RUANDA - La Chiesa locale ha riconosciuto ufficialmente i fenomeni di Kibeho

Kibeho
L’ultima apparizione

di ALBERTO BOBBIO
   
    

  Famiglia Cristiana n.28 del 15-7-2001 - Home Page

A partire dal 28 novembre 1981, alcuni ragazzi videro la Madonna, che anticipò loro i massacri che sarebbero avvenuti pochi anni dopo.

È una capitale del dolore, dolore assoluto come nei lager nazisti, o al museo Yad Vashem, quello dell’Olocausto, a Gerusalemme. Kibeho è un villaggio del Ruanda, cuore dell’Africa dei massacri. Ma Kibeho è anche il crocevia del destino di molti: di tre ragazzi che vent’anni fa affermarono di aver visto la Madonna; di migliaia di donne, uomini e bambini che qui sono stati uccisi in nome della purezza etnica; di un vescovo, Augustin Misago, accusato di genocidio, minacciato di condanna a morte e poi assolto, dopo un processo farsa durato tutto l’anno del Giubileo, da un giudice galantuomo.

Oggi che la Chiesa riconosce come vere le apparizioni della Vergine a Kibeho, il piccolo santuario della Madonna dei dolori può diventare il simbolo della riconciliazione e della pace non solo per la terra martoriata dei Grandi Laghi, ma per l’Africa tutta intera.

Lo dice proprio lui, Augustin Misago, arcivescovo di Gikongoro, la diocesi più povera del Ruanda, dove si trova Kibeho, che ha provato sulla propria pelle l’odio tra gli uomini: «Kibeho è un luogo santo, che serve per ricordare a tutti il ruolo della croce e il valore della sofferenza nell’esistenza cristiana sulla terra».

La Vergine apparve ad alcuni ragazzi a partire dal 28 novembre 1981. I protagonisti sono sette. Uno di loro ebbe anche delle visioni di Gesù. Ma la Chiesa ha riconosciuto solo le apparizioni della Madonna ai primi tre veggenti: Alphonsine Mumureke, Nathalie Makumazimpka e Marie Claire Mukangango. Scrive il vescovo in un rapporto confermato dalla Congregazione per la dottrina della fede: «Ci sono più buone ragioni per crederlo che per negarlo», ma poi ricorda che tale riconoscimento «non è per nulla coperto dall’infallibilità, poggia più su prove di probabilità che su argomenti apodittici».

L’ultimo riconoscimento di un’apparizione della Madonna è avvenuto nel 1976 per la Vergine di Finca Betania in America Latina. In Europa bisogna risalire al 1933, con il riconoscimento delle manifestazioni soprannaturali di Banneaux e di Beauraing. Ma ciò che fa di Kibeho un evento particolarmente impressionante è che i tre veggenti ebbero il 19 agosto 1982 la visione dei massacri che ci sarebbero stati di lì a pochi anni in Ruanda. Ci sono due conferme. La prima, in due libri di uno studioso americano, Michael Brown; la seconda in un libro di padre René Laurentin, il maggiore mariologo vivente: «Videro gente che si uccideva, corpi decapitati, fiumi di sangue lungo le strade».

Le apparizioni sono state considerate per qualche anno con scetticismo e sospetto. Poi, nel 1988, dopo sette anni di indagini e il lavoro anche di una commissione medica internazionale, il vescovo di allora approvò il culto della Vergine. Oggi viene riconfermato, mentre non sono state prese in considerazione le presunte apparizioni di Gesù.

Nel 1981 monsignor Misago, dopo studi di teologia patristica a Roma, insegnava nel seminario della diocesi di Nyakibanda. Lui cominciò l’inchiesta sulle apparizioni e pubblicò qualche anno dopo un poderoso volume in Zaire. Nel 1992 viene posta la prima pietra del santuario a Kibeho. Ed è in quella chiesa che il 7 aprile 1994 circa ventimila tutsi e hutu moderati si vanno a rifugiare e vengono massacrati. Si avvera la visione della Madonna e la vocazione di Kibeho a capitale del dolore.

Un giovanissimo miliziano ruandese.
Un giovanissimo miliziano ruandese (foto AP).

Massacrati uno a uno a colpi di machete

Alcune voci, che tuttavia non sono confermate nel rapporto, sostengono addirittura che l’ultima apparizione della Madonna sia avvenuta il 15 maggio 1994, in pieno genocidio. I tutsi che si trovavano in chiesa vennero fatti uscire e massacrati ad uno ad uno a colpi di machete. Quelli che non uscirono vennero uccisi con le granate in chiesa.

Ma non è finita la tragedia per Kibeho, perché diventa di lì a poco il luogo della vendetta dei tutsi saliti al potere. Lì si rifugiano gli hutu a decine di migliaia. Sorge un enorme campo profughi, che viene stretto d’assedio il 18 aprile 1995 dall’Rpa, l’esercito patriottico ruandese dominato dai tutsi. È il panico, la gente cerca di fuggire. I militari sparano per giorni.

La cifra complessiva delle vittime non è mai stata accertata. Si parla di 8 mila morti. Le autorità ruandesi ridimensioneranno la cifra a 4 mila. Le strade sono cosparse di sangue, come nella visione proposta ai veggenti 14 anni prima. Ma per Kibeho non è ancora finita. Le autorità ruandesi, tutsi per la maggior parte, vogliono trasformare il santuario in mausoleo del genocidio, simbolo della memoria solo per una parte del popolo.

Non si sarebbe più potuta celebrare la messa. Misago si oppone, la Santa Sede anche, spiegando che una chiesa deve essere luogo di riconciliazione. Misago venne arrestato nel 1999 e accusato di genocidio. Perché? In un libro che verrà pubblicato a settembre dalla Emi, Augusto D’Angelo, ricercatore del Dipartimento di studi politici dell’università La Sapienza di Roma, ricostruisce l’intreccio del dramma di Kibeho.

Alberto Bobbio
    

Un Paese di carceri e tribunali

Oltre centomila detenuti in attesa di giudizio. Un numero spropositato di accusati di genocidio, per i fatti sanguinosi della guerra civile del 1994 che uccise un milione di persone in soli tre mesi, la gran parte di etnia tutsi. A sette anni dai massacri, l’emblema della realtà ruandese sono le sue carceri, grandi e piccole, disseminate ovunque nel piccolo Paese africano. E i suoi tribunali, che col contagocce comminano pene capitali, ergastoli, e qualche assoluzione.

Il problema, insomma, resta il processo di riconciliazione. Il potere è saldamente in mano a Paul Kagame, presidente del Ruanda e, fin dal 1994, "uomo forte" dell’esercito a maggioranza tutsi che conquistò il Paese, e che costrinse a fuggire i massacratori. Il regime che si instaurò allora non ha cambiato linea: l’etnia hutu (85 per cento della popolazione) resta l’etnia sconfitta, e ancor oggi schiacciata; il sistema politico-militare è rimasto poliziesco. Negli ultimi anni, per di più, la riduzione delle agenzie umanitarie ha fatto venir meno quel minimo di vigilanza sul rispetto dei diritti umani.

Il costante controllo militare del territorio è stato sempre motivato dal Governo ruandese con la presenza di guerriglieri hutu, che scorrazzerebbero tra Ruanda, Burundi e Congo orientale rendendo instabile la regione. Ma da più parti si accusa il Governo di Kagame di gonfiare i numeri e la forza della guerriglia per giustificare l’azione militare nel territorio. Con le stesse ragioni il Ruanda ha invaso due anni fa la fascia orientale del Congo, di cui tuttora detiene il controllo. In realtà questa operazione ha consentito un drenaggio di risorse (specie diamanti, oro e minerali preziosi) che ha permesso al regime ruandese di sostenersi economicamente e di spostare le tensioni interne al Paese in un conflitto esterno.

l.sc.

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