Dal 1920 alla Seconda Guerra Mondiale

 

La sconfitta dell’Austria porta sotto il tricolore le valli trentine, altoatesine, il Cadore e il Comelico dove lo sci è di casa. Lo Ski Club Torino, con il CAI locale, riprende immediatamente l’attività, imitato ben presto dai Club di Milano e Lecco; la smobilitazione degli sciatori, però, non è immediata ma procede a scaglioni per tutto il 1919. Il primo campionato italiano del dopoguerra  si svolge nel 1920. Mancando un organo federale, l’iniziativa viene assunta dalla SEL di Lecco che organizza la manifestazione a fine marzo ai Piani di Bobbio, in Valsassina. Solo 23 concorrenti, distanza di 15 km. Assenti i formazzini, che sostengono di non esserne venuti a conoscenza, la gara di fondo vede il successo del cortinese Enrico Colli, che precede di dieci minuti Nino Castelli, della società organizzatrice. Imponendosi nella prova di salto da un trampolino improvvisato e raggiungendo la lunghezza di m. 15,50, Castelli  precede Colli nella classifica del campionato assoluto che non viene disputato l’anno successivo a causa della mancanza di neve a Cogne. Riprende nel 1922 a Clavières a fine febbraio. Stavolta lo squadrone della Val Formazza si presenta ma è di nuovo Enrico Colli ad avere la meglio, seppure di misura, su Giuseppe e Benigno Ferrera. Per la prima volta viene assegnato ufficialmente il titolo italiano femminile. Campioni a squadre sono invece i Limonesi (foto sotto).

Un ottimo atleta, questo Colli: lo avrebbe dimostrato negli anni successivi nei confronti internazionali affrontando, da neofita autodidatta, gli atleti scandinavi che lo sci di fondo lo tenevano nel patrimonio genetico per tradizione secolare. Da noi era invece uno sport del tutto nuovo, praticato da montanari forti di braccia perché abituati a lavorare nei boschi, ma privi di specifiche conoscenza in tema allenamento, di tecnica e di scioline, con un’attrezza-tura fatta in casa, oppure da un’élite ristretta per la quale costituiva un piacevole diversivo alle escursioni in montagna. Che dire poi della partecipazione femminile? Ragazze abitanti in città, con villa in montagna. Sette quelle che si presentano al via nella gara nel mezzofondo di 5 km. Corrono in camicia e gonna, secondo l’uso di quei tempi e la spunta la torinese Elsa Valobra in 41 minuti 23 secondi, precedendo le contessine Isa e Lea Scheibler di Milano.

Uno sport tutto da scoprire, un’organizzazione da improvvisare. In preparazione per quelle che sarebbero dovute essere le prime Olimpiadi invernali, in programma nel gennaio 1924 a Chamonix, in terra di Francia, quella che si può considerare la prima nazionale si raduna in allenamento al Sestrière, che nessuno immaginava potesse diventare la stazione che conosciamo. Sarebbe diventata il più grande e moderno centro di sport invernali solo una decina di anni dopo, per iniziativa del sen. Giovanni Agnelli. Sul poggio, infatti, si trovavano solo una casermetta militare e una casa cantoniera che funzionava anche come albergo. Gli atleti militari erano i più organizzati sul piano logistico e anche per quanto riguarda gli attrezzi, in quanto dotati di sci da gara di produzione nordica; i civili, quasi abbandonati  a se stessi, disponevano invece solo di sci da turismo, più larghi e più pesanti, fatti da falegnami locali, muniti di attacchi forgiati a mano. Fra sci e attacchi rendevano agli avversari un sovraccarico di un paio di chili; la sciolina di tenuta manco si sapeva che fosse. Si ricorreva a paraffina o alla cera delle candele per agevolare lo scorrimento ed evitare la formazione dello “zoccolo” sotto la soletta. Si procedeva quindi a forza di braccia, senza poter “tirare il passo” più di tanto; la salita, con gli sci che rinculavano, diventava un dramma e faceva l’effettiva differenza fra i nostri atleti, che pure primeggiavano fra i centroeuropei, e i nordici che dominavano le gare.

 Haug Thorleif, norvegese, è la stella dei primi “Giochi” invernali, così chiamati perché i nordici  si erano opposti alla definizione di “Olimpiade Invernale” sottoposta all’approvazione del congresso CIO, ma respinta in quanto mancante di una specifica tradizione. Consistono in due gare di fondo (18 e 50 km) e nel salto per la combinata nordica, e i nostri non sfigurano, almeno per quanto riguarda i piazzamenti. Il divario, però, si riscontra dai distacchi. Enrico Colli è nono sulla distanza più lunga, seguito da Giuseppe Ghedina, dal fratello Vincenzo e da Benigno Ferrera, e dodicesimo nella gara più breve.

I cortinesi e il rappresentante della Val Formazza, esponenti di vallate dove il fondo aveva fatto i primi proseliti, si trovano ben presto ad affrontare avversari altrettanto validi sulle nevi nostrane. Il primo campionato delle Valli Italiane, che registra l’imprevedibile tracollo della Val Formazza, gran favorita, vede infatti primeggiare l’Alta Valtellina. Schierando Erminio Sertorelli, Erminio Confortola, Felice Alberti, Gervasio Martinelli, Erminio Calclini, ha la meglio sulle formazioni di Cortina e della Valtournanche.

L’eco dei Giochi è rimbalzato al di qua delle Alpi, il fondo fa progressi nelle vallate, dove costituisce un diversivo alla routine quotidiana e dove già durante la guerra aveva avuto una notevole diffusione a seguito dei corsi organizzati dagli alpini per le necessità belliche. Come tutto lo sport in generale, trova un terreno fertile nel regime fascista che nel frattempo è salito al potere.

Il 2 febbraio 1924 nasce la FIS, con sede a Stoccolma, e il primo atto della Federazione Internazionale dello Ski è l’istituzione del “Concorso Internazionale” che negli anni successivi si sarebbe trasformato nel campionato mondiale a scadenza biennale. La Federazione Italiana vive anni difficili, condizionati dalla politica.  Il presidente ing. Gino Ravà, che ha avuto il merito dello sviluppo dell’attività istituzionale, promozionale e organizzativa (le società da 52 sono salite a 110 e 10.000 sono i tesserati) è osteggiato dal Fascismo, che vuole piazzare un suo uomo nel Consiglio della Federazione Internazionale. Opportunamente “consigliato” di lasciare la carica a Bonacossa, non si dimette sostenendo di essere stato eletto per meriti sportivi e non in rappresentanza della Federazione. Un braccio di ferro con ripetuti scambi espistolari che gli costa comunque il posto. La sede della Federazione, che  per decisione dell’Assemblea doveva spostarsi ogni due anni, a rotazione, fra Milano, Torino e Venezia, nel 1929, viene trasferita d’autorità a Roma con tutte le altre Federazioni. Aldo Bonacossa, subentrato a Ravà, deve farsi a sua volta da parte poiché la carica non è più elettiva ma di nomina del Coni, che piazza gli uffici della FISI presso lo stadio del Partito Nazionale Fascista. Presidente naturalmente un politico, l’on. Renato Ricci, che è pure segretario dell’Opera Nazionale Balilla; segretario il giornalista Romolo Giacomini. Manterranno la carica fino al 28 aprile 1945. 

Strettamente agganciate al CONI e, per riflesso, al regime fascista, le federazioni possono comunque godere di mezzi e di un’opera di promozione fino allora insperata. L’attività sportiva  da semplice opzione diventa un dovere, quasi un  obbligo fin dalla più tenera età, l’organizzazione si sostituisce all’improvvisazione e può essere programmata ai vari livelli. Gare zonali, nazionali e campionati italiani. Alla squadra nazionale che partecipa ai Concorsi Internazionali FIS biennali  e ai Giochi Olimpici si arriva attraverso apposite selezioni. Lo spirito di iniziativa e la buona volontà dei preti-allenatori non basta più; per i “Giochi” di St. Moritz del 1928 la Federazione assume due norvegesi – Olavsen per il fondo e Carlsen per il salto, sostituiti ben presto dal connazionale Lislegaard ­ –  primi della serie di allenatori scandinavi che avrebbe trovato la massima espressione nello svedese B.H. Nilsson, artefice dello squadrone degli anni ’60 e della medaglia d’oro olimpica di Nones.

Se per i maschi i  problemi maggiori sono ormai risolti con l’effettuazione di un’attività agonistica regolare, il fondo femminile non riesce invece a decollare. Nel 1927 a Pontedilegno, nella prova unica  per dame del campionato italiano, ancora sulla distanza di 5 km, la partecipazione è scarsa sia sul piano quantitativo che qualitativo: la torinese Livia Bertolini Magni, che vince nel tempo di 25’04”, lascia a 10 minuti e mezzo Martina Donati, concorrente locale. Si sarebbero dovuti aspettare altri vent’anni prima di avere un abbozzo di movimento femminile. Nello stesso anno nasce la Staffetta dello Stelvio. Tre frazioni. La prima, dal passo al Livrio, di 2,5 km, la seconda di 4 km dal Livrio alla Cima Nagler, la terza, in discesa, di 2 km, con ritorno al passo. Vince la formazione della Guardia di Finanza, che nell’inverno 1920-1921 aveva costituito a Predazzo la sua scuola sciatori, che ebbe il suo primo accantonamento al passo Rolle.

Il 1933 è l’anno del primo corso per maestri di sci: da questo momento per esercitare ci vorrà il diploma. Il 13 settembre nasce la FISI per fusione con la Federazione del Ghiaccio. Allo sci si aggiungono pattinaggio, hockey e bob. Le società affiliate sono 350, per un totale di 16.000 tesserati. A Cortina, ai campionati assoluti, che assumono l’assetto definitivo con la 18 km e la staffetta, cui si aggiungerà stabilmente la 50 km dal 1935, si presenta per la prima volta la squadra delle Fiamme Gialle, primo gruppo sportivo militare, che vincono la 18 km con Francesco De Zulian, la combinata con Severino Menardi e la staffetta.

 Il 1934 lo si ricorda per la nascita della Scuola centrale di Alpinismo di Aosta e della stazione invernale  del Sestrière, mentre al campionato italiano Giulio Gerardi, uno sconosciuto ragazzotto di Bagni di Vinadio (Cuneo), fra la sorpresa generale batte Gino Soldà, il campione dell’epoca, nei 18 km. Sono questi i primi due grandi personaggi del fondo che ricordiamo in una rubrica a parte che, documenta, attraverso le gesta dei nostri campioni, lo sviluppo e i risultati del fondo italiano in campo internazionale.

Nel 1936 i Giochi si svolgono a Garmisch (foto a sinistra). Per la prima volta entra in scena lo sci alpino La Germania vuole farne lo specchio della potenza del regime nazista e della Wermacht, il suo esercito; il Fascismo non vuole essere da meno. Una questione di immagine per un regime malvisto sul piano internazionale dopo la guerra all’Abissinia e le sanzioni economiche della Società delle Nazioni. Una spedizione che il CONI organizza in ogni minimo dettaglio, istituendo la sede della nazionale nel villaggio di Hammersbach. La squadra militare fa ancora meglio, portandosi al seguito il suo cuoco, un certo Ferrario, alpino di Intra,”olimpionico” delle tagliatelle. Speranze purtroppo deluse visto che Gerardi, su cui si contava, sente la responsabilità dell’impegno e crolla nella 18 km, l’Italia è quarta nella staffetta, dominata dai nordici, contro i quali non c’è niente da fare neppure nella 50 km, in cui si dimostra l’importanza delle scioline per un improvviso vento di scirocco che fa passare la temperatura dai – 8° iniziali a + 15°. Non ci resta che lottare con i cechi per il predominio continentale.

Eccezionale, invece, la prestazione nella gara dimostrativa delle pattuglie militari, consistente in un percorso di 25 km con 840 metri di dislivello in salita. La formazione italiana (cap. Enrico Silvestri, serg. Luigi Perenni, alpini Sisto Sciligo e Stefano Sertorelli), che gode di scarso credito nei pronostici, vince invece con una prestazione eccezionale sia nel fondo che nel tiro, superando la Finlandia di 14” dopo due ore e mezzo di gara. La prima medaglia d’oro olimpica in una gara – seppur dimostrativa – di sci nordico, che ha, come effetto immediato, la spinta decisiva alla costituzione, presso la Scuola Militare di Alpinismo di Aosta, del Reparto Pattuglie Veloci Sci-alpine, il gruppo sportivo militare che negli anni seguenti avrebbe colto tante affermazioni. Proprio per questo gruppo, a dimostrazione della specializzazione cui si sta avviando ormai anche questo sport, viene attrezzata una nuova palestra per la ginnastica sciistica e presciistica con attrezzi specifici per la simulazione e il controllo (con segnalazione automatica acustica  degli errori) dei passi in piano (alternato, doppio, triplo, finlandese, spinta), discesa (spazzaneve), scivolata spinta e salto-discesa.

Dopo Garmisch, l’obiettivo sono i Giochi di Sapporo (Giappone) in programma per il 1940. Una preparazione che parte da lontano, con il nuovo allenatore finlandese Vaino Saares e collegiali a Livigno e che trova conforto nelle prestazioni ottenute nel febbraio 1937 a Chamonix in quella che può essere considerata la prima edizione dei Campionati Mondiali. Si comincia con l’8° posto di Vincenzo Demetz e il 9°di Gerardi nella 18 km, e si continua con la medaglia di bronzo dello stesso Demetz nella 50 km e della staffetta. Formazione di cui fanno parte, con Demetz in ultima frazione, Giulio Gerardi, Aristide Compagnoni e Silvio Confortola. Aristide sarà il più titolato esponente di una dinastia di grandi campioni.

La tappa successiva del percorso di avvicinamento alle Olimpiadi giapponesi , dopo la deludente parentesi dei Mondiali di Lahti, località che sarebbe rimasta indigesta agli atleti azzurri anche negli anni a venire, è la Settimana sportiva di  Garmisch-Partenkirchen nel 1938, che si rivela nefasta per lo sci alpino. Durante gli allenamenti per la discesa libera Camillo Passet cade su un tratto ghiacciato e si frattura la spina dorsale. Passerà il resto dei suoi giorni su una sedia a rotelle. In gara Camillo Sertorelli esce di pista e sbatte contro un albero. Muore due giorni dopo. Trionfo invece nella 18 km, disertata dai nordici, con Giulio Gerardi (nella foto) e sette italiani nei primi dieci.

La FISI allarga i ranghi: 490 società, 27.000 tesserati. La guerra fa saltare le Olimpiadi di Sapporo ma non interrompe l’attività sportiva, poiché il regime fascista vuol far vedere che, nonostante il conflitto, la vita continua in modo assolutamente regolare. Il primo grande appuntamento internazionale diventano i Mondiali del 1941  a Cortina, edizione dichiarata però non valida nel dopoguerra non avendovi partecipato le nazioni impegnate nel conflitto contro l’Asse. Ci sono comunque svedesi e finlandesi. I primi dominano con Alfred Dahlquist  che precede Juho Kurikkala nella 18 km (4° Aristide Compagnoni), ruoli che si invertono nella 50 km, mentre l’Italia è terza nella staffetta, dopo Finlandia e Svezia, con una formazione di cui fanno parte Aristide e Severino Compagnoni, Alberto Jammaron e Giulio Gerardi. A Jukko Kurikkala, morto eroicamente in guerra, è dedicata l’omonima Coppa che costituisce un campionato centro-continentale per atleti juniores.

I campionati assoluti del 1941 in Valgardena vengono dominati dai Compagnoni: Severino vince la 18 km, Aristide la 50. Insieme al cugino Mario e a Silvio Confortola si impongono nella staffetta. Nello sci alpino emerge invece Zeno Colò.

Il 1942 vede praticamente tutti gli atleti in divisa. I campionati italiani diventano appannaggio della Scuola di Alpinismo; solo la staffetta va ad una formazione “civile”, quella dello Sci Ruitor La Thuile. L’attività agonistica continua anche per tutto il 1943; la Staffetta dello Stelvio si corre proprio mentre le truppe alleate sbarcano in Sicilia. Dopo l’8 settembre l’Esercito però si sfascia: il Reparto Pattuglie Veloci della Scuola di Aosta, che ha sede a Breuil-Cervinia, si scioglie e gli atleti sconfinano nella Confederazione Elvetica, passando dal Passo Theodulo. Resteranno due anni nel campo di concentramento di Mürren, dove potranno continuare ad allenarsi perfezionando nel contempo la loro tecnica, per riprendere le gare a guerra ultimata.