Dom 11 Settembre 2016

La prima donna portiere del calcio sardo

 
autore di Federica Ginesu |
La prima donna portiere del calcio sardo
Tempo di lettura: 5 minuti

La chiamavano "rosicchio". Un vezzeggiativo trasformato poi in un nome di battaglia. Quella tra erba e fango per difendere la rete alle sue spalle e non farla violare dalla sfera a scacchi bianca e nera.

Rosanna Mura è una leggenda vivente dello sport sardo. È stata la prima portiere donna o portiera del calcio isolano. Una pioniera che a diciotto anni aveva deciso di rompere pregiudizi e infrangere tabù indossando maglietta, calzoncini, parastinchi, calzettoni e scarpette chiodate per scendere in campo e far vincere la sua squadra. A lei il compito, forse più delicato, vigliare la rete bianca parando gli assalti nemici.

«Ho detto da subito che volevo fare il portiere. Mi sembrava il ruolo più adatto per me, forse perché era quello più importante»
ammette mentre è seduta al tavolo della sala da pranzo del suo soggiorno.

Inizia a giocare a calcio per caso. Faceva atletica a livello amatoriale al campo Cus di viale Diaz col sogno prima o poi di gareggiare. Durante una seduta di allenamento incontra Vasco Cantagalli, storico massaggiatore del Cagliari che sta cercando delle ragazze per costituire la prima squadra sarda di calcio femminile. Rosanna, fresca diciottenne spinta dalla curiosità e dal voler mettersi alla prova, accetta l'invito partecipando alle selezioni. Al centro fisioterapico in via Firenze si presentano 70 ragazze. Rosanna viene scelta tra le venti più promettenti. Iniziano gli allenamenti nel parco di una villa lì vicino. E i momenti dedicati al calcio. 

Le ragazze scalciano e si esercitano in un campetto vicino a Pula, a una decina di chilometri da Cagliari. Cantagalli stracarica la sua "Taunus" e le trasporta. Giusto il tempo del rodaggio per imparare la tecnica e arriva la prima partita del Cagliari calcio femminile.

Il primo maggio 1968, il giorno dell'esordio all'Amsicora contro la temibile Lazio 2000. Un' amichevole che doveva saggiare la preparazione in vista di una probabile iscrizione al campionato. «Non sono stata messa in squadra con mio grande disappunto perché ero bassa»,
ricorda Rosanna.
Al suo posto una ragazza più alta che proveniva della squadra del Pirri, formazione che si era costituita sull'onda dell'entusiasmo che avevano scatenato le apripista cagliaritane. Durante il primo tempo arrivano due gol. «Vengo richiamata dalla panchina. L'allenatore mi dice Rosicchio entra tu. Non aspettavo altro». Le laziali erano scatenate, ma Rosanna inizia a fare parate su parate e salva il risultato spronando le compagne alla riscossa. Arrivano una marea di complimenti e il posto da titolare assicurato in squadra. Il Cagliari si iscrive al campionato della serie maggiore. Arriva anche la prima trasferta e la prima volta che la ragazza divenuta portiere solca il mare e parte per il "continente".

Poche le risorse finanziarie e molti i sacrifici.
«Una volta abbiamo affrontato il viaggio dentro la stiva di una nave e in mancanza di soldi per il pranzo ci eravamo rifocillate con un sacchetto di castagne».
Niente scoraggia Rosanna che, con la squadra, calca l'erba di palcoscenici prestigiosi. Un tour dei templi del calcio italiano. Il Marassi di Genova, il San Paolo di Napoli, il comunale di Torino dove giocava la Juventus e il Flaminio di Roma.

Ottomila persone affollavano gli stadi ad ogni incontro. Il pubblico, all'inizio incuriosito, si appassiona alle gesta di quelle intrepide giovani donne che sfidano i luoghi comuni e giocano come i maschi dimostrando che il calcio non è uno sport riservato solamente agli uomini. Sono artefici di una piccola grande rivoluzione e partecipi in prima persona di quel processo di cambiamento del mondo femminile che prendeva le file proprio in quegli anni.

I giornali dell'epoca titolano a grandi caratteri "Il Cagliari in gonnella sulle orme dei Campioni" o "Il Risveglio delle Penelopi". Perché è ancora radicata l'idea che la donna debba stare in casa. Quella ventina di ragazze conduce invece una battaglia. 

Il calcio femminile abbandona il carattere pionieristico per entrare a tutto diritto nella realtà calcistica nazionale. 

È un periodo d'oro per il calcio sardo. Sono gli anni in cui nell'Isola arriva il tricolore grazie alla vittoria del campionato maschile, Gigi Riva diventa un mito vivente e tutto gira intorno alla palla, non si vive d'altro. Nel '71 Alvaro Amarugi diviene presidente del Cagliari Doors, dal nome dell'azienda che sponsorizzava la squadra, e offre alle sue atlete alberghi lussuosi qualche premio extra e organizza una partita di gala al Sant'Elia contro la nazionale danese.

Durante l'intervista Rosanna si alza e sparisce per un attimo oltre la soglia del soggiorno. Ritorna con un grande raccoglitore i ricordi indelebili delle sue gesta. Prende una foto in bianco e nero e spiega:

«Questo è un gol che mi hanno fatto, perché all'inizio tiravano alto così erano sicure che non riuscivo a parare. Avevo poi capito come trasformarle il mio essere piccola in un vantaggio. Non aspettavo che tirassero. Appena si avvicinavano allo specchio della porta, mi buttavo ai piedi dell'attaccante per evitare il gol».

Negli articoli che conserva si legge "In fatto di coraggio niente da invidiare agli uomini. Anzi guardate come la portiera rischiando l'estetica del proprio viso si getta alla Kamikaze sui piedi della cannoniera Medri della Roma forse Giorgio Ghezzi (uno dei più grandi portieri del tempo) non faceva altrettanto".

Rosanna diventa un idolo del quartiere Villanova, dove risiede, tra autografi e gente che la ferma per strada. Abita in via San Giovanni con la mamma e il fratello, il padre non c'è, li ha abbandonati. Rosanna trova la forza dentro sé. È una ragazza anticonformista, libera con uno spirito fiero che non si incrina nonostante le difficoltà. Si diploma segretaria d'azienda, diventa commessa all'Upim di via Manno e giocatrice eccezionale.
«Mia madre era disperata. Non era d'accordo che giocassi. È venuta una sola volta a vedere una partita al Ferroviario, dietro via Roma. Mi avevano fatto un gol ed era scappata. Nella fuga era caduta dalle scale. Non era più venuta». 

Arriva anche la convocazione in nazionale a 23 anni insieme alla compagna di squadra Enrica Zanda, ala destra. L'emozione più grande. Parte per il raduno di Piacenza e poi per Copenaghen indossando la maglia azzurra col numero uno. Nessun rito scaramantico prima di lasciare gli spogliatoi. «Appena entravo in campo mi facevo il segno della croce. Ripetevo tra me e me: Gesù fai che non mi facciano gol» lo ricorda con gli occhi che si riempiono di nostalgia.

Uno dei momenti più belli - confida - è senz'altro quello legato ai festeggiamenti dello scudetto del Cagliari maschile.
Un giorno memorabile. Lei e le compagne avevano sfilato davanti allo stadio in festa vestendo le maglie delle squadre che avevano giocato durante quella mitica annata. «Io avevo scelto i colori neroazzurri, perché per me dopo il Cagliari c'è l'Inter». Dopo una grande festa negli spogliatoi coi giocatori. «Avevamo brindato insieme ed eravamo diventati amici».

L'incontro col marito Giorgio in una discoteca di via Barcellona cambia il corso della vita da atleta. Si sposa e smette di giocare.
«Non ho rimpianti per quella scelta, perché ho avuto tante soddisfazioni». Non smette però di seguire il mondo del calcio. Super tifosa, fino a qualche anno fa, non si perdeva una partita in curva nord.
È stata per lungo tempo anche segretaria del Centro Coordinamento Cagliari Club. 
Il legame speciale è però con Claudio Ranieri, l'allenatore che non amava i lunghi ritiri, artefice della risalita del Cagliari dalla serie C alla promozione in A. «Parlavamo spesso dopo le partite. Avevamo un bel rapporto. Poi se ne era andato. Ogni volta che tornava a Cagliari andavo ad accoglierlo in aeroporto con un fascio di rose avvolte nei colori rossoblù».

La vita di Rosanna è ancora oggi scandita dalla passione per il pallone. Non solo amore per il calcio, ma anche orgoglio e appartenenza ai colori rossoblù. Un'identità che combacia con la sarditá. «Sono orgogliosa di essere sarda. Detesto chi nega di esserlo» afferma perentoria.

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