"Guerra contro il terrorismo" ? Se si trattava di un
film, questa sceneggiatura ufficiale sarebbe stata rifiutata in quanto non stava
in piedi e nascondeva altre motivazioni.
Prima situazione inverosimile: nel 1999, poi nel 2001, i Talebani avevano
stimato che la presenza di Bin Laden sul loro territorio impediva il loro
riconoscimento internazionale e quindi avevano proposto agli Stati Uniti di
eliminarlo o di neutralizzarlo. A loro volta, gli Stati Uniti avevano rifiutato.
Questo è stato rivelato da Laili Helms, rappresentante ufficiale dei Talebani a
Washington . Che non è stato smentito.Perché?
Seconda situazione inverosimile: poco prima degli attentati, Bin Laden, il
nemico pubblico attivamente ricercato, a quanto si dice, da tre anni, era andato
tranquillamente a curarsi a Dubai e vi aveva incontrato il responsabile locale
della CIA .
Terza situazione inverosimile: dopo gli attentati, i Talebani di nuovo avevano
proposto di consegnare Bin Laden, purchè fosse giudicato in un paese neutrale.
Una simile soluzione era stata applicata per l'attentato aereo di Lockerbie, che
aveva dato luogo alla condanna di un cittadino libico.
Ma Bush aveva immediatamente rifiutato. Perché?
Quarta situazione inverosimile: attualmente tutti sanno che gli Stati Uniti
hanno messo in campo, finanziato ed armato Bin Laden per controllare
l'Afghanistan. Si parla meno del fatto che hanno anche utilizzato queste milizie
fanatiche per i medesimi obiettivi in Bosnia, in Kosovo, in Macedonia, in
Cecenia. Perché si rifiutano di rendere palese il dossier sul loro ruolo in
queste guerre, dalle conseguenze tanto tragiche?
Quinta situazione inverosimile: ci hanno raccontato che bisognava eliminare i
Talebani, per garantire la democrazia e far rispettare i diritti delle donne.
E chi mettono al loro posto? L'Alleanza del Nord di quella buon'anima del
Comandante Massoud, con un curriculum sanguinario di terrore e di traffici
criminali. Infatti, chi aveva imposto a Kaboul la Sharia islamica, nel 1994?
Massoud, proprio lui!
Flagrante contraddizione, anche sullo sfondo del problema: tutti sanno che il
terrorismo non sarà eliminato con le bombe, ma aggredendo le ingiustizie e le
oppressioni che gli forniscono il terreno di cultura.
Di conseguenza, viene portato l'attacco alla fame nel mondo, che 15 miliardi di
dollari sarebbero sufficienti ad eliminare? No!
Viene aumentato di 40 miliardi di dollari il budget militare USA. E i bilanci
Europei vanno a seguire.
Invece di risolvere la questione Palestinese, Bush stipula nel novembre 2001 un
contratto, per una cifra enorme (200 miliardi di dollari), per costruire un
aereo da caccia ancora più terribile, il Joint Strike Fighter; ciascuna vittima
di questo riempirà le tasche già ben ingrassate dei costruttori, la Lockheed
Martin e la Boeing.
Tutto questo ci porta a domandarci se la guerra non fosse stata decisa ben prima
degli attentati.
Sì!, ha affermato l'ex ministro Pakistano degli Affari Esteri, Niaz Naïk.
Già dalla fine di luglio, "alcuni funzionari americani gli avevano
parlato di un piano americano inteso a scatenare un'azione militare per
rovesciare il regime dei Talebani e insediare al loro posto un governo di
Afghani "moderati". Il piano dovrebbe avere inizio a partire dalle
basi situate nel Tadjikistan, dove sono già all'opera i consiglieri USA. A lui
veniva dichiarato che, se l'azione veniva confermata, avrebbe avuto luogo prima
delle nevi, al più tardi verso la metà di ottobre."
Come dare una spiegazione a tutte queste situazioni inverosimili?
In realtà, ciò che gli Stati Uniti perseguono, tramite questa guerra, è
costituito da cinque obiettivi ben più ampi:
- Controllare il petrolio e il gas dell'Asia Centrale.
- Imporre le loro basi militari nel cuore dell'Asia, fra la Cina e la Russia.
- Preservare il dominio USA sull'Arabia Saudita.
- Militarizzare l'economia, come "soluzione" alla crisi che sta
maturando.
- Spezzare la resistenza del terzo mondo e la lotta antimondializzazione.
A perseguire tanti obiettivi contemporaneamente, una superpotenza può apparire
forte. In realtà, mostra anche tutta la sua debolezza.
Sempre più contestati, dal terzo mondo all'Organizzazione Mondiale del
Commercio(OMC-WTO), dai giovani antimondializzazione su Internet e nella strada,
gli Stati Uniti e i loro alleati reagiscono con la guerra.
Ma tosto o tardi, i diversi obiettivi entreranno fra di loro in contraddizione.
Mentre la loro arroganza, la loro mala fede, la loro aggressività non fanno che
aumentare la rivolta dappertutto. L'Impero è in crisi!
Chiunque lotta per il progresso, la giustizia e la pace, è dunque spinto a
porsi la domanda sugli obiettivi reali, se si vuole dare una spiegazione a ciò
che sta accadendo attorno a noi.
Prima di tutto risulta necessario domandarsi perché gli stessi dirigenti USA -
che per abitudine minimizzano l'ampiezza di quello che fanno - dichiarano questa
volta che la guerra durerà lunghi anni e che altri Stati dovranno diventarne
gli obiettivi.
Inoltre, questi stessi dirigenti prendono - all'estero, ma anche sul loro stesso
territorio - delle misure di repressione estremamente gravi.
Che loro potranno utilizzare contro qualsiasi opposizione politica, e in
particolare contro il movimento antiglobalizzazione.
Sì!, noi siamo entrati in una nuova forma di guerra, più grave ancora delle
precedenti. Noi siamo entrati nella guerra globale!
Obiettivo n° 1 : Controllare le vie del petrolio.
Molte delle guerre cosiddette "incomprensibili" in realtà sono
conflitti per l'oro nero; questo l'ho già scritto nel mio libro Monopoly
.
Le multinazionali del petrolio USA e il loro governo intendono controllare tutte
le vie che permettono di esportare le enormi riserve di petrolio e di gas
dell'Asia Centrale. Le nostre carte geografiche indicano i Paesi che hanno la
disgrazia di trovarsi sulla strada verso Occidente: Cecenia, Georgia, Kurdistan,
ma anche la Yugoslavia e la Macedonia. Quindi devono subire ingerenze e
altrettante guerre.
Ma queste carte mostrano che le minacce si stanno rivolgendo anche sulla via
Orientale, verso la Cina e il Giappone.
Ecco perché la CIA sostiene attivamente le milizie islamiche Uïguresi
anticinesi dello XingJiang.
Sulla strada verso Sud ci pensa la multinazionale USA Unocal, che intriga da
molto tempo per il controllo di un oleodotto da costruire attraverso
l'Afghanistan e il Pakistan.
Alla fine fruttuosi benefici!
L'industria petrolifera è onnipresente nel cuore stesso dell'Amministrazione
USA.
Ha fornito tutti i ministri degli Affari Esteri dopo la Seconda Guerra Mondiale,
ad eccezione di due. Uno dei quali certamente l'attuale: Colin Powell.
Ma non ha perso al cambio, visto che la famiglia Bush è una delle più
importanti famiglie petroliere del Texas.
E soprattutto perché l'effettivo capo dell'Amministrazione Bush, vale a dire
Dick Cheney, è lui stesso un "pezzo da novanta" di questa industria.
Proprio prima di diventare vice-Presidente, Cheney era stato per cinque anni
alla testa di Halliburton, una delle principali società di servizi per
l'industria petrolifera, presente in più di 130 paesi e che impiega circa
centomila persone. Volume di affari nel 1999: 15 miliardi di dollari. Una delle
400 più importanti multinazionali del mondo.
Per arrivare a così splendidi risultati, Cheney non ha esitato ad ordire
manovre con il governo dittatoriale in Birmania. E in Nigeria, i suoi
investimenti sono fortemente aumentati dopo l'assassinio di numerosi militanti
ecologisti e la repressione delle proteste popolari nel delta del Niger.
Inoltre alcuni responsabili dell'Amministrazione avrebbero appoggiato
Halliburton nel conseguire lucrosi contratti in Asia e in Africa, secondo
documenti del Dipartimento di Stato arrivati nelle mani del Los Angeles Times .
Dunque, la guerra annunciata è arrivata!
In effetti, sono più di vent'anni che Washington manovra e complotta per
impadronirsi dell'Afghanistan, crocevia strategico dell'Asia.
Lo scopo non è variato, ma i metodi sì.
All'inizio si trattò di armare le milizie Islamiche contro l'Unione Sovietica:
la più grossa operazione CIA di tutti i tempi.
Nel 1966 un diplomatico USA in Pakistan confidava: "Voi non potete
gettare miliardi di dollari in una Jihad anticomunista, accettare partecipanti a
questa lotta santa da tutto il mondo ed ignorarne le conseguenze. Ma noi
l'abbiamo fatto. I nostri obiettivi non erano proprio la pace e il benessere in
Afghanistan. Il nostro obiettivo era solo quello di ammazzare dei comunisti, e
cacciare i Russi."
Quindi i moudjahiddins della CIA hanno rovesciato il solo regime che aveva
emancipato le donne Afghane e tentato, malgrado i gravi errori, di apportare un
po’ di progresso sociale.
E come questi moudjahiddins, ultra-poveri, come avrebbero pagato le armi
americane?
Trasformando il loro paese - con la benedizione della CIA - nel primo produttore
mondiale di eroina!
E questo ha comportato la creazione dell'importantissima filiera della droga
Afghanistan - Turchia - Balcani - Europa. Con tutte le sue conseguenze.
Del resto il cocktail "petrolio - armi - droga" è un classico della
CIA.
Dopo questa grande vittoria del "loro" terrorismo, gli Stati Uniti
avrebbero favorito i Talebani, a dispetto delle vive critiche delle
organizzazioni di difesa dei diritti dell'uomo. Interrogata allora sulle sorti
delle donne Afghane, Madeleine Albright rispondeva: "Affari loro, affari
interni!".
La ministra USA degli Affari esteri aveva recitato bene la sua parte di
rappresentante di commercio, quando Unocal aveva invitato sontuosamente questi
Talebani inTexas.
Segnaliamo anche che Henry Kissinger in persona aveva assistito nel 1995 alla
firma sull'accordo per un oleodotto, fra Unocal, il suo socio Saudita Delta, e
il presidente del Turkmenistan.
In seguito, Unocal, e quindi Washington, avrebbero deciso di cambiare cavallo.
Non essendo riusciti i Talebani a rendere stabile il paese diviso, bisognava
puntare su altre forze per rimpiazzare gli alleati di ieri, divenuti scomodi ed
imbarazzanti.
Dunque, questa guerra, decisa ben prima degli attentati, non è più
"umanitaria" delle precedenti!
Ma l'Afghanistan non è sicuramente il solo paese vittima della guerra per il
petrolio e per il gas. Oltre all' Iraq, citiamo fra gli altri il Caucaso, la
Colombia, l'Algeria, la Nigeria, l'Angola... In breve, dappertutto nel mondo,
dove si trova petrolio e gas, gli Stati Uniti decidono che quello appartiene a
loro, e cercano di installarvi le loro basi militari, e provocano, e suscitano i
conflitti che loro giudicano utili ai loro interessi.
Qualsiasi persona di buon senso si domanderà allora: gli Stati Uniti hanno
veramente bisogno di tutto questo petrolio per i loro stabilimenti e le loro
automobili, supponendo ugualmente che debbano conservare l'attuale assurdo
modello economico, sprecone ed inquinante, dove un litro di petrolio,
sottopagato ai produttori, è nei fatti, al netto delle tasse, meno caro di un
litro di acqua?
No!, gli Stati Uniti non hanno proprio bisogno di tutto questo petrolio. Le
riserve dei giacimenti situati negli USA sono fra le tre e le cinque volte
superiori a quelle dell'Asia Centrale. E quelle di gas naturale dieci volte .
Dunque non si tratta di assicurare, come va dicendo il governo degli USA ad ogni
guerra, "la certezza degli approvvigionamenti energetici".
E allora, una nuova domanda, altrettanto logica: il petrolio è veramente lo
scopo ultimo degli Stati Uniti? No, in sé non è uno scopo. È un'arma, una
possibilità di ricatto. Come ugualmente ho scritto in Monopoly (p.112) : "Chi
vuole governare il mondo deve controllare il petrolio. In qualsiasi posto questo
si trovi."
Nella guerra economica che caratterizza il capitalismo, gli Stati Uniti
intendono detenere un mezzo di pressione strategico per il controllo degli
approvvigionamenti energetici dei loro grandi rivali (Europa e il Giappone) e di
tutti gli altri paesi che rischiano di mostrarsi troppo indipendenti.
Ad esempio, se l'oleodotto, che dal Caucaso va verso Occidente, è russo, e non
turco o macedone, l'Europa avrebbe accesso ad un petrolio che Washington non
controllerebbe più.
Inoltre, nel momento di decidere di installare basi militari in certe regioni
petrolifere, Washington non sarebbe costretta ad invitare per questo i suoi
"cari alleati".
Detto ciò, il petrolio è sufficiente a spiegare la guerra contro l'Afghanistan
? No, c'è molto di più, dato che gli Stati Uniti conoscevano bene le difficoltà
per conquistare questo paese. Gli Inglesi e i Sovietici vi si erano già
fracassati i denti!
Obiettivo n° 2 : Imporre le basi militari USA nel cuore
dell'Asia.
Nel 1997, Zbigniew Brzezinski, già citato, definiva l' "asse -
chiave" della politica estera americana: controllare l'Eurasia (Europa
+ Asia), cioè il 75% della popolazione mondiale e il 60% delle ricchezze
economiche e naturali del mondo.
Per questo bisognava indebolire i rivali potenziali: Europa, Russia, Cina. Ed
impedire qualsiasi alleanza fra di loro.
È il continente Asiatico che conosce, e che andrà a conoscere, la più forte
espansione. E in Asia, è la Cina che eccita le bramosie con il suo formidabile
mercato potenziale e il suo eccezionale tasso di crescita del 9,8%, in questi
ultimi vent'anni. La sua produzione, tra il 1990 e il 1999, è pressoché
triplicata.
Secondo certe stime, la percentuale degli USA nel PIB mondiale continuerà a
calare - era del 50% nel 1945, poi del 35% negli anni 60, attualmente è del
28%, ed è destinata a calare al 15 o al 10% verso il 2020 - e sarà raggiunta
da quella della Cina.
L'influenza asiatica ed internazionale della Cina non cessa di aumentare.
Il sogno di Washington è quello di riportare la Cina allo stato di neo-colonia
e di sicuro liquidare il socialismo. Sogno non facile da realizzare, sia con i
dollari, sia con le minacce. In quanto a Pechino, i Cinesi perseguono in modo
imperturbabile la propria strategia: sviluppo accelerato, mantenendo nel
contempo la coesistenza pacifica con gli Stati Uniti. Comunque i dirigenti
Cinesi hanno compreso molto bene l'avvertimento lanciato loro nel 1999, quando
gli Stati Uniti hanno deliberatamente bombardato la loro ambasciata a Belgrado.
In realtà quello che è cominciato con l'Afghanistan, non è altro che
l'accerchiamento strategico di questa Cina troppo ribelle e potente. Nel
retroscena di questa guerra, è la Cina che costituisce sicuramente l'obiettivo
più importante per Washington.
Ma due altre potenze Asiatiche sono allo stesso modo prese di mira: la Russia e
l'Iran. Certamente, la nuova borghesia Russa è attualmente ridotta a ruoli
secondari, i suoi strumenti di azione sono fortemente limitati dalla catastrofe
sociale ed economica provocata dalla restaurazione capitalistica.
Proprio per questo, essa cerca di conseguire al più presto un ruolo
internazionale di peso. Cercando di combinare due metodi...a volte alleandosi
servilmente con l'Occidente, e a volte giocando le proprie carte, per rendersi
maggiormente "indispensabile" e far salire le proprie quotazioni
all'incanto.
Quindi Mosca intrattiene rapporti commerciali e annoda alleanze con quei paesi
classificati da Washington come "canaglia" : Corea del Nord, Iran,
Iraq, Siria...
E Poutin si oppone allo scudo spaziale antimissili, vale a dire al rilancio di
una rovinosa corsa agli armamenti.
Cosa cerca, ad esempio, Washington, sostenendo le milizie islamiche separatiste
in Cecenia? Approfittare del breve periodo, in cui la Russia si trova in un
momento di crisi, per indebolirla stabilmente e impedirle di ridiventare una
seria rivale.
La terza potenza di questa regione, che Washington cerca di destabilizzare, è
l'Iran. Dopo aver organizzato nel 1952 il rovesciamento del troppo indipendente
Primo Ministro Iraniano Mossadegh, dopo aver sostenuto la sanguinosa dittatura
dello Scià
Pahlevi, Washington ha incassato in questo paese una cocente disfatta con la
rivoluzione islamica ed anti-imperialista del 1979.
Per indebolire l'Iran, allora Washington ha deliberatamente provocato la guerra
Iran Iraq (1980-1988).
Ugualmente ha giocato la carta dell'Afghanistan per esacerbare le contraddizioni
tra mussulmani sciiti (Iran) e sunniti (Arabia Saudita, Emirati del Golfo,
Afghanistan, Pakistan). In questi paesi, Washington ha puntato sulla strategia
islamista sunnita del generale Zia , che aveva eliminato tempo prima fisicamente
il Primo Ministro Bhutto. In particolare è con l'intermediazione dei servizi
segreti Pachistani che la CIA ha utilizzato i moudjahiddins afghani.
Obiettivo: fiaccare l'URSS, ma anche l'Iran.-
[ continua...
]INDICE
- La guerra globale è cominciata [ leggi...
]
- Obiettivo n° 1 : Controllare le vie del petrolio [ leggi...
]
- Obiettivo n° 2 : Imporre le basi militari USA nel cuore dell'Asia [ leggi...
]
- Impedire un'alleanza anti-egemonica Cina - Russia - Iran [ leggi...
]
- Controllare il petrolio della Cina [ leggi... ]
- Veramente sotto pressione per trovare Bin Laden? [ leggi...
]
- Obiettivo n° 3 : Preservare il domino USA sull'Arabia Saudita [ leggi...
]
- Obiettivo n° 4 : Militarizzare l'economia come "soluzione" alla
crisi [ leggi... ]
- Obiettivo n° 5 : Spezzare la resistenza del terzo mondo e la lotta
anti-mondializzazione [ leggi...
]
- La necessità di costruire un fronte internazionale [ leggi...
]
- Una guerra "senza limiti" [ leggi...
]
- Le multinazionali Europee sono anch'esse una forza di pace? [ leggi...
]
- Quale sarà l'avvenire ? [ leggi...
]
Impedire un'alleanza anti-egemonica Cina - Russia - Iran
Sicuramente, il principio fondamentale di tutta la politica imperialista resta
"Dividere per regnare".
Su questo continente Asiatico, ecco gli Stati Uniti temere sopra ogni cosa,
spiega ancora Brzezinski, che : "La Cina potrebbe diventare il fulcro di
una alleanza anti-egemonica Cina - Russia - Iran."
Si è delineata una tale alleanza con il "Gruppo di Shanghaï", che
riunisce la Cina, la Russia, e quattro Repubbliche dell'Asia Centrale:
Kazakhstan, Tadjikistan, Kirghizstan e Ouzbekistan. Obiettivo: la cooperazione
contro le incursioni del terrorismo islamico e la collaborazione economica. Una
tale cooperazione sarebbe la ben accetta da queste Repubbliche, anch'esse
danneggiate in modo disastroso dalla restaurazione del capitalismo e dalla
distruzione dell'URSS.
La produzione industriale del Kazakhstan e del Tadjikistan si è abbassata del
60%.
Secondo gli accurati esperti dell'Esercito USA, "un tale fallimento
economico è paragonabile all'entrata in guerra del paese."
Commento di un analista Australiano: "Il nuovo Gruppo di Schanghaï
potrebbe sicuramente emergere come una forza potente contro l'influenza degli
Stati Uniti nelle regione.Secondo l'agenzia Russa Interfax, l'India e il
Pakistan potrebbero essere interessati a collegarsi con questa
organizzazione."
Tutto ciò risulta insopportabile per gli Stati Uniti, che non hanno mai
concesso, in nessuna parte del mondo, l'instaurarsi di un "mercato
comune" che non sia sotto il loro controllo.
Un altro analista ben più importante, Henry Kissinger, ha così esposto la
strategia USA: "Esistono tendenze, sostenute dalla Cina e dal Giappone,
a creare una zona di libero scambio in Asia.Una nuova crisi finanziaria di una
certa importanza, in Asia o nelle democrazie industriali, renderebbe certamente
più celeri gli sforzi dei paesi Asiatici per meglio controllare i loro destini
economici e politici. Un blocco Asiatico ostile, combinando le nazioni le più
popolose del mondo con grandi risorse e alcuni dei paesi industrializzati più
importanti, sarebbe incompatibile con gli interessi nazionali Americani.Per
queste ragioni, l'America deve mantenere una sua presenza in Asia, e il suo
obiettivo geopolitico deve essere quello di impedire la trasformazione dell'Asia
in un blocco ostile, cosa che avverrebbe molto probabilmente sotto la tutela di
una delle sue grandi potenze."
In breve, dividere per regnare! Visto che nella bocca di Kissinger la parola
"ostile" significa: "non sottomesso agli interessi delle
multinazionali degli Stati Uniti".
Perciò, non è assolutamente una scommessa rischiosa se gli Stati Uniti
intervengono in Afghanistan. Essi hanno deciso di utilizzare questo Paese,
situato nel centro del cuore dell'Asia, come base per le future azioni contro le
vicine Russia, Iran o Cina. Washington è interessata all'ex base Sovietica di
Bagram in Afghanistan, ma - cosa più facile - ha già convertito l'Ouzbekistan
in base militare e vuole prendere il controllo degli aeroporti del Turkmenistan.
Obiettivo: cacciare le truppe Russe dalla regione. Veramente molto utile questa
guerra! Tanto più che gli Stati Uniti si aspettano delle difficoltà circa le
loro attuali basi Asiatiche: Corea, Taïwan, Giappone...
L'insediamento di truppe USA in Ouzbekistan è stato presentato come una misura
di urgenza, decisa dopo gli attentati. In realtà, è già dal 1999 che
Washington vi aveva inviato i suoi "berretti verdi", accogliendo anche
numerosi ufficiali nelle scuole militari USA. Inoltre, nel 1999 questo Paese era
stato incorporato in una alleanza militare antirussa, il GUAM : Géorgia,
Ucraina, Azerbaïdjan, Ouzbekistan e la Moldavia.
In effetti, gli Stati Uniti cercano, in ciascuna regione strategica, di
instaurare uno Stato che possa diventare in qualche maniera la loro Israele, la
loro portaerei.
Dopo il Kosovo e la Grande Albania, l'Azerbaïdjan e l'Ouzbekistan sono gli
eletti. Nel Caucaso, l'Azerbaïdjan e la Georgia si sono totalmente integrate
nella strategia USA. Per contro, le Repubbliche petrolifere dell'Asia Centrale
sono più recalcitranti, valutano i pro e i contro di un avvicinamento economico
e politico con la Cina e la Russia.
Come farle oscillare a favore degli Stati Uniti?
Ricordiamo questa massima dell'ex ministro USA James Baker : "Noi non
dobbiamo opporci all'integralismo, se non nella misura in cui contrasta i nostri
interessi."
Presto, se queste Repubbliche petrolifere rifiutassero di sottomettersi, gli
Stati Uniti le destabilizzeranno totalmente, utilizzando ancora più
intensamente le milizie Islamiche di base in Afghanistan.
Uno scenario già sperimentato in Kosovo : è proprio a partire e con l'aiuto
della base militare USA di Camp Bondsteel che i terroristi dell'UCK hanno
attaccato il sud della Serbia alla fine del 2000, e la Macedonia nella primavera
del 2001.
Oggi tutti i Paesi dell'Asia Centrale stanno più o meno ingaggiando una guerra
contro queste milizie pan-islamiste. Delle quali la più importante è il
"Movimento Islamico" dell'Ouzbekistan, addestrato a Mazer-i-Sharif,
che ospita anche le milizie attive in Cecenia e nello Xing-Jiang cinese.
Grazie alla guerra contro l'Iraq, gli Stati Uniti hanno potuto impiantare basi
militari nel Golfo Persico.
Grazie alla guerra contro la Yugoslavia, si sono installati in Bosnia, in Kosovo
e in Macedonia.
Questa volta, sperano di installarsi in Georgia, Azerbaïdjan, Turkménistan e
Ouzbekistan, e stanno modernizzando la loro base turca d'Incirlik e quella in
Arabia Saudita.
Se perverranno a conquistare una posizione molto vantaggiosa, gli USA si
avvicineranno militarmente molto di più all'Iran, al Pakistan e alla Cina, e
accerchieranno ancora meglio la Russia.
Eccellente punto di partenza anche per nuove avventure verso Sud: l'Oceano
Indiano, l'Indocina...
Controllare il petrolio della Cina
Perché Unocal e le altre compagnie USA associate nel consorzio Unocal sono così
interessate a questa via Afghana del petrolio, in definitiva assai rischiosa? Il
petrolio e il gas dell'Asia Centrale sono già adesso esportati verso l'Europa.E
allora?
Secondo Bob Todor, vice-Presidente di Unocal : "L'Europa occidentale è
un mercato difficile, caratterizzato da prezzi elevati per i prodotti del
petrolio, per una popolazione che sta invecchiando ed una concorrenza crescente
da parte del gas naturale. In più, la regione è sottoposta ad una competizione
feroce."
Dunque, il mercato Asiatico risulta molto più interessante per Unocal in
quanto, spiega ancora Todor, questo oleodotto arriverebbe all'Oceano Indiano e
sarebbe ben più vicino ai mercati-chiave dell'Asia: "Le compagnie del
petrolio USA potrebbero vendere in mercati a forte espansione. I profitti
annunciati sono largamente più elevati di quelli del mercato Europeo. Ma la
costruzione non può cominciare se non si insedia in Afghanistan un governo
internazionalmente riconosciuto."
Unocal parla di profitti sui quali confida.
Ma l'Amministrazione USA pensa anche al ricatto che potrebbe esercitare
sull'economia Cinese.
Per cominciare ad applicare le strategia definita da Brzezinski e Kissinger, il
petrolio risulta l'arma sognata. Poiché lo sviluppo continuo dell'industria
Cinese fa aumentare in modo deciso il suo fabbisogno in petrolio e in gas.
Una volta ancora, chi controlla la produzione e il trasporto di queste materie
prime controlla anche l'economia di tutti i paesi che ne sono dipendenti.
Pechino ha intravisto il pericolo.
Alla fine dell'agosto 2000, Xia Yishan, ricercatore all'Istituto di Ricerca per
gli Affari Internazionali di Cina, scriveva: "In ragione di una crescita
economica sostenuta, il nostro Paese ha dovuto importare grandi quantità di
petrolio in questi ultimi anni... Nel momento in cui noi contiamo di investire
all'estero per il nostro petrolio(...), il capitale monopolistico
internazionale, con l'aiuto dei suoi governi, ha allungato la mano sui più
grandi mercati di petrolio e di gas nel mondo. Il capitale monopolistico
occidentale lotta aggressivamente per conquistare le risorse dei paesi dell'ex-URSS.
Senza dubbio, tutti tenteranno con accanimento di impedire alle compagnie Cinesi
di ottenere queste risorse energetiche. Noi dobbiamo formulare al più presto
una nostra strategia opportuna:la soluzione fondamentale risulta la produzione
interna."
E, dopo gli attentati dell'11 settembre, la reazione di Pechino è stata
immediata.
Fin dal 21 settembre, Zhu Xingshan, vice-Direttore dell'Istituto di Ricerca del
Centro Economico dell'Energia ne trae le indicazioni: "Noi avevamo
progettato di installare degli oleodotti per aumentare i nostri
approvvigionamenti, a partire dall'Asia Centrale e dalla Russia, e avevamo già
accordi con la Russia. Ma , in seguito agli attacchi dell'11 settembre, noi
dobbiamo modificare questa strategia.
Obiettivamente gli attacchi hanno fornito un pretesto agli Stati Uniti per
penetrare nell'Asia Centrale."
E parimenti sostiene, per una rapida creazione di riserve strategiche, la
necessità di ricerche più accelerate sulla liquefazione del carbone "lavoro
trascurato da lunghi anni, visti i costi elevati e i danni all'ambiente. Ma, in
seguito agli attacchi dell'11 settembre, noi siamo costretti a cambiare il
nostro atteggiamento a considerare tali questioni."
Veramente sotto pressione per trovare Bin Laden?
Perché il Capo di Stato Maggiore Britannico ha dichiarato, dopo due settimane
di bombardamenti, che questo conflitto "potrebbe durare 50 anni"?
In definitiva, sapevano già dall'inizio che questa guerra sarebbe stata lunga,
ma hanno dovuto attendere un po’ di tempo prima di affermarlo. L'importante
era scatenare la guerra, manipolando l'opinione pubblica e nel forzare la volontà
dei loro "alleati".
Inoltre, decisamente in fretta, il ministro USA Rumsfeld si è messo a
dichiarare in giro che poteva accadere che Bin Laden non si sarebbe più
trovato. Perché?
Perché, se voi siete una superpotenza, e se contate assolutamente di impiantare
le vostre basi militari in un punto strategico, dove queste non sono poi così
tanto desiderate, allora voi siete costretti a tenere nascosto il vostro vero
piano.
Creare quindi un problema e poi versare benzina sul fuoco! E vigilare a che
questo problema non trovi risoluzione tanto presto.
Un precedente: gli Usa avevano promesso un Kosovo multietnico e pacificato, ma
in realtà hanno armato ed istigato l'UCK al fine di destabilizzare la regione
per molto tempo. Grazie a questo, hanno potuto installarvi la più grande base
militare creata all'estero dopo la guerra in Vietnam. Washington non desidera
una soluzione, vuole solamente un problema. Di lunga durata!
Per una superpotenza che brama dominare e sfruttare il mondo, far precipitare i
popoli nelle sofferenze non è un problema morale. Giusto una carta buona nel
grande gioco strategico. Sta tutta qui la definizione della barbarie moderna!
Obiettivo n° 3 : Preservare il domino USA sull'Arabia Saudita
Se la guerra attuale di Bush è una guerra di attacco per conquistare il dominio
dell'oro nero in Asia Centrale, nel contempo è una guerra di difesa per salvare
il regime Saudita, alleato decisivo in Medio-Oriente.
Infatti, Bin Laden è saudita come la maggioranza dei presunti autori degli
attentati, come pure dei sostenitori finanziari della sua organizzazione, Al
Qaeda.
E in testa alle grandi accuse di Bush a Bin Laden, figura proprio questa:
"Loro (Bin Laden e soci) intendono rovesciare i governi esistenti in
numerosi Paesi Arabi, come l'Egitto, l'Arabia Saudita e la Giordania."
Sarebbe forse una grande perdita per il popolo dell'Arabia Saudita, se questo
regime corrotto e tirannico, l'ultimo regime feudale al mondo, scomparisse?
Non sembra proprio, persino agli occhi del New York Times : "Fino ad
ora, il flusso di petrolio e di denaro Saudita ha messo a tacere qualsiasi
critica seria Americana rispetto alla totale corruzione della famiglia reale, al
suo disprezzo della democrazia e alle sue ripugnanti violazioni dei diritti
dell'uomo commessi in suo nome."
In effetti, sempre secondo lo stesso giornale, potrebbe sembrare che solo gli
Stati Uniti subirebbero una perdita: "Da decenni, gli Stati Uniti e
l'Arabia Saudita hanno tratto profitto da questo mercato, privo di emozioni
sentimentali nella loro relazione: l'America riceveva il petrolio per mantenere
in movimento la propria economia e l'Arabia Saudita la protezione della potenza
militare Americana."
Esatto. Nel 2000, l'Arabia ha venduto più di sessanta miliardi di dollari$ di
petrolio sui mercati mondiali: la metà di quello venduto da tutto il Medio
Oriente.
E a tutto interesse di Washington, dato che, invece di reinvestire questi
petrodollari nella regione per creare un'industria locale e uno sviluppo
sociale, come aveva tentato di fare l'Iraq, la dinastia Saudita li dissipa in un
lusso insensato, soprattutto a Wall Street e nei buoni del tesoro Americano.
Quindi assorbendo una parte del considerevole déficit USA.
Il Kuwait e gli Emirati Arabi fanno lo stesso.
Inoltre, controllare gli sceicchi e gli emiri consente a Washington di mantenere
il prezzo corrente del petrolio espresso in dollari e non in euro.
Allora, va tutto bene?
Salvo che perfino una parte di questi ricchi contestano, riconosce un altro
grande editorialista USA, William Pfaff : "L'Arabia Saudita viene
attaccata anche dai figli dell'élite Saudita, come Mr.Bin Laden(...) nemici
dichiarati sia dell'America, sia dei loro dirigenti che loro definiscono
corrotti."
Il denaro per i terroristi viene dalle loro tasche, conferma il New York Times:
"Questi costituiscono l'élite della società Saudita; sono uomini prosperi
e rispettati con investimenti che coprono il mondo intero e una reputazione di
generosità. Ma il governo USA afferma attualmente che uno dei più importanti
personaggi, Yasi al-Qadi, e molti altri influenti cittadini Sauditi, hanno
trasferito milioni di dollari in favore di Osama bin Laden."
Quali interessi economici possono spiegare questo conflitto? Sicuramente Bin
Laden appartiene ad una ricca famiglia di affaristi. Si tratta di una borghesia
nazionale, o solamente di un'altra frazione dell'aristocrazia feudale? In ogni
caso, sembra che al presente questa famiglia sia entrata in collisione con la
dinastia reale e con gli Stati Uniti. E questo perché i 5.000 membri dell'élite
dinastica non hanno creato un sistema industriale e bloccano lo sviluppo
economico del paese, essendo appagati di piazzare mille miliardi di dollari
nelle banche straniere.
D'altra parte non è il solo posto del terzo mondo dove le classi dominanti, un
tempo privilegiate dagli USA, finiscono per contrastarsi rispetto alla
spoliazione messa da loro in atto senza limiti.
Questo si è già visto con le "tigri" del Sud-Est Asiatico, nella
Corea del Sud, in Malesia...
Ma l'Arabia Saudita non è proprio un paese dove tutti sono ricchi, e senza
conflitti di classe?
In verità, il forte ribasso dei prezzi del petrolio in questi ultimi anni ha
trascinato al fondo quello delle rendite dei normali cittadini. Dai 16.000$
all'inizio degli anni 80, la rendita annuale pro capite è precipitata ai 7.000$
attuali, con una crescente polarizzazione fra ricchi e poveri, messa in risalto
anche dal Financial Times : "I quartieri ricchi di Riyad, con le loro
lussuose boutiques in stile USA, contrastano fortemente con la povertà del sud
della città, o con un certo numero di donne che mendicano nelle strade.".
Il 35% degli uomini è disoccupato. E il 95% delle donne.
Non ci sono industrie per assorbire questa armata in espansione di disoccupati.
In questa lotta per il potere, i diversi clans Sauditi utilizzano la religione
come strumento. Ma anche il risentimento provocato nella gioventù
dall'oppressione della Palestina, e dalla presenza delle truppe USA, considerate
come occupanti, ufficialmente 5.000 unità, ma secondo altre fonti cinque volte
di più. Già obiettivi di numerosi attentati, fra i quali quello del 1996
vicino a Dahran (19 soldati USA uccisi).
La maggioranza della popolazione Saudita si augura vedere diminuita l'influenza
USA sul paese.
Bin Laden fornisce un'espressione a questa corrente di opinione, rinforzata
maggiormente dopo l'11 settembre.
Ritorniamo alla questione chiave: dove bisogna piazzare i petrodollari?
I paesi Arabi devono restare come semplici appoggi degli USA, o ricercare il
loro proprio sviluppo?
È esattamente la medesima contraddizione che aveva sollevato Saddam Hussein nel
febbraio 1990. Parlando davanti ai Capi di Stato del Consiglio di Cooperazione
Araba (Iraq, Arabia Saudita, Egitto e Giordania), egli aveva chiesto il ritiro
delle truppe USA dalla regione: "Se i popoli del Golfo, compresi tutti
gli Arabi,non staranno attenti, la regione del Golfo Arabo sarà sotto il
governo degli Stati Uniti." E proponeva accordi commerciali di
cooperazione economica.
Il crimine massimo! Proporre che i popoli di una regione - e di quale regione! -
si organizzino in funzione dei loro interessi più opportuni e non di quelli
delle multinazionali USA! Evidentemente è questo che ha provocato la terribile
punizione inflitta all'Iraq. Washington ha così voluto presentare un esempio di
distruzione totale per intimidire per sempre qualsiasi borghesia Araba tentata
di seguire una via indipendente.
Ma Washington corre veramente il rischio di perdere la sua posizione dominante
in Arabia Saudita? Sì, risponde un esperto de l'"Advanced Strategic and
Political Studies" di Washington: "Nel 1995 l'Arabia Saudita ha
rischiato di precipitare nella guerra civile, in ragione di una lotta intestina
per il potere, alla quale in Occidente non fu assolutamente dato risalto (...),
fra il principe di casa reale Abdullah e il suo rivale e cognato, il principe
Sultan.
Abdullah aveva invitato la suprema autorità religiosa, l'Ulema, a sostenere le
sue aspirazioni al trono. Ma l'Ulema aveva rifiutato.
Abdullah consolidava allora la sua posizione, comandando alla Guardia Nazionale
Beduina di effettuare delle manovre militari molto spettacolari."
Il conflitto non è terminato: "Più tempo Bin Laden riuscirà a
sfuggire alle bombe Americane, più egli stimolerà lo spirito di resistenza nei
suoi partigiani Sauditi. In questa situazione, il principe ereditario Abdullah
(...) potrebbe sicuramente ricercare l'abdicazione del re Fahd.
Lui e la famiglia reale allora dovranno affrontare una scelta difficile:o
affrontare Bin Laden, o concludere un grande patto di compromesso. Abdullah
potrebbe decidere di condurre le truppe beduine della Guarda Nazionale Saudita
in una grande battaglia contro i seguaci di Bin Laden. Una grande battaglia fra
Wahabiti, senza precedenti, in pratica una guerra civile. Oppure potrebbe
invitare l'America a ritirare le sue forze dal Paese.
Il patto di compromesso ridurrebbe fortemente l'influenza dei membri della
famiglia reale, considerati come gli alleati fedelissimi dell'Occidente."
Il dilemma sussiste anche per Washington.
Certamente non è per un caso che Bush abbia ordinato di bloccare alcune
inchieste dell'FBI che conducevano verso certi appoggi Sauditi per Bin Laden.
Infatti, è nel complesso del Medio-Oriente che Washington si trova di fronte ad
una potente contraddizione: non vuole e non può rinunciare ne' a Israele ne'
all'Arabia Saudita. Israele è la sua principale pedina militare, in definitiva
è semplicemente un'estensione dell'esercito USA. Ma Israele non può sostenersi
se non opprimendo i Palestinesi e minacciando i suoi vicini. D'altra parte,
l'Arabia Saudita è la sua più importante pedina economica per conservare le
entrate del petrolio nelle sue proprie casse.
Ora i governanti Sauditi, come gli altri dirigenti Arabi, si devono confrontare
con la pressione della lotta del popolo Palestinese. La sola credibile lotta di
massa, la sola che esclude qualsiasi compromesso e pasticcio marcio di cui sono
ghiotte le classi privilegiate, siano arabe o le altre.
Obiettivo n° 4 : Militarizzare l'economia come "soluzione" alla
crisi
A dispetto di certe circostanze favorevoli, le crisi congiunturali del
capitalismo occidentale si succedono a intervalli sempre più ravvicinati.
Inoltre, molte regioni cosiddette "promettenti" sono crollate una dopo
l'altra: le "tigri" asiatiche, la Russia,
l'America Latina... Ogni volta, gli analisti finanziari hanno avuto paura che
Wall Street e tutto il sistema mondiale fossero entrati in una recessione
catastrofica. Molti, non escludendo una riedizione del crach del 1929, e
considerando con timore il rallentamento dell'economia, iniziato alla fine del
2000...
Ad ogni modo, anche se per questa volta è riuscito a sfuggire al crach, il
capitalismo occidentale non fa che ritardare il suo problema.
In quanto riesce sempre a travasare il peso della sua crisi sul terzo mondo e
sui poveri.
Ma questa "soluzione" ha creato un problema ancora più grande: come
potranno le multinazionali vendere a coloro che hanno impoverito?
Questo si chiama "segare il ramo sul quale si è seduti".
Il fossato ricchi-poveri non è solo un'immorale ingiustizia; è anche per il
capitalismo un problema economico insolubile.
Da un lato esistono delle capacità di produzione senza precedenti e crescenti
di continuo; d'altro lato, un divario sempre più grande fra quelli che
producono e quelli che dovrebbero consumare.
Nove persone su dieci, nel mondo, oggi si trovano nel bisogno, e i programmi
della Banca Mondiale o del FMI non cessano di aggravare la loro situazione di
miseria. Non è questa la maniera di procurarsi dei clienti che faranno cambiare
l'economia globale!
Anche prima degli attentati, l'economia USA (il modello al quale si fa
riferimento) arrivava a perdere un milione di posti di lavoro in un anno. E le
compagnie tecnologiche (l'avvenire della Borsa, ci avevano detto!) erano in
caduta libera.
Come rilanciarle? Per i governanti USA, non ci sono ...trentasei metodi:
gonfiare il bilancio dei comandi militari, questo è il metodo che è stato
impiegato ogni volta che l'economia USA è stata minacciata di recessione e che
aveva necessità di "uscire dalla crisi"!
All'epoca della guerra del Vietnam, quindici economisti USA qualificati
scrivevano: "È impossibile immaginare per l'economia un sostituto alla
guerra. Non esistono tecniche comparabili in termini di efficacia per mantenere
un controllo sull'occupazione, la produzione e i consumi. La guerra era, e
resta, da sempre un elemento essenziale per la stabilità delle società
moderne. (Il settore militare) costituisce il solo settore d'importanza
dell'economia globale assoggettato ad un controllo completo e ad un potere
discrezionale delle autorità di governo.La guerra, e solo la guerra, è in
grado di risolvere il problema delle giacenze nei magazzini."
Dunque è la pace il nemico!
Alla fine del suo mandato, Clinton aveva raccomandato di aumentare del 70% in
sei anni il budget militare USA, benchè questo superasse già da solo quello di
tutte le altre grandi potenze militari riunite. Nella via già tracciata, Bush
ha continuato con il progetto di Difesa Nazionale Missilistica (NMD), con il
super-bombardiere JSF, e con altri programmi militari.
Questa militarizzazione dell'economia persegue due obiettivi.
Primariamente, poiché vi è una caduta dei consumi privati come motori
dell'economia, supplire ai consumi con enormi programmi di commesse pubbliche di
armamenti. Bisogna sapere che il "complesso militar-industriale", come
si dice,
non si limita assolutamente ai soli mercati di cannoni in senso tradizionale, ma
congloba ugualmente le multinazionali "classiche": Ford, General
Motors, Motorola, le società tecnologiche...
Secondariamente, utilizzare ancora di più la forza militare per accaparrarsi le
ricchezze del pianeta.
A tutto svantaggio certamente dei popoli del terzo mondo, ma anche a detrimento
di quelli che Washington chiama suoi amici, e che sono in realtà i suoi rivali
nella spartizione del mondo.
Lo "scudo spaziale anti-missili" (NMD) è di questo l'esempio
perfetto.
Innanzitutto non si tratta di uno "scudo", ma bensì un'arma
offensiva. Questa permetterà agli Stati Uniti, a loro piacere, di aggredire
qualsiasi paese senza timori di risposta agli attacchi.
Inoltre, garantisce una manna di opulenti benefici per il complesso
militar-industriale.
Infine, il NMD permette agli Stati Uniti, rilanciando la corsa agli armamenti,
di scavare un fossato ancora più grande e di indebolire i loro potenziali
rivali militari: Europa, Russia, Cina.
Infatti l'Unione Europea ha già deciso di mettersi al passo con la creazione di
un'industria militare unificata, aumentando i budgets in funzione
dell'Euro-Esercito, ma sottraendo così preziose risorse alla risoluzione dei
tanti problemi sociali ed economici, che incidono tanto profondamente la realtà
Europea.
[ continua...
]
La guerra globale è cominciata di MICHEL COLLON
Traduzione di Curzio Bettio di Soccorso Popolare di Padova
(terza parte)
(30 novembre 2002)
INDICE
- La guerra globale è cominciata [ leggi...
]
- Obiettivo n° 1 : Controllare le vie del petrolio [ leggi...
]
- Obiettivo n° 2 : Imporre le basi militari USA nel cuore dell'Asia [ leggi...
]
- Impedire un'alleanza anti-egemonica Cina - Russia - Iran [ leggi...
]
- Controllare il petrolio della Cina [ leggi...
]
- Veramente sotto pressione per trovare Bin Laden? [ leggi...
]
- Obiettivo n° 3 : Preservare il domino USA sull'Arabia Saudita [ leggi...
]
- Obiettivo n° 4 : Militarizzare l'economia come "soluzione" alla
crisi [ leggi...
]
- Obiettivo n° 5 : Spezzare la resistenza del terzo mondo e la lotta
anti-mondializzazione [ leggi... ]
- La necessità di costruire un fronte internazionale [ leggi...
]
- Una guerra "senza limiti" [ leggi... ]
- Le multinazionali Europee sono anch'esse una forza di pace? [ leggi...
]
- Qu-ale sarà l'avvenire ? [ leggi... ]
Obiettivo n° 5 : Spezzare la resistenza del terzo mondo e la lotta
anti-mondializzazione
Ovunque cresce la resistenza alla mondializzazione imperialista. Fra i popoli
del terzo mondo, ma anche nei paesi ricchi.
Anzitutto nel terzo mondo. In paesi molto diversi, ma che hanno in comune il
rifiuto a mettersi in ginocchio...
Cuba difende il suo socialismo. L'Iraq resiste sempre, malgrado dieci anni di
embargo e di bombardamenti. Il nuovo Congo tenta di preservare la sua
indipendenza. I Coreani, da entrambe le parti, aspirano alla riunificazione e
alla pace. E movimenti rivoluzionari avanzano nuovamente, ispirati da un
progetto di società alternativa: Colombia, Nepal, India, Filippine, Messico...
Il Nord dell'America Latina inquieta particolarmente Washington, che teme di
vedere la formazione di un triangolo progressista: Colombia, Venezuela, Equador.
Questo triangolo porterebbe Cuba fuori dal suo isolamento e sconvolgerebbe il
rapporto di forze in tutto il continente, offrendo un appoggio e nuove
prospettive alle lotte popolari del Brasile e dell'Argentina.
In questo mondo di guerre e di rivolte, l'Intifada ha costituito un fattore
molto importante. Se la Nato è riuscita ad infliggere una disfatta ai Serbi, i
Palestinesi hanno mostrato, loro!, che un popolo finisce sempre per
risollevarsi. Che le oppressioni, anche le più forti, o i tradimenti, i più
perniciosi, non possono venire a capo dello spirito di resistenza.
La seconda Intifada ha decisamente rinforzato la collera delle masse arabe e
mussulmane.
Inoltre, nei paesi industrializzati, la resistenza arriva a conoscere uno
sviluppo molto importante. Con Seattle e Genova una nuova generazione si è
lanciata nella lotta. Giovane, combattiva, creativa. Nel momento in cui la
sinistra tradizionale e il movimento operaio si sono lasciati addormentare dalle
promesse di un mondo migliore, a condizione di non combattere il sistema, ecco
il risveglio!
Un movimento di massa: di giovani soprattutto, radicati in numerosi paesi e che
iniziano a coordinarsi, che non tollerano più l'ingiustizia, il saccheggio del
terzo mondo, la distruzione del pianeta, che proclamano "un altro mondo è
possibile", e si battono per prepararlo subito, inventando gli opportuni
metodi di lotta.
La generazione Internet! Un' arma nuova e formidabile che permette a milioni di
giovani di informarsi, e di informare, al di fuori dei mezzi di informazione di
massa dominanti. "Don't hate the media. Be the media." (Non detestare
i media. Diventa i media), propone la nuova agenzia IndyMedia, che è stata alla
testa di questa informazione alternativa a Genova e, a causa del suo successo,
il bersaglio dei manganelli di Berlusconi. Dopo IndyMedia del Belgio, sono nate
altre sezioni, o si preparano a nascere, in altri paesi Europei.
Grazie a Internet, i cyber-attivisti sono riusciti a creare spettacolari
mobilitazioni internazionali, mettendo in difficoltà la Banca Mondiale,
l'Organizzazione Mondiale del Commercio(WTO) e il FMI, abituati a regolare le
sorti dei popoli, escludendo la partecipazione di questi.
La porta sbarrata è stata abbattuta!
La discussione sulle sorti del pianeta è divenuta ...globale. E quando si
leggono i documenti della Banca Mondiale o dei servizi di polizia USA, si ha la
misura di quanto sia temuto questo nuovo movimento e la sua efficacia con
Internet.
Per certo, questo movimento è molto variegato, e questo d'altra parte ne
costituisce la ricchezza e l'estensione.
Per certo, i governanti Occidentali tentano già di recuperarlo, proponendogli,
dopo i manganelli, il "dialogo". Provando di persuadere i movimenti
che non occorre denunciare il sistema attuale, ma è sufficiente solamente
aggiustarlo con qualche tocco di umanità e di partecipazione.
E, per certo, questo movimento avrà da risolvere molteplici questioni
delicate...Come riuscire a collegarsi con il movimento operaio, con le odierne
lotte dei lavoratori, vittime un po' dappertutto in Europa della medesima
logica? Come riuscire a superare gli ostacoli ancora frapposti dai dirigenti
sindacali, che generalmente sono chiusi a riccio nei confronti di questi
giovani, e completamente votati seriamente alla causa dell'Europa delle
multinazionali?
Come allargarsi da movimento anti-mondializzazione ad un movimento anti-guerra,
come sono già riusciti i giovani Greci e i giovani Italiani (150.000
manifestanti in Italia contro la guerra nell'ottobre 2001), ma che in Francia e
negli altri paesi Europei necessita di tempi più lunghi?
Infine, come definire più chiaramente questo "altro mondo" al quale
essi aspirano, traendo insegnamenti dalle società socialiste, ma in modo
obiettivo, e senza lasciarsi impressionare dai bilanci distorti che ne vengono
tracciati, non senza secondi fini?
L'avvenire del movimento dipenderà dalle risposte a questi interrogativi. E su
tutti, immediatamente: partecipare al sistema, o contestarlo radicalmente?
Il canto delle sirene non manca proprio! Di fronte alla contestazione e alla sua
popolarità, i dirigenti del capitalismo Occidentale non cessano di ripetere che
essi hanno capito il messaggio, e vanno a tenerlo in conto.
Ma nella realtà, quello che si presenta è l'inverso.
Quando le privatizzazioni, che hanno toccato gli azimuts, e la conseguente
distruzione delle protezioni statuali, sono risultate catastrofiche per i paesi
del terzo mondo, in ogni trattativa, i paesi ricchi hanno provato ad imporre i
medesimi "rimedi" del passato.
100 dei 142 paesi membri dell'Organizzazione Mondiale del Commercio hanno
affermato che gli accordi già realizzati ( commercio, proprietà intellettuale,
servizi, ecc.) sono squilibrati e favorevoli ai paesi ricchi. Malgrado questo,
dirigenti e mezzi di informazione Occidentali non cessano di ripetere che è
necessario proseguire nella medesima direzione, e generalizzare questa
situazione anche ad altre materie.
Che la salvezza arriverà dall'apertura totale al mercato.
In realtà questa medicina è un veleno, così spiega Raoul Jennar, analista
dell'ONG Oxfam : "Permettere agli investitori, e in particolare alle
società transnazionali, di comportarsi dappertutto a loro piacimento, mettere
le imprese nazionali in concorrenza con le compagnie transnazionali, imporre ai
paesi del Sud del mondo delle limitazioni in materia ambientale quando i grandi
inquinatori sono al Nord, queste sono alcune delle intenzioni dell'Unione
Europea. Il colonialismo storico ha trovato nuovi strumenti per
perpetuarsi."
La necessità di costruire un fronte internazionale
Già da questo momento la nascita di un tale movimento antimondializzazione è
un avvenimento di una importanza storica che probabilmente supera quella del
Maggio 68. Oggi diventa possibile creare un fronte internazionale contro
l'ingiustizia e contro la guerra. Collegando il Nord e il Sud, le lotte del
terzo mondo con quelle dei progressisti dei paesi ricchi.
Contro la guerra del Vietnam, un fronte simile aveva permesso di fare arretrare
il più potente esercito del mondo e di arrestare i suoi crimini. Oggi questo
diventa ancora più necessario. Poiché tre compiti urgenti si impongono alla
sinistra mondiale, e bisogna assolutamente affrontarli unendo tutte le forze:
1. Arrestare i numerosi conflitti che si stanno preparando.
2. Impedire la criminalizzazione dei movimenti di liberazione del terzo mondo.
3. Impedire nel contempo la criminalizzazione del movimento antiglobalizzazione
nei paesi del Nord del mondo
Esaminiamo in breve queste tre minacce...
Una guerra "senza limiti"
1. La guerra scatenata nell'ottobre 2001 sarà molto lunga. Non si fermerà con
un cambiamento di potere a Kaboul, ne' lo stesso, se si arriverà ad una
occupazione duratura trasformando l'Afghanistan in un protettorato USA o
internazionale.
Poco dopo l'11 settembre, il vice-ministro USA della Difesa Wolfowitz aveva
invocato che si attaccasse non solamente l'Afghanistan, ma anche le
"basi terroristiche in Iraq e nella valle della Bekaa in Libano".
Parlando parimenti di "porre fine (sic) agli Stati che sostengono il
terrorismo". La lista di questi Stati a "termine" comprende
l'Afghanistan, ma anche l'Iraq, il Sudan, ed anche la Siria o la Corea del Nord.
In maniera più tattica, il ministro degli Affari esteri Colin Powell ha fatto
comprendere che gli Stati Uniti non conseguiranno mai risultati, ogni volta
attaccando da tutti i lati. Quindi era necessario costruire un "fronte
contro il terrorismo" il più largo possibile, cercando di inglobarvi i
paesi Arabi, la Russia, addirittura la Cina.
Powell pensava che questo fronte si sarebbe reso impossibile da un attacco
immediato contro l'Iraq ( che la maggioranza degli Arabi sostengono). Gli
Europei si sono allineati sulle posizioni di Powell. Dunque, i paesi-bersaglio
verranno aggrediti uno alla volta.
Quanto tempo durerà tutto ciò? Il vice-presidente USA Cheney parla di una
guerra "che durerà molto di più delle nostre vite". Il capo
di stato maggiore aggiunto afferma che gli Stati Uniti non hanno pianificato mai
operazioni militari di una tale ampiezza dopo la Seconda Guerra mondiale.
In puro stile marketing, i dirigenti degli Stati Uniti subito avevano battezzato
la loro guerra col bel nome di "Giustizia senza confini". Hanno
dovuto in tutta fretta ritirare la prima parola. Ma le due restanti sono
perfettamente adeguate: in effetti noi siamo entrati in una guerra senza
confini. La guerra globale!
Ed infatti si tratta di una guerra per imporre la mondializzazione. Nel 2000, il
presidente della società francese di sistemi d'arma Aerospatiale aveva
dichiarato, sicuramente alla ricerca di commesse: "Bisognerebbe essere
ciechi per non vedere i prodromi di una guerra fredda intesa su scala
planetaria. È chiaro che la globalizzazione non è relativa solo alla sfera
dell'economia."
Guerra fredda? Un eufemismo!
Le vittime - che sono in verità del Sud del mondo - non la trovano tanto
fredda. E non lo sarà sempre di più. Quando ha scatenato i bombardamenti
sull'Iraq nel 1991, Bush padre aveva solennemente promesso che quella
"ultima guerra" avrebbe permesso di inaugurare un Nuovo Ordine
mondiale di giustizia e di pace. In seguito non si hanno mai avute così tante
guerre: Bosnia, Somalia, Yugoslavia, Macedonia, Caucaso, Congo, Colombia,
Afghanistan e via così...E Bush II fa di tutto per accelerare questo ritmo
infernale.
2. Il secondo compito del fronte internazionale per la pace, è di impedire la
criminalizzazione dei movimenti di liberazione del terzo mondo. L'Unione Europea
ha accettato le pretese di Bush : tutti i paesi alleati agli USA dovranno
compilare la lista delle organizzazioni "terroristiche" presenti sul
loro territorio, impedire qualsiasi sostegno a queste organizzazioni, rinforzare
l'apparato poliziesco e giudiziario per misure più repressive, come la
detenzione preventiva senza limiti di tempo.
Oggi, queste misure riguardano soprattutto le organizzazioni integraliste. Ma,
secondo i dettami delle priorità americane, possiamo sicuramente affermare che
prossimamente saranno sulla lista il Fronte Popolare di Liberazione della
Palestina, le FARC Colombiane, o il Nuovo Esercito Popolare delle Filippine.
Il 13 novembre 2001, il governo Britannico ha presentato un progetto definito
"antiterroristico", che contraddice in modo esplicito l'articolo 5
della Convenzione Europea dei Diritti dell'Uomo. Qualsiasi persona, non
solamente accusata, ma semplicemente sospettata di attività terroristiche, potrà
essere detenuta per una durata illimitata senza processo, ne' imputazioni.
Lo stesso giorno, Bush firmava un ordine militare che permetteva "il
giudizio dei presunti terroristi, di nazionalità straniera, emanato da una
corte militare speciale e non da tribunali civili." Le prove
accusatorie potranno rimanere segrete, gli accusati non potranno presentare
alcun ricorso e, come ha scitto il New York Times, "i diritti della
difesa saranno drasticamente limitati."
Da un lato, gli Stati Uniti si oppongono accanitamente alla creazione di
qualsiasi tribunale internazionale che potrebbe giudicare i loro crimini di
guerra.
D'altro canto gli USA stessi si preparano a giudicare, nell'arbitrio, quelli che
osano tentare di liberare i loro popoli. E costoro saranno chiaramente
battezzati "terroristi", dopo una campagna di demonizzazione mediatica.
3. Ma gli attentati hanno anche fornito un pretesto ideale per criminalizzare il
movimento antimondializzazione. E nel contempo qualsiasi opposizione politica o
popolare nei paesi Occidentali.
A Genova, questo non è avvenuto di certo a buon mercato. I manganelli di
Berlusconi non sono riusciti, secondo molti sondaggi Europei, che a rendere il
movimento antiglobalizzazione ben più simpatico dei G-8 e degli organi
dirigenti del capitalismo internazionale.
Al presente, le circostanze sono ben più favorevoli. E tutto di un colpo,
l'Europa vede terroristi dappertutto. Il 21 settembre 2001, il Consiglio Europeo
ha deciso che tutti gli Stati mettano immediatamente e sistematicamente le loro
informazioni sul terrorismo a disposizione dell'Europol. Questa, d'ora in poi,
potrà condurre inchieste su tutto il territorio dell'Unione e persino obbligare
a questo alcuni Stati.
Avendo ricevuto il termine "terrorismo" un significato molto largo,
andremo presto a conoscere nell'Unione Europea una centralizzazione
dell'informazione sull'opposizione politica senza precedenti. E queste
informazioni, senza alcun controllo, dovranno essere trasmesse agli Stati Uniti.
Il 30 settembre, la Commissione Europea ha adottato una proposizione di
"lotta contro il terrorismo". La sua definizione dimostra che si va
ben al di là della contingenza degli attentati perpretati contro gli USA: "Le
azioni terroristiche minano le leggi e i regolamenti e i principi fondamentali
sui quali poggiano le tradizioni costituzionali e la democrazia degli Stati
membri dell'Unione. Esse vengono commesse contro uno o più Stati, contro le
loro istituzioni o la loro popolazione, con l'intento di intimidirli o
distruggere le strutture politiche, economiche e sociali di questi paesi."
In questo documento si parla esclusivamente di assassinii, di rapimenti, di
impiego di armi? No! Se commessi per raggiungere uno degli obiettivi indicati in
precedenza, divengono anche atti di terrorismo: "la presa di possesso o
la distruzione di proprietà dello Stato, di mezzi di trasporto pubblico, di
luoghi pubblici o il blocco di bisogni di base come l'energia elettrica, o la
messa in pericolo di persone, di beni, di animali o dell'ambiente."
L'Unione Europea ammette, anch'essa, che la violenza di strada con carattere
politico rientra nell'ambito della sua definizione.
Dunque, José Bové potrà essere etichettato come "terrorista".
Come qualunque militante sindacale, o antiglobalizzazione in Europa, se ricorrerà
ad una delle tradizionali forme di azione di strada. Infatti, questa definizione
di crimine politico allude ad un largo ventaglio di forme di opposizioni al
capitalismo.
Nello stesso modo viene ostacolata la mobilitazione via Internet: gli "attacchi
per mezzo di sistemi informatici" costituiscono anche un delitto
terroristico, se rientrano nel concetto politico di terrorismo analizzato prima.
Le multinazionali Europee sono anch'esse una forza di pace?
Prima di concludere, bisogna ancora esaminare una questione di sovente proposta
nei dibattiti:
l'Europa risulta essere più saggia e meno guerriera del cow boy USA ?
Non sarebbe il caso di sostenere un Euro-Esercito, ma solo per fargli compiere
"missioni di pace"?
Ha forse ragione Le Figaro quando scrive che "i Quindici
divergono sensibilmente dagli Americani rispetto al loro rapporto con il resto
del mondo. (...) Washington tende a gestire il pianeta con metodi
tecnico-militari, gli Europei cercano di sviluppare un approccio globale della
sicurezza, dove il militare non è che un mezzo fra gli altri di gestire
politicamente i conflitti."?
In realtà queste due linee tattiche esistono anche negli Stati Uniti, l'abbiamo
già visto. Ma i loro obiettivi sono gli stessi, ed è per questo che i
dirigenti Europei non hanno per niente smascherato i reali obiettivi
fondamentali di Bush contro il terzo mondo.
Chris Patten, Commissario Europeo agli Affari Esteri, mostrandosi completamente
d'accordo con la strategia Powell, ha richiesto una "leadership assoluta
per costringere la comunità internazionale ad investirsi in modo molto forte in
questo combattimento...Bisognerà "convincere" i paesi
reticenti."
In buona sostanza, l'Unione Europea si è allineata dietro alla leadership USA!
Dal 12 settembre, ha accettato peraltro di fare riferimento all'articolo 5 del
Trattato della NATO che obbliga a sostenere militarmente gli Stati Uniti.
Nondimeno, è tutto rosa in questo "ménage" ?
Al momento di lanciare i bombardamenti contro l'Afghanistan, George Bush ha
associato i fedelissimi "amici britannici", ha avvertito Chirac e Schröder,
ma non il presidente in carica dell'Unione Europea, il Belga Verhofstadt.
Peraltro, costui non ha esitato ad "accordare la sua completa solidarietà
agli Stati Uniti e a tutti gli altri paesi impegnati." Ma è stato
chiaramente dimostrato che, ne' i piccoli paesi della NATO, ne' l'Unione Europea
sono soci affidabili agli occhi di Washington, che tenta di creare fra loro
divisioni.
Dopo l'inizio della crisi, l'Unione Europea ha dato l'impressione di condurre
una politica più "ragionevole" di quella dei falchi Americani. Da
evidenziare la figura del ministro Belga degli Affari Esteri Louis Michel, che
affermava poco tempo dopo gli attentati : "Noi non siamo in
guerra!"
Dunque, gli USA e l'U.E. sono a volte uniti e a volte divisi? Sì.
I governi USA ed Europei restano uniti nella loro volontà di fare portare il
peso della crisi ai popoli del terzo mondo: basso prezzo per le materie prime,
distruzione dei prodotti locali e dei servizi per la popolazione in modo da
favorire la penetrazione delle multinazionali, ricatto di un ingiusto
debito...gli USA e l'UE sono ugualmente uniti nel combattere le forze
progressiste che contestano questa "libertà" delle multinazionali.
Ma dietro questa facciata unitaria, la crisi degli sbocchi economici li obbliga
a condurre una battaglia subdola per razziare i mercati migliori nell'interesse
delle propie multinazionali.
Ed è là che l'Europa intende giocare la carta della sua
"moderazione" apparente...
Da qualche anno, la collera e la rivolta si focalizzano sui governanti
Americani. L'occupazione israeliana ha costato la vita a decine di migliaia di
Palestinesi. Tutti, nel mondo Arabo, sanno che senza i miliardi di dollari
versati ogni anno a Israele, senza il siluramento da parte di Washington delle
risoluzioni votate all'ONU in favore dei Palestinesi, il problema della
Palestina sarebbe risolto da lungo tempo.
L'Unione Europea vede in questa situazione una opportunità di presentarsi come
una alternativa all'imperialismo americano. Pronuncia qualche parola in favore
dell'applicazione degli accordi di Oslo, si presenta come difensore dei
Palestinesi quando le multinazionali Europee si fanno premura per rastrellare le
commesse, al momento della ricostruzione dell'Iraq.
Nel fornire un profilo all'Europa, come forza che frena il falcone Americano, si
spera di guadagnare la fiducia dei governi che si stanno allontanando da
Washington. In fondo non si tratta altro che di marketing politico a vantaggio
di Mercedes, Siemens ed altri come la TotalFina...In attesa dell'Esercito
Europeo...
Sul lungo tempo, questa nuova guerra annuncia dunque un aggravamento della
rivalità tra gli USA e l'Europa. Da un certo punto di vista, gli strateghi
Americani vi scorgono l'occasione di riprendere la direzione del mondo
capitalistico. Secondo Zoellick, ministro del Commercio degli USA, "la
pronta risposta deve fare avanzare il ruolo direttivo degli Stati Uniti sui
fronti politico, militare ed economico".
D'altra parte numerosi dirigenti Europei vi vedono l'opportunità di modificare
a loro vantaggio il rapporto di forza.
In breve, nel ménage, si vedranno aumentare i colpi mutuamente scambiati ed
inferti.
Il problema dell'Unione Europea è quello di non disporre ancora di mezzi
militari per le sue ambizioni. Gli Stati Uniti fanno di tutto per impedirlo, e
questo da lungo tempo.
Nel 1992, Wolfowitz, che allora era solo un consigliere del Pentagono, aveva
raccomandato di "fare di tutto per impedire l'emergenza di un sistema di
sicurezza esclusivamente Europea."
Essendosi lanciata l'Europa su questa direzione, allora il suo collega Scowcroft
aveva scritto al cancelliere Tedesco Kohl per criticare la sua "ingratitudine,
malgrado il sostegno USA alla riunificazione."
E il presidente Bush in persona aveva indirizzato una minaccia in termini
sottili ma chiari: "Il nostro punto di partenza consiste nel fatto che
il ruolo Americano nella difesa e negli affari dell'Europa non sia reso
superfluo dall'Unione Europea. Se questo punto di partenza è sbagliato, se,
miei cari amici, il vostro obiettivo ultimo è di assicurarvi da voi stessi la
vostra difesa, allora oggi è arrivato il momento di dichiararlo."
Dopo dieci anni attraversati da tutte le guerre cosiddette
"umanitarie", Washington continua a sabotare l'emergenza di una forza
militare Europea autonoma, indipendente dalla NATO. Ma dopo ognuna di queste
guerre, gli Europei hanno preso delle misure. Era previsto che nel 2003
l'Euro-Esercito avrebbe disposto di sessantamila uomini. Ma, dopo l'11
settembre, i ministri dell'UE hanno deciso si accelerare questa messa in campo,
appellandosi ad uno sforzo finanziario in materia di bilanci militari. Pagherà
il sociale!
La missione di Javier Solana consiste nell'unificare gli eserciti Europei, così
come l'industria degli armamenti (sotto la direzione della Tedesca Dasa e della
Francese Matra), e nel rafforzare questa industria, imponendo grosse commesse di
materiale unificato.
La Germania intende mettersi alla guida di questo Esercito Europeo. E, ad ogni
conflitto, fa avanzare le sue pedine un po’ più avanti, per farsi accettare
come potenza militare. Il cancelliere Schröder ha dichiarato: "Il tempo
in cui la Germania poteva contribuire solo finanziariamente alle campagne
militari internazionali è definitivamente tramontato. La costituzione della
Germania le fa obbligo ad assumere anche rischi militari, oltre che ad essere
una grande potenza economica. Una nazione non conta realmente sul piano
internazionale, se non è preparata a sostenere un conflitto."
Dunque l'UE non è una forza di pace, come essa ama presentarsi, ma vuole
solamente diventare "Califfo al posto del Califfo". Vale a dire
superpotenza dominante.
Lottare per la pace significa, dunque, opporsi alla partecipazione Europea alla
guerra in Asia Centrale e in qualsiasi altro posto. E lottare contro l'aumento
delle spese militari Europee, contro l'Esercito d'Europa, contro lo sciovinismo
Europeo!
Quale sarà l'avvenire ?
Per il movimento della pace è più che mai giunta l'ora della mobilitazione.
Anzitutto, perché la guerra in Afghanistan non è proprio terminata.
È di certo più facile ad una potenza straniera entrare in questo paese che
uscirne. E rimettere al potere delle bande armate, che erano state aiutate a
rovesciare il precedente potere, tanto criminali quanto i Talebani, è tutto
meno che una soluzione. Qualsiasi gruppo, che verrà posto al potere, apparirà
come un traditore al soldo degli stranieri.
Anche se, in modo differente, si spartiranno le tante vallate, i diversi bottini
del saccheggio e i diversi traffici, questi "signori della guerra" non
sapranno costituire una soluzione per l'avvenire. Ne' apportare benessere e pace
al popolo Afghano. Principalmente, perché esistono solo per essere gli agenti,
i collegamenti degli interessi delle potenze straniere, Stati Uniti in testa.
Questi hanno aiutato i Talebani e le altre milizie integraliste a massacrare
qualsiasi opposizione progressista, fra cui i guerriglieri maoisti, che si erano
battuti contro l'URSS.
In effetti, non lo si dirà mai abbastanza, gli Stati Uniti non sono la
soluzione, ma costituiscono il problema! Sono loro che hanno gettato il popolo
afghano nella disgrazia da più di vent'anni, e i loro interessi non sono
mutati. Sono cambiate solamente le loro tattiche.
La seconda ragione per una mobilitazione ancora più intensa sta nel fatto che
l'attacco contro l'Afghanistan non è che la prima di una serie di guerre
interessate contro numerosi paesi. Si è cominciato con i meno popolari, i
Talebani, ma non ci si fermerà prorio là.
Però il movimento contro la guerra ha anche dei motivi per sperare. In ogni
dibattito al quale si partecipa, ci colpisce una constatazione: di volta in
volta la gente prende sempre più consapevolezza che non si tratta di guerre
umanitarie, ma solamente di guerre per interesse. Certamente lo si scorge più
chiaramente a proposito degli Stati Uniti che dell'Europa, ma è un buon inizio.
La volontà di fare qualche cosa è anche ben più grande rispetto al fatalismo
che ha dominato per tanti anni. Ma ancora non si vede bene come entrare in
azione. Da questo deriva la grande responsabilità del movimento per la pace!
Organizzarsi su scala Europea e mondiale.
Non perdere il proprio tempo a cercare di convincere ed illuminare quelli che
hanno il potere di decidere, che tanto sanno molto bene quello che fanno, ma
piuttosto indirizzarsi verso la base, alla massa delle persone. E toccarli con
un linguaggio semplice e concreto, collegando la guerra alle loro preoccupazioni
quotidiane. Trovare le forme di azione concrete che permetteranno di allargare
la mobilitazione. Congiungere l'entusiasmo dei giovani alla trasmissione
dell'esperienza delle precedenti generazioni.
Utilizzare ancora meglio le possibilità di Internet e della
contro-informazione.
Difendere il diritto dei popoli a disporre di se stessi, la loro sovranità, di
fronte alle ingerenze neocoloniali, anche se queste sono paludate, come sempre,
da pretesti umanitari.
Aiutare in pratica a sviluppare la cooperazione fra i popoli, per sfuggire a
questo sistema soffocante dominato dalle multinazionali.
Condurre con serietà il dibattito su una società alternativa.
Sciogliere la NATO, l'armata della mondializzazione, senza però cercarne dei
surrogati, come l'esercito Europeo.
Al contrario, combattere la militarizzazione dell'economia, e lottare perché
questa sia al servizio della gente.
Risolvere questi problemi diventa la responsabilità di ciascuno di noi!
Michel Collon - Belgium
michel.collon@skynet.be
Questo testo fa parte di un libro collettivo: "L'Empire en guerre - Le
monde après le 11 septembre", Coedizione Temps des Cerises - EPO, Paris -
Bruxelles.
Per informazioni: editions@epo.be
Si possono anche consultare :
- Michel Collon, "Monopoly - L'Otan à la conquête du monde", 245 p.,
Ed. EPO, Bruxelles, 2000.
- Michel Collon e Vanessa Stojilkovic, "Les Damnés du Kosovo", video
78 minuti.
I commenti su questo testo, le critiche, le osservazioni o le proposte possono
essere indirizzate attraverso l'editore, o a michel.collon@skynet.be
La
verità dietro
la guerra americana
John Pilger
A partire dall’11 settembre, la “guerra contro il
terrorismo” ha fornito ai paesi ricchi, Stati Uniti in testa, un
pretesto per allargare il loro controllo sulle questioni mondiali.
Diffondendo “paura e rispetto”, come ha scritto
un giornalista del Washington Post, l’America intende disfarsi delle
insidie per la sua incerta capacità di controllare e gestire
l’”economia globale”, eufemismo che indica la progressiva
conquista di mercati e risorse da parte delle nazioni ricche del G8.
Questo, e non la caccia ad un uomo in una grotta
afgana, è lo scopo delle minacce che il vicepresidente USA Dick
Cheney fa a “40-50 paesi”. Ha poco a che vedere con il terrorismo
e molto con il mantenimento delle divisioni che puntellano la
“globalizzazione”.
Il commercio internazionale mondiale ammonta a più
di 11,5 miliardi di sterline [circa 18,5 miliardi di euro, ndt] al
giorno, una piccolissima frazione delle quali, lo 0,4%, è condivisa
con il paesi più poveri. Il capitale americano e del G8 controlla il
70% dei mercati mondiali, e a causa delle regolamentazioni che mentre
richiedono la fine dei dazi doganali e dei sussidi nei paesi poveri,
ignorano il protezionismo occidentale, i paesi poveri perdono circa
1,3 miliardi di sterline [circa 2,1 miliardi di euro, ndt] al giorno
nel commercio.
Da qualunque punto di vista è una guerra dei ricchi
contro i poveri. Basti considerare le statistiche della mortalità. Il
conto delle morti, afferma il World Resources Institute, è di più di
13 milioni di bambini ogni anno, o 12 milioni al di sotto dell’età
di 5 anni secondo le stime ONU.
“Se 100 milioni di persone sono state uccise nelle
guerre “ufficiali” del XX sec.”, ha scritto Michael McKinley,
“perché devono ricevere una considerazione privilegiata rispetto al
numero dei bambini morti a causa dei programmi di aggiustamento
strutturale a partire dal 1982?”
L’articolo di McKinley, che insegna alla Australian
National University, dal titolo “Bollettino di guerra: una indagine
sulla nuova disuglianza come zona di battaglia”, fu presentato ad
una conferenza a Chicago nel corso dell’anno e merita una diffusa
lettura. Descrive vividamente l’accelerazione del potere economico
occidentale negli anni di Clinton, accelerazione che, dopo l’11
settembre, ha superato la soglia del pericolo per milioni di
persone”.
Il Meeting del WTO del mese passato a Doha in Qatar
è stato disastroso per la maggior parte dell’umanità. Le nazioni
ricche hanno domandato ed ottenuto un nuovo “ciclo” di
“liberalizzazione del commercio”, cioè il potere di intervenire
nelle economie dei paesi poveri, di imporre privatizzazioni e la
distruzione dei servizi pubblici.
Solo a loro è solo consentito di proteggere le loro
industrie nazionali e l’agricoltura; solo loro possono fornire
sussidi alle esportazioni di carne, grano e zucchero, per poi vendere
sottocosto nei paesi poveri e distruggere i mezzi di sussistenza di
milioni di individui.
In India, sostiene l’ambientalista Vandana Shiva, i
suicidi tra i contadini poveri sono “un’epidemia”.
Anche prima che il WTO si riunisse, Rober Zoelliek,
rappresentante per il commercio americano, invocava la “guerra
contro il terrorismo” per mettere in guardia i paesi in via di
sviluppo che non si sarebbe tollerata alcuna opposizione seria al
programma commerciale americano.
Affermava: “Gli Stati Uniti sono impegnati nel
raggiungimento della leadership globale e comprendono che la forza
permanente della nostra nuova coalizione ... [contro il terrorismo]
... dipende dalla crescita economica...”. Il messaggio è che la
“crescita economica” (elite ricca, maggioranza povera) è uguale
ad antiterrorismo.
Mark Curtis, storico e capo delle politiche di
Christain Aid, ha preso parte al meeting di Doha e ha descritto “un
disegno emergente di minacce e di intidimazione contro i paesi
poveri” equivalente ad una “diplomazia delle cannoniere in campo
economico”.
Ha affermato: “È stata una cosa assolutamente
oltraggiosa. I paesi ricchi si sono serviti della loro forza per
sostenere il programma del grande capitale economico. Il problema dei
gruppi economici multinazionali come causa della povertà non era
neppure in programma; era come una conferenza sulla malaria che non
discuteva della zanzara”.
I delegati dei paesi poveri si sono lamentati di
venir minacciati del ritiro dei loro pochi ma preziosi privilegi
commerciali.
“Se mi esprimessi troppo fortemente in favore dei
diritti del mio popolo”, dice un delegato africano, “gli USA
telefonerebbero al ministro da cui dipendo. Direbbero che sto mettendo
in imbarazzo gli Stati Uniti. Il mio governo non chiederebbe neppure,
‘Cosa ha detto?’. Mi spedirebbe direttamente un biglietto
domani... così io non parlo per paura di turbare il padrone”.
Un alto funzionario statunitense chiamò il governo
dell’Uganda per chiedere che il suo ambasciatore al WTO, Nathan
Irumba, fosse ritirato. Irumba è a capo del comitato del WTO sul
commercio e lo sviluppo ed era stato critico del programma di
“liberalizzazione”.
Il dottor Richar Bernal, delegato giamaicano a Doha,
ha affermato che il suo governo si era trovato di fronte alla stessa
pressione. “Avvertiamo che questo meeting [del WTO] non ha
connessioni con la guerra al terrorismo”, ha detto, “[eppure] ci
è fatto credere di star bloccando la salvezza dell’economia
mondiale perché non aderiamo ad un nuovo ciclo [di misure a favore
della liberalizzazione]”.
Haiti e la Repubblica Domenicana sono state
minacciate della revoca dei loro speciali privilegi nel commercio con
gli Stati Uniti se avessero continuato ad opporsi al “procurement”,
come si indica in gergo la effettiva presa di controllo sulle priorità
di spesa pubblica di un governo.
Il ministro per il commercio e l’industria indiano,
Murasoli Maran, ha detto con rabbia, “l’intero processo è una
mera formalità e veniamo costretti contro il nostro volere... il WTO
non è un governo mondiale e non dovrebbe tentare di appropriarsi di
ciò che cade legittimamente nel dominio dei governi e dei parlamenti
nazionali”.
Ciò che la conferenza ha mostrato è che il WTO è
diventato un governo mondiale, guidato dai ricchi (principalmente
Washington). Benché abbia 142 membri, solo 21 governi contribuiscono
in realtà alla estensione delle politiche, gran parte delle quasi
sono scritte dal “quad”: Stati Uniti, Europa, Canada e Giappone.
A Doha, gli Inglesi hanno fatto una parte simile a
quella di Blair nel promuovere la “guerra al terrorismo”. Il
segretario di stato per il commercio e l’industria, Patricia Hewitt,
ha già dichiarato che “dopo l’11 settembre, le condizioni
impongono con forza schiacciante una maggiore liberalizzazione dei
commerci”. A Doha, la delegazione britannica ha mostrato, secondo
Christian Aid, “l’abisso tra la sua retorica sul far funzionare il
commercio per i poveri” e le sue vere intenzioni.
Questa “retorica” è la specialità di Claire
Short, Segretario allo sviluppo internazionale, che ha superato se
stessa annuncianto un “pacchetto di nuove misure” ammontanti a 20
milioni di sterline [circa 32,13 milioni di euro, ndt] per aiutare i
paesi poveri.
Di fatto, era la terza volta in un anno che si
annunciava lo stesso pacchetto di aiuti. Nel dicembre del 2000 Short
affermò che il governo “avrebbe raddoppiato il suo sostegno alle
iniziative che rafforzano il commercio nei paesi in via di sviluppo da
15 milioni di sterline [circa 24,1 milioni di euro, ndt] nel corso
degli ultimi tre anni a 30 milioni di sterline nel corso dei prossimi
tre”.
Nel marzo scorso, lo stesso denaro fu annunciato di
nuovo. Short, dichiarò il suo ufficio stampa, “annuncerà che la
Gran Bretagna raddoppierà il suo sostegno a favore... del risultato
dei paesi in via di sviluppo in campo commerciale...”.
Il 7 novembre, il pacchetto di 20 milioni di sterline
fu annunciato di nuovo. In più, un suo terzo è subordinato
all’avvio di un nuovo “ciclo” del WTO.
Questo è tipico della globalizzazione della povertà,
il vero nome della “liberalizzazione” . Di fatto, il nome della
Segreteria per lo Sviluppo Internazionale di Short è una parodia
orwelliana tanto quanto il moralismo di Blair a proposito dei
bombardamenti. Short merita una menzione particolare per
l’importante ruolo di sostegno che ha avuto nella falsa guerra al
terrorismo.
Per gli ingenui continua ad essere il diamante grezzo
che dice quello che pensa attraverso i titoli dei giornali: e questo
è vero, in un senso. Cercando di giustificare il suo sostegno per il
bombardamento fuorilegge di civili in Yugoslavia, ha paragonato i suoi
oppositori a simpatizzanzi dei Nazisti.
Successivamente ha ingiuriato gli operatori di
organizzazioni di assistenza in Pakistan, che invocavano una pausa nei
bombardamenti, definendoli “emotivi” e ha messo in discussione la
loro onestà. Pretendeva che gli aiuti “stessero passando” quando,
di fatto, ben pochi erano distribuiti laddove erano più necessari.
Circa 700 tonnellate vengono trasportate ogni giorno
in Afghanistan, meno della metà di quello che l’ONU afferma essere
necessario. Sei milioni di persone restano a rischio. Niente raggiunge
le aree vicino Jalalabad, dove gli americani stanno bombardando i
villaggi e uccidendo centinaia di civili, tra 60 e 300 in una notte,
secondo i comandanti anti-talebani che cominciano a supplicare
Washington di smettere. Su queste uccisioni, come sulle uccisioni di
civili in Yugoslavia, la schietta Short è muta.
Il suo silenzio ed il suo supporto alla campagna
omicida degli USA da 21 miliardi di dollari [circa 23,2 miliardi di
euro, ndt] per soggiogare e corrompere i paesi poveri alla
sottomissione, rivela l’ipocrisia dell’”economia globale quale
unica maniera di aiutare i poveri”, come ha ripetutamente affermato.
Il militarismo che è visibile a tutti tranne gli
incapaci intellettualmente e moralmente è la naturale estensione
delle politiche economiche rapaci che hanno diviso l’umanità come
mai prima. Come scrisse Thomas Friedman sul New Yourk Times, “la
mano nascosta” del mercato è la forza militare degli USA.
Poco si parla in questi giorni delle “ricadute”
che “creano ricchezza” per i poveri, giacché è chiaramente
falsa. Anche la Banca Mondiale, di cui Short è uno dei governatori,
ha ammesso che i paesi più poveri stanno peggio ora, sotto la sua
tutela, che dieci anni fa: che il numero dei poveri è aumentato, che
si muore più giovani.
E questi sono paesi con “programmi di aggiustamento
strutturale” che sono intesi “creare ricchezza” per la
maggioranza. È stata tutta una bugia.
Testimoniando di fronte ad un comitato ristretto
della House of Commons, Claire Short ha descritto gli USA come
“l’unica grande potenza che quasi volta le spalle al mondo”. La
sua faccia tosta merita un premio. La Gran Bretagna dà solo lo 0,34%
del suo PNL in aiuto, meno della metà del minimo stabilito
dall’ONU.
È tempo di riconoscere che il vero terrorismo è la
povertà, che uccide decine di migliaia di persone ogni giorno, e che
la causa della loro sofferenza è direttamente collegata a quella
della sofferenza di persone innocenti in villaggi polverosi.
Segue...
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