Intervista a Iginio Straffi

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Il suo talento è indiscusso, per il disegno prima, per gli affari poi. Dall’infanzia nelle Marche alla conquista del mondo con le sue Winx, Iginio Straffi si racconta a Che Forte!

 

 

 

 

C’era una volta un bambino che amava disegnare e, disegnando disegnando, creò un impero. L’impero è quello delle magiche Winx: una serie distribuita in oltre 130 paesi, oggettistica d’ogni tipo, abbigliamento, film. Il bambino è Iginio Straffi, l’inventore delle fatine pigliatutto. L’uomo che, nato nel 1965 a Gualdi, ha creato una delle case di produzione di serie animate più importanti al mondo: la Rainbow. Il “papà” delle Winx ha accettato di parlare con Che Forte! della sua infanzia, del suo talento e dei suoi sogni.

 

Che tipo di bambino era Iginio Straffi?

«Molto vivace, abituato a stare all’aria aperta, giocare nei giardini e usare le piazze come fossero campi di calcio. Mi piaceva tantissimo organizzare i giochi: prendere, scegliere, fare, raccontare. In genere gli amici si sono sempre fidati della mia fantasia organizzativa. Lo facevano anche quando, una volta cresciuti, si trattava di decidere la vacanza».

L’ha mai combinata davvero grossa?

«Direi di no. Però la mia passione per i fumetti ha fatto preoccupare più di una volta i miei: ero così affamato di nuove storie che mi sostituivo all’edicolante del paese. I miei mi cercavano per campi e boschi (allora non c’era il telefonino!) e poi mi trovavano a leggere fumetti sotto una pila di quotidiani e settimanali».

Quali erano i suoi preferiti?

«Li amavo tutti, dai classici a quelli più artistici. Non ho mai smesso di seguire quel mondo, credo di essere uno dei più grandi conoscitori di fumetti e anche un buon collezionista».

Quali erano, invece, i suoi giochi preferiti?

«Il calcio in assoluto, ma mi piaceva anche il tennis. Spesso poi stavo in campagna e lì c’era un universo di avventure fantastiche. Un forziere colmo di sorprese e non si finiva mai di scoprirle».

Quando è nata la sua passione per il disegno e quando ha capito che era un vero talento?

«È nata quando ero piccolissimo. Mia madre conserva ancora in soffitta caricature e disegni. Alle medie ero conosciuto in tutta la scuola per la mia bravura. Alle superiori passavo pomeriggi interi a disegnare. All’università ero già un disegnatore che guadagnava discretamente».

Come è arrivato al suo primo lavoro di fumettista?

«Come spesso accade si è trattato di fortuna e pura coincidenza. Ho partecipato, assieme a migliaia di giovani, a un grande concorso nazionale. Io, sconosciuto ragazzo di provincia, arrivai tra i primi».

Attualmente come si definirebbe: imprenditore, regista, animatore, artista?

«Sono un imprenditore che modella e indirizza la sua creatività pensando al mercato, ai gusti di milioni di bambini. Sono anche un amante dell’arte e soprattutto del cinema, quindi mi piace tantissimo dedicare le mie energie e i miei sogni alla regia».

 

Veniamo alle Winx. Intanto, qual è la sua preferita?

«Lo sanno tutti: Stella! Poi, non so resistere al fascino di Bloom. Ma in realtà ognuna di loro è la mia preferita perché ogni Winx ha i caratteri meravigliosi della donna e io amo le donne: senza di loro la vita sarebbe molto più triste e piatta».

La nascita delle Winx è stata un’intuizione o il frutto di un lungo lavoro creativo?

«Entrambe le cose, prima un’intuizione e poi un lunghissimo lavoro di affinamento, posizionamento fino ad arrivare al prototipo che aveva già in sé tutte le ragioni del successo».

Perché hanno sfondato a livello mondiale?

«Sono colorate, belle, alla moda, ma soprattutto hanno carattere e personalità. Sanno giocare insieme e sono donne vincenti. Sono modernissime, sono le donne di oggi. Le bambine l’hanno capito subito, prima di tante nonne o zie che pontificano».

Uno dei messaggi che emergono dalle storie delle Winx è “scopri la magia che c’è in te, abbi fiducia in te stesso, punta sulla volontà, sii ottimista”. Lei è così?

«Se non fossi così non avrei creato la Rainbow e non sarei qui a correre con i miei amici e collaboratori da un angolo all’altro del mondo».

È stata più la forza di volontà a portarla così in alto o il sostegno di chi le è stato vicino?

«Molto sta dentro di me, ma non sarei stato niente senza i miei genitori, gli amici e soprattutto mia moglie che lavora con me ed è il primo giudice della mia creatività».

Il talento dev’essere sorretto da grandi sogni per emergere?

«Il talento ce l’hai dentro, ma poi devi lavorare come un matto per farlo emergere: il mondo è pieno di talenti che consumano la vita al tavolo del bar. Una volta che hai scoperto come il talento si coltiva con la fatica, i sogni diventano la benzina che ti aiuta a fare i chilometri sulla strada del successo».

Qual è il modo giusto per sostenere il talento di un figlio?

«Capire se c’è una vera passione, se c’è del metodo e se c’è la forza di sostenere tanti sacrifici. Tutto il resto, la scuola, l’affinamento, sono cose che vengono dopo, anche se sono fondamentali, così come è fondamentale l’arte di osservare gli altri, quelli più bravi di te».

Lei ha figli? Se sì, può dirci che cosa guardano in tv? O che cosa le piacerebbe che guardassero se li avesse?

«Io ho milioni di figli che sono i bambini che guardano le mie storie. Quando avrò finito di correre tutto il giorno e avrò dei figli miei allora le dirò che cosa guardiamo insieme stesi sul divano la sera».

Il 26 maggio aprirà Rainbow Magicland, un parco divertimenti vicino a Roma, a Valmontone. Quanto c’è di suo in questo progetto?

«Molto, dal momento che ho sempre sostenuto che quando tu ami un personaggio lo vorresti avere con te tutto il giorno e il parco è un allargamento di questo concetto».

Possiamo definire Magicland la Disneyland italiana? La definizione la onora o la infastidisce?

«Tutto ciò che esce da Disney mi lascia sempre attonito per la loro grande capacità di creare magia e sogno. Sono i più bravi e io amo Disney».

 

Sabrina Barbieri

Aprile 2011

In : Talento

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