Asthmes, Sophie Maurer

Gwynplaine edizioni
Traduzione di Laura Emilia Barchiesi
pp. 77
euro 10

di Alessandra Sarchi

 

Pubblicato in Francia da Les Editions du Seuil nel 2007, Asthmes è una breve raccolta di racconti che Gwynplaine ha riproposto nella traduzione italiana di Laura Emilia Barchiesi, nel 2008. Non un’edizione impeccabile, a partire dalla copertina dove sotto il titolo troviamo la fuorviante dicitura di romanzo, come se la piccola casa editrice anconetana dopo aver avuto il coraggio di tradurre un’esordiente francese, molto ben recensita in patria, avesse voluto allontanarla dal peccato originale di aver scritto racconti. Tuttavia questo coraggio va riconosciuto, e anche quello dell’autrice, Sophie Maurer, che costruisce una sequenza di dieci racconti senza nomi propri, nel senso che i protagonisti, uomini, donne e bambini non sono identificati individualmente, ma col sostantivo generico.

Protagonista prepotente e soverchiante è infatti la città, lo spazio urbano di Parigi verosimilmente, ma pure di qualsiasi metropoli europea, dove l’umanità intrattiene scambi coi propri simili sui mezzi di trasporto, osservandoli, infastidendosene, ricamandoci sopra fantasticherie, per poi rimanere isolata nella propria bolla monadica.

La fermata del metrò, il sedile dell’autobus, o la pensilina in cui si aspetta, ma anche il marciapiede in cui l’altro ci viene incontro, sono dunque i luoghi privilegiati per ambientare queste piccoli solitudini metropolitane, strette fra le abitudini – anche la cortesia e la formalità lo sono – e un grido interiore che vorrebbe proclamare che:

 

“la vita è questa, una terra gelata”

 

 dove a sera percepiamo “con dolore il desiderio degli altri”, mai veramente incontrati, mai veramente amati, perché per Maurer le persone fantasticano di sé e degli altri, ma non raggiungono mai la condivisione.

Sophie Maurer

Sia che si tratti di un’insegnante priva di famiglia e con un amante troppo giovane, o di un immigrato del Mali che mantiene due famiglie, una a Parigi e l’altra nella terra d’origine, i personaggi hanno una difficoltà sostanziale a dare forma ai sentimenti, a nominarli, come se mancasse loro la lingua e al fondo non se ne ritenessero degni. Anche i ricordi sfuggono a una ricomposizione significativa, il loro affluire arbitrario è come un gioco infinito di tessere da ordinare man a mano che si presentano, senza apparente continuità con le svolte essenziali della vita.

Solo il corpo parla un idioma vero:

 

“Quando è solo il corpo a parlare accade, a volte, di leggere tutto con chiarezza, come se la nostra materialità si esprimesse attraverso una lingua universalmente nota”.

 

Non un romanzo, quindi, ma una piccola sinfonia dove il tema centrale - la solitudine – è declinato in dieci variazioni. Un esperimento molto interessante di resa della perdita di individualità che costituisce la forma del vivere contemporaneo, reso nella forma del racconto brevissimo, quello in cui rifulge la cosa intravvista con la coda dell’occhio, l’unica che valeva la pena di essere notata nella confusione e nello smarrimento.

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