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Il mediatore culturale nelle aree di sosta per zingari.

di Paola Santoro*

 

1. Presentazione

Il ruolo del mediatore culturale nei campi nomadi prevede il raccordo fra comunità ed istituzioni e viceversa,  ma anche la progettazione di interventi a favore della scolarizzazione, degli inserimenti lavorativi e della valorizzazione e promozione delle differenze culturali di cui gli zingari sono portatori.

Prima di iniziare a lavorare con gli zingari non li conoscevo o sapevo di loro quello che più o meno sanno tutti: lavorando a Telefono Azzurro molte persone chiamavano chiedendo di essere aiutati a risolvere il problema di bambini zingari infreddoliti che chiedevano l’elemosina in mezzo alla strada con la propria madre. La risposta era sempre la stessa: di rivolgersi ad un vigile. Questo perché era veramente difficile che i Servizi Sociali potessero farsi carico di persone rispetto alle quali difficilmente si poteva risalire all’identità e senza un domicilio fisso.

Era una situazione fra le più frustranti ma non mi riconoscevo particolari pregiudizi nei confronti degli zingari e quando mi chiesero di iniziare a lavorare in un’area sosta del Quartiere Navile (Bologna) pensai che poteva essere una opportunità per entrare in contatto, non telefonico, con questa realtà complessa ma anche affascinante. Questo è ciò di cui vorrei parlare.

 

2. Storia delle origini

Quando sentiamo parlare di zingari più o meno tutti abbiamo in mente qualcosa. O perché abbiamo letto delle loro tradizioni e cultura. O perché ne abbiamo incontrati nei contesti in cui lavoriamo (so che molti di voi sono insegnanti e credo che non siano stati rari i bambini zingari inseriti nelle vostre classi). O perché li abbiamo incontrati in circostanze non positive: molti vengono obbligati da zingari ad una impropria lettura della mano e molti zingari vengono considerati responsabili di furti e reati.

Il popolo zingaro ha acquisito l’identità di popolo per l’ONU nel 1979.

In realtà quando parliamo di zingari parliamo di un popolo antichissimo le cui origini sono rimaste avvolte nel mistero per secoli in parte perché gli zingari stessi hanno contribuito a creare storie e leggende ad uso e consumo dei paesi che attraversavano e dei popoli che incontravano, in parte perché agli zingari non piace soffermarsi sulla propria storia oltre a due, massimo tre generazioni.

Già nel Medioevo, ma ancora più nel Rinascimento, molti studiosi tentarono di fare luce sul mistero delle origini, ma solo successivamente con gli studi linguistici, quando cioè fu possibile studiare la lingua degli zingari, furono ricostruiti la storia ma anche gli itinerari seguiti da questo popolo.

Ora si sa che la lingua zingara, il Romanes, appartiene alla famiglia delle lingue indo-europee e che ha conservato nei secoli oltre alla straordinaria capacità di assimilazione di elementi nuovi, anche un nucleo talmente forte che nonostante la distanza, un rom della Bosnia non avrà seri problemi di comunicazione con un rom abruzzese!

Gli zingari sono originari dell’India da cui partirono prima del X secolo, forse in seguito ad una grave carestia o a conflitti con popolazioni confinanti. Di questa prima migrazione non ci sono testimonianze perché era abbastanza frequente che gruppi di persone si spostassero a quei tempi dall’India all’Iran.

Solo in Iran verso la metà del X secolo fu possibile rintracciare testimonianze della presenza di zingari che nel frattempo avevano fatto fortuna come indovini, maghi, danzatori e musicisti ma che erano conosciuti anche come temibili predoni.

E’ in Iran che secondo alcuni studiosi il gruppo si divide: parte si sedentarizza e parte, a seguito dell’invasione araba, si sposta in piccoli gruppi e in momenti diversi verso i territori di Bisanzio.

Nell’Impero Bizantino, siamo all’inizio del XIV secolo, il popolo zingaro incontra varie culture fra cui quella cristiana e lingue con cui arricchisce moltissimo il proprio vocabolario.

Dalla cultura cristiana apprende in parte riti e credenze e il fatto che in quell’epoca i pellegrini erano considerati viaggiatori privilegiati a cui veniva riconosciuto il diritto di ospitalità e protezione.

Queste conoscenze furono messe a frutto quando agli inizi del XV secolo, sempre in modo "epidemico" e non massiccio, il popolo zingaro si sposta, probabilmente sotto la pressione dell’invasione turca dall’Europa balcanica all’Europa occidentale.

Prima in Ungheria e in Germania poi intorno all’anno 1420 in Italia, il popolo zingaro attraverso piccole avanguardie raggiunge tutti i paesi d’Europa.

Ovunque raccontavano di venire dall’Egitto e di essere diretti a Roma per avere l’assoluzione papale per il peccato di apostasia. L’accoglienza riservata a questi gruppi, vestiti sempre in modo sfarzoso e capitanati da duchi, re e potenti, nonostante le lettere di protezione che venivano esibite (prevalentemente false) non fu sempre buona.

Questo perché nonostante la fede cristiana che professavano, avevano comportamenti che non erano in linea con quanto gli zingari stessi dichiaravano: spesso venivano sorpresi a rubare e le pratiche divinatorie di cui si dicevano esperti non erano viste di buon occhio dalla chiesa locale.

In Italia, dunque, arrivarono intorno al 1420 e di questo primo contingente alcuni ripartirono riattraversando le Alpi, mentre altri decisero di restare. Probabilmente quelli che conosciamo come Rom abruzzesi e calabresi non fecero parte di questo contingente: la mancanza di elementi linguistici slavi e tedeschi fa pensare agli studiosi che questi due gruppi avessero raggiunto l’Italia ancora prima, direttamente dalla Grecia via mare. Quelli che restarono sono invece gli attuali Sinti.

La fredda accoglienza riservata dalle popolazioni a questo gruppo così peculiare e misterioso si trasformò già dalla metà del XV secolo in editti e decreti contro gli zingari o egiziani, come ancora venivano chiamati.

Le pene previste andavano dall’espulsione all’assimilazione forzata di intere popolazioni di zingari allo stile di vita dei sedentari.

Durante l’Illuminismo Maria Teresa d’Austria e suo figlio Giuseppe II tentarono di porre fine allo sterminio con il genocidio culturale. Gli zingari furono obbligati ad abbandonare le proprie abitazioni, costumi e lingua. In molti casi anche i figli furono portati via per consentire a famiglie di sedentari di allevarli "correttamente".

Naturalmente molti zingari fuggirono e si rifugiarono sulle montagne tentando spesso inutilmente di rintracciare i propri figli.

Anche il re di Spagna, Carlo III, adottò la stessa linea ritenendo i gitani una congrega di malviventi a cui non doveva essere riconosciuta una identità di popolo.

Mentre tutti i paesi di Europa tentavano di risolvere in vari modi il problema degli "egiziani", i principati rumeni proibivano l’uscita dai territori degli zingari che già dalla metà del XIV secolo erano stati ridotti in schiavitù. Rimasero schiavi fino alla metà del XIX secolo e solo in seguito si diede inizio ad una nuova ondata di migrazioni. Una storia, questa, che ha senza dubbio condizionato profondamente lo stile di vita del gruppo degli zingari rom rumeni.

Di fatto lo sterminio di maggiori proporzioni fu quello perpetrato contro gli zingari dai nazisti.

Ne furono uccisi 500.000 nei campi di concentramento ma ai superstiti non fu dato ascolto durante il processo di Norimberga e non fu riconosciuto loro il diritto ad alcun risarcimento per quanto subito. Questo forse perché non avevano una stato a cui riferirsi e una rappresentanza diplomatica.

La storia degli zingari, come si può vedere, è una storia attraversata dalle persecuzioni.

 

3. In Italia

La prima grande suddivisione del popolo conosciuto genericamente con il termine "zingaro" è quella che distingue i Sinti dai Rom per motivi legati soprattutto alle diverse tradizioni culturali oltre che, in parte, alla provenienza e ai diversi tempi di arrivo in Italia.

In Italia gli zingari sono al momento circa 100.000 di cui 70.000 sono di cittadinanza italiana e 30.000 provenienti dalla ex Jugoslavia. Di questi un buon numero arrivò in Italia a seguito della seconda guerra mondiale, dalla Croazia di lingua italiana; la maggior parte in seguito al terribile terremoto che devastò la Macedonia fra la fine degli anni ’60 e ’70 dove numerosi zingari erano sedentarizzati.

Gli ultimi sono arrivati a partire dal 1987 e soprattutto durante la guerra nella ex Jugoslavia, dalla Bosnia e dal Kossovo.

Tra i gruppi zingari di cittadinanza italiana, i Sinti rappresentano il gruppo di gran lunga maggioritario: sono i giostrai, quelli dello spettacolo ambulante, dei piccoli e dei grandi circhi, acrobati, giocolieri e musicanti ma anche allevatori di cavalli.

Per i Sinti, come per i Rom, la divisione in sottogruppi è intricatissima.

I Sinti si distinguono in base alla provenienza (sinti emiliani, veneti, piemontesi ecc.) ma anche alcuni gruppi di Rom italiani vengono individuati in base alla provenienza o al luogo di stanziamento (Rom abruzzesi, calabresi e gruppi ancora minori).

Pure i Rom non italiani si dividono in vari sottogruppi. I rom XoraXanè (mussulmani provenienti dal Kossovo ma anche dalla Macedonia e dal Montenegro), i GagiXanè (cristiano ortodossi provenienti dalla Serbia), i Lovara, gli Ursari ecc.,

 

4. Attuale situazione a Bologna

 

4.1. Nomadismo e sedentarietà

Come in parte è noto, la maggior parte degli zingari non vive più la condizione di nomade ma è prevalentemente stanziale presso aree di sosta attrezzate. A Bologna attualmente ci sono 5 aree sosta di cui 2 per rom slavi e 3 per sinti italiani.

La creazione delle aree di sosta, voluta dalle leggi regionali che a partire dal 1984 nel Veneto tentano di regolamentare la sosta di zingari nel territorio dando anche linee guida rispetto ai temi di scolarizzazione, formazione professionale ecc., se da una parte facilita il processo di sedentarizzazione, già naturalmente presente fra questi gruppi, dall’altra trasforma in modo radicale stili di vita e tradizioni.

Il nomadismo era funzionale al rapporto economico e commerciale con cui gli zingari si intrecciavano al mondo rurale ma con il processo di industrializzazione e con la crisi dei mestieri tradizionali il nomadismo avrebbe probabilmente perso ogni valenza positiva per trasformarsi in una sorta di vagabondaggio senza significato.

Tuttavia tale cambiamento non viene vissuto da queste comunità come un cambiamento positivo.

Prima di tutto per le dimensioni di queste aree, attrezzate in tutto e per tutto come campeggi con luce, acqua e servizi. La convivenza forzata con gruppi diversi crea conflitti e tensioni che non possono essere affrontati come succedeva nel passato. Quando era ancora possibile spostarsi, i conflitti erano gestiti appunto con la partenza di uno dei due nuclei fra cui si era verificato l’inconveniente. Toccava alle famiglie che restavano mediare e riparare.

Ora, date le difficoltà di rilascio di nuove autorizzazioni, le famiglie sono obbligate a sostare nella stessa area ipotizzando strategie per evitare il più possibile il contatto con la famiglia rivale.

Anche i riti connessi al culto dei morti vengono radicalmente modificati. Una volta era previsto che le famiglie colpite dal lutto partissero dal luogo in cui si era verificata la perdita per non tornare più. Questo accadeva prevalentemente quando la morte era stata violenta data la paura profonda che caratterizza il rapporto fra zingari e lo spirito dei defunti.

Ora quello che accade è che viene cambiato il nome ai bambini che si chiamavano come il defunto ma non è più possibile partire.

La perdita del nomadismo viene vissuta con particolare nostalgia dai gruppi di sinti dato che i rom provenienti dalla ex Jugoslavia, nei territori di appartenenza, vivevano per lo più nelle case.

Questo spiega il motivo per cui nei campi di rom della ex Jugoslavia la disposizione delle roulotte, e la costruzione della baracca accanto alle roulotte, riproduce la struttura della casa.

Fra i gruppi di sinti la perdita del nomadismo viene parzialmente compensata dagli spostamenti previsti per le riunioni di culto evangelico a cui la maggior parte di questi gruppi si sono convertiti.

Le riunioni che contano la presenza di centinaia di famiglie hanno la duplice funzione di mantenere il contatto fra i gruppi e di favorire lo scambio positivo con i sedentari attraverso la conversione e la testimonianza dell’esistenza di Dio secondo la religione protestante.

Una recente legge regionale dell’Emilia Romagna prevede la creazione di micro aree di sosta monofamiliari che risponderebbero in buona parte alle esigenze dei sinti italiani non disposti a vivere nelle case. Chi vive in aree sosta private va incontro alle sanzioni previste dal piano regolatore in quanto molti nuclei tendono ad acquistare terreni agricoli su cui posizionare case mobili e roulotte. Molti rom slavi partecipano da anni a bandi di concorso per la assegnazione di alloggi popolari.

 

4.2. Il ruolo del mediatore culturale

Uno degli scopi delle aree di sosta è stato quello di favorire il processo di integrazione anche attraverso progetti mirati alla scolarizzazione e alla formazione professionale. E’ soprattutto pensando al benessere dei minori che viene ipotizzata a Bologna già nel 1988 la presenza di un mediatore culturale nelle aree di sosta che fosse punto di riferimento per servizi ed istituzioni nel rapporto con queste comunità. L’intervento comprenderà solo in seguito l’intera comunità.

Il mediatore culturale nelle aree di sosta tuttavia non è mediatore culturale in senso stretto almeno non nel senso per cui il mediatore, per definizione, dovrebbe appartenere alla cultura minoritaria. Nonostante i vari corsi di formazione istituiti dalle associazioni per la difesa di diritti degli zingari e dall'Opera nomadi nazionale volti ad individuare mediatori culturali zingari, di fatto nelle aree sosta ci sono solo gagi, cioè stanziali, a parlare per gli zingari.

Questo crea non pochi problemi: prima di tutto perché il mediatore è parte di quella cultura da cui da sempre gli zingari si sentono emarginati e esclusi.

Il mediatore culturale che lavora con gli zingari deve anche fare i conti con il proprio senso del tempo e le proprie priorità, i pregiudizi e le rappresentazioni che rischiano di condizionare il rapporto con queste comunità.

Anche la lettura di quanto accade e dei percorsi comuni possono essere diversi.

Solo recentemente ho chiesto ad alcune donne zingare qual era stato per loro il senso della mia presenza per anni al campo. Mi ha colpito la risposta per cui per loro la mia presenza non era stata tanto utile rispetto a quello che io pensavo fossero le priorità del mio mandato ma per la possibilità che avevo dato loro di conoscere tanta gente e di essere meno diffidenti nei confronti degli altri, di noi stanziali. Il rapporto con il mediatore può diventare in questo senso modello di un dialogo possibile.

Dal punto di vista degli zingari il ruolo del mediatore culturale è anche quello di "garante" nei confronti delle istituzioni con cui il rapporto diretto è molto difficile pur essendo, il raggiungimento dell’autonomia di rapporto fra zingari ed istituzioni, l’obiettivo di ogni progetto socio educativo.

Dal punto di vista del rapporto con le istituzioni il mediatore ha il compito di fare da raccordo fra le comunità e i servizi con un mandato particolare che è la creazione di un lavoro di rete intorno a questi gruppi. Il mediatore si occupa di progetti socio educativi e gestionali.

I progetti socio educativi prevedono il segretariato sociale, il disbrigo di pratiche burocratiche, il raccordo con i servizi di Quartiere per cui lavora (è importante capire quali sono le regole, la "cultura" del contesto per cui l’operatore lavora. In questo caso è utile ricordare che ai Quartieri è affidata la gestione dei campi con quanto ne consegue in termini di applicazione dei regolamenti comunali nei confronti degli zingari) e con i servizi che hanno competenze specifiche nei confronti dei minori, scuole ecc.

Con gestione si intende il monitoraggio da parte degli uffici di Quartiere sull’applicazione del regolamento comunale di cui al mediatore spetta la parte ovviamente non sanzionatoria ma educativa nel senso di graduale appropriazione da parte degli zingari delle regole che favoriscono la civile convivenza dentro e fuori dal campo.

Per quanto riguarda la gestione dei campi di rom slavi, le cose vengono complicate dal rilascio e dalla verifica del possesso del permesso di soggiorno oltre che dalla verifica della presenza di abusivi e non autorizzati alla sosta previsti per tutti i campi.

Ogni progetto anche gestionale ha come obiettivo la realizzazione delle condizioni idonee all’autogestione diretta da parte di questi gruppi.

 

5. Conclusione

Nel misurarsi con la cultura zingara, che è frutto come abbiamo visto, di una complessa storia, il mediatore culturale si pone come figura intermedia fra le istituzioni e la comunità e si pone inoltre come colui che tenta di decodificare ad uso di entrambe le parti in causa la realtà attuale e il futuro che si prospetta.

Il compito non è facile, nei confronti di questa popolazione come di altre che si trovano ai margini della corrente principale dello sviluppo dell’occidente e che rischiano di rimanere inceppate nei meccanismi che perpetuano l’esclusione, causando la perdita per la società occidentale di una grande ricchezza di cultura e differenza a causa del processo di omologazione.

Per me è stata un’esperienza arricchente come operatore, come psicologa e come persona, che auguro e vorrei trasmettere a chiunque sia disposto ad apprendere con curiosità.

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* Psicologa, specializzanda in psicoterapia della famiglia, da circa otto anni lavora con le comunità zingare del Comune di Bologna. Ha lavorato sia con Sinti che con Rom, le due maggiori classificazioni con cui viene suddiviso il popolo zingaro, e ha collaborato con una ONG ad un progetto internazionale a favore di un gruppo di zingari stanziali in un paese a pochi chilometri da Bucarest, Romania.

 


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