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Esce oggi da Einaudi il libro più Dvd "Parole e canzoni", curato da Mollica, che raccoglie l'opera del cantautore dai 20 ai 50 anni
Francesco De Gregori
il poeta che racconta la Storia

di MICHELE SERRA

Francesco De Gregori
 
ROMA - La pubblicistica sui (o dei) cantautori e cantanti ha spesso, o quasi sempre, un discutibile sapore gadgettistico. Materiale celebrativo destinato ai fan. Per riuscire a spiccare in questa zona grigia, parassitaria rispetto al già detto e già fatto attraverso i dischi e le esibizioni pubbliche, servirebbe una qualità di parola che giustifichi il libro. Nel caso di Parole e canzoni (libro più Dvd), da oggi in libreria curato da Vincenzo Mollica per Einaudi Stile Libero (22 euro), l'oggetto facilita assai l'impresa.

Perché l'oggetto è Francesco De Gregori, uno dei non molti cantautori italiani che ha adoperato la parola, fin dai precoci inizi, con un rispetto e una cura perfettamente letterari. Anche se De Gregori non accetta e anzi osteggia gli apparentamenti facili tra poesia e canzone (e non perché valuti la seconda inferiore alla prima, ma perché difende, giustamente, la preziosa e fragile specificità della parola cantata), la sua scrittura sopravvive benissimo anche svestita della musica. Il cuore del cofanetto einaudiano (arricchito anche da interviste, canzoni cantate, apparizioni televisive, occasionali scritti di De Gregori e interventi amichevoli tra i quali spicca quello di Vasco Rossi) è infatti la pubblicazione di tutti i testi delle canzoni del nostro, che sono 149, ordinate cronologicamente, e coprono ormai più di trent'anni di lavoro, dagli esordi con l'album Theorius Campus (1970), in coppia con Venditti, fino ai giorni nostri. Tante, dunque, se si pensa che ogni canzone è un'opera compiuta, ancorché breve, e che la brevità (proprio come accade in poesia) non è certo una scorciatoia, ma un obiettivo spesso faticoso.

È anche la quantità delle canzoni, accanto alla loro qualità, a impressionare il lettore: un corpus di parole così notevole, per quanto scarnificato in versi, è prova di un percorso intellettuale e artistico lungo, complesso, ricco, e infine anche orgoglioso, come per testimoniare che la "canzonetta" è uno strumento artistico dalle possibilità inesauribili, piccolo compendio di narrativa, melodia, spettacolo, poesia, umori politici e culturali...

Ma quello che soprattutto colpisce, percorrendo il libro, è che si debba comunque ricorrere all'anno di pubblicazione del brano per collocarlo esattamente nel tempo, perché tra il De Gregori ventenne e quello cinquantenne non ci sono clamorosi scarti di stile o di intensità o di "genere". Scrivere negli anni del furore politico o in quelli del ripiegamento individuale o in questi, di confusione e guerra, non ha comportato, per lui, troppo evidenti aggiustamenti di linguaggio. E se si considera che De Gregori, tra i cantautori italiani, è decisamente uno dei più "politici", permeabile ai mutamenti di cultura e di costume, tutt'altro che estraneo all'aria che tira e agli umori dell'epoca, questa complessiva unità di stile significa che è un autore vero, uno dei non molti che sanno tenere dritta la barra. Uno dalla personalità artistica così forte e riconoscibile che temi pubblici e privati, invettive (ne ha scritte più d'una) ed elegie, ballate civili e storie d'amore sono comunque e sempre dette in quell'inconfondibile modo (anti-didascalico, antirealistico, metaforico, allusivo, "difficile") che divide da sempre amanti e antipatizzanti di De Gregori.

Risalgono ai suoi primi successi le polemiche sulla cosiddetta "ermeticità" e "aristocraticità" dei suoi testi, giudicati, all'epoca, impolitici, quasi un lusso decadente, distonico rispetto al vigoroso clima "di lotta" nel quale si formarono i cantautori italiani più importanti. Leggere questo libro è una salutare lezione per quei critici (poi passati, magari, dall'impegno militante allo yè-yè del riflusso): senza mai deviare dalle sue scelte linguistiche, è stato proprio Franceco De Gregori a inanellare, anche in controtendenza, molte delle (pochissime) canzoni politiche italiane recenti, dalla Ballata dell'Uomo Ragno a Scacchi e tarocchi, da Agnello di Dio a Rumore di niente, da Sangue su sangue all'attualissima Chi ruba nei supermercati?

Non è dunque lo slogan edificante o lo sbocco retorico a rendere "politica" una scrittura: magari, al contrario, è proprio evitando le scorciatoie ideologiche, o gli adescamenti emotivi, che si può mantenere aperto il proprio conto con l'"impegno". E ci può permettere il raro lusso (da "ermetico", da "aristocratico") di rilanciare, insieme alla grande Giovanna Marini, il canto popolare tradizionale e di vendere centomila copie di uno dei dischi più anacronistici, più sorprendenti e più "di sinistra" del decennio, come ha fatto De Gregori due anni fa.

Tornando al libro, dire che "manchi" la musica (specie nei brani più ritmati, meno dove la melodia è più sciolta e la frase è libera dalla metrica) è perfettamente vero. Manca soprattutto, ovvio, a chi conosce le canzoni, e mentalmente se le ricanta mentre legge i testi, come se leggesse uno spartito. Ma è l'occasione migliore, leggere e basta, per apprezzare la cura e la sensibilità con le quali l'autore tratta le parole, ne trae il significato e il suono, gioca con le rime interne e con le assonanze dell'italiano. Scrive Vasco Rossi, nel suo breve contributo al libro, che nelle canzoni di De Gregori "ogni parola suscita un'emozione, ogni frase suscita una visione". Nessuno scialo, insomma, e nessuna casualità, come usa nel lavoro dei poeti. Ma questo a De Gregori non bisogna dirlo, lui sostiene di fare il cantante.

(12 novembre 2004)

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