapultato nel programma televisivo che andava per la maggiore, "Boys meet girls", dove fece subito colpo.

Quel ragazzino italiano che di inglese masticava poco o nulla, divenne un idolo per i teen agers britannici dall'oggi al domani, un fenomeno mediatico ante litteram, tanto che un brano interpretato da lui, "Too Good", arrivò addirittura nella Top 20 inglese insieme ai big del momento come Cliff Richard e Frankie Laine.

Quello show nella tv d'oltremanica fu il suo trampolino di lancio. Era il 1959, il suo nome iniziava a girare anche in Italia, e lui del resto era già personaggio senza saperlo. Aveva il look del ribelle, col giubbotto di pelle, i jeans e gli occhiali da sole e soprattutto faceva il rock and roll, la vera novità che stava scuotendo i giovani.

Sarà lui infatti, insieme a Celentano, con cui dividerà il trionfo e lo scandalo di Sanremo col famosissimo e travolgente "24 mila baci", a portare il rock nel Belpaese, dando vita a un cambiamento di costume.

Prima infatti, in una Italia immersa nelle atmosfere bacchettone quale era quella degli anni Cinquanta, i giovani erano già adulti da ragazzi, non contavano nulla, non decidevano e non facevano notizia. Con l'avvento del rock tricolore di cui Little Tony era un portabandiera, è cambiato tutto. E la stessa canzone, con personaggi come lui e il Molleggiato, epigoni casarecci di Presley, si è trasformata da intrattenimento senza età a cultura giovanile. E scusate se è poco.

Rocchettaro dalla testa (ciuffo a banana) ai piedi (stivaletti), Tony è diventato però, paradossalmente, famoso e applaudito dal grande pubblico, per canzoni dai sapori melodici e di grande impatto, che sono entrate nella memoria collettiva e hanno fatto parte della colonna sonora di un Italia in cammino, dal boom economico ai giorni nostri.

"Cuore matto", "Riderà", "La spada nel cuore", "Bada bambina", "La folle corsa", "Quando vedrai la mia ragazza", Love boat" alcuni dei suoi brani più popolari e di successo diventati degli evergreen che hanno superato la barriera della generazione di riferimento, vere e proprie chicche di una carriera lunghissima nel corso della quale ha venduto oltre venti milioni di dischi, partecipato a dieci edizioni del festival di Sanremo, vinto tre Dischi d'oro e girato una trentina di "musicarelli", i film tanto in voga negli anni Sessanta costruiti su una canzone e su chi la cantava che ottenevano incassi strepitosi.

Uno come lui se fosse nato in Inghilterra l'avrebbero fatto baronetto per meriti commerciali, se fosse nato in Francia gli avrebbero dato la Legion d'onore per meriti artistici, se fosse nato negli Stati Uniti, sarebbe stato ricevuto da mr president Obama che avrebbe ballato cheek to cheek con la firstlady Michelle "Riderà", due milioni e mezzo di copie vendute nell'estate di fuoco 1966.

Ma lui, ha avuto la particolarità di essere cittadino sanmarinese con addentellati sulla Tiburtina e dintorni, e la cosa è finita lì.

Ora che il piccolo Antonio non c'è più, ci mancheranno quella sua carica di simpatia che dispensava col solo sguardo, quel suo ciuffo a banana immutato nel tempo che lo rendeva unico, quelle sue canzoni senza pretese ma dal ritornello appassionato e appassionante, quel suo rock tricolore che strizzava l'occhio ai grandi miti a stelle e a strisce, senza mai sfigurare. Perché fatto col cuore. Matto sì, ma sicuramente vero.