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Il Torino di Ventura, se il "calcio libidine" non ha più limiti

Il Torino di Ventura, se il "calcio libidine" non ha più limiti

Il 22/09/2015 alle 09:48

La lunga strada che ha portato i granata al secondo posto in classifica e alla miglior partenza in Serie A da più di vent'anni a questa parte: tutto nasce dalla scelta di Urbano Cairo di portare in panchina un veterano degli allenatori italiani

Febbraio 2011, Ventura si dimette da allenatore del Bari e la sua carriera sembra destinata a un nuovo epilogo negativo. Invece, a 63 anni, lo attende il Torino.

La lunga strada verso la Mole

Marcello Lippi lo ha definito "il miglior allenatore italiano". Ma, nella carriera di Ventura, c’è di tutto. Dall’inizio nel 1980 ad Albenga sino al quinquennio granata, ha allenato in 34 stagioni su 36 (28 da professionista, mancando all’appello solo nel 1983-84 e nel 2000-01) ottenendo sei promozioni (2 dalla LND, una dalla C1, 3 dalla B con Lecce, Cagliari e Torino) e vincendo tre campionati (2 interregionali, uno di C1). Al tempo stesso, non è stato immune dai fallimenti. Quattro esoneri (Spezia, Venezia, Cagliari e Pisa) con una rescissione consensuale (Bari) ed esperienze insoddisfacenti come quelle con Sampdoria, Udinese e Napoli (oltre al ritorno a Cagliari). Qualche incompiuta (il Pisa che sfiorò la Serie A), qualche splendida squadra poco ricordata (il Bari ereditato da Conte) e, nel complesso, una carriera sempre vissuta al di fuori dalle grandi, costeggiando autentiche imprese di provincia. Passati i 60 anni, però, ha trovato alla corte di Urbano Cairo la stabilità con cui non era mai stato premiato prima, facendo eccezione per i tre anni passati all’Entella Becezza (1982-1986: addio al primo giorno di ritiro per passare allo Spezia) e alla Pistoiese (1989-1992). Mai è andato oltre due stagioni di fila con la stessa squadra, anche quando – come a Lecce – era reduce da una doppia promozione. Nonostante questo, è difficile sostenere che, tra i suoi prodotti più riusciti, non vi sia impresso forte il marchio di Ventura. Dal 4-4-2 del Lecce di Palmieri e Francioso a quello proposto dal Torino della promozione, passando per la prima splendida stagione a Pisa. O, per tornare all’attualità, dal 3-5-2 del suo primo Cagliari a quello dell’ultima edizione granata. Moduli sulla carta profondamente diversi, ma sorretti da una comune cifra stilistica: sfruttamento della velocità in ripartenza, gioco sulle fasce e calcio diretto. Ventura è stato tra i primi a passare alla difesa a tre quando – a metà anni 90 – spopolava il 4-4-2, è stato tra i primi a rilanciare il gioco sulle fasce (ripensate al Cerci di Pisa) quando le ali erano finite nel dimenticatoio. E, adesso, si gode una meritata maturità a Torino. Lì dove può permettersi di inventare il giusto, sfruttando un’intelaiatura ormai collaudata nel tempo.

Le squadre di Ventura

Ventura: "In questo gioco non esistono limiti, solo la voglia di superarli"

Come è nato questo Torino

Ventura si è presentato in Piemonte dopo una delle annate più travagliate in carriera, quella coincisa con l’addio all’amato Bari dopo venti giornate di campionato (e 3 sole vittorie ottenute). Di fronte a lui si è presentata subito una montagna da scalare. Un Torino stagnante da due anni in Serie B (sconfitta ai playoff contro il Brescia nel 2010 e ottavo posto nel 2011) nonostante tifosi scalpitanti di ambizioni. Ventura e Petrachi lo ridisegnano sull’impronta del 4-4-2 utilizzato dal tecnico nelle due esperienze che lo avevano rilanciato, prima a Pisa e poi a Bari. Due terzini di spinta (Darmian o D’Ambrosio e Parisi), due ali offensive (Stevanovic e Sgrigna) e due punte dinamiche come Antenucci e Bianchi. È promozione al primo colpo, subito dietro il Pescara show di Zeman. L’anno dopo, però, a fronte di una rosa ritoccata soltanto in parte (l’arrivo top è Cerci) il concetto tattico di base inizia a entrare in crisi. E, così, ecco la virata decisiva. Quella che matura con l’avvio della stagione 2013-14. Quella dell’arrivo di Immobile e della nascita del 3-5-2 sul quale Ventura sta continuando a lavorare. L’addio di Ogbonna in difesa viene compensato dall’esperienza di Moretti e Glik, ma anche dall’innesto del sottovalutato Maksimovic (per lunghi tratti utilizzato da terzino destro). Quello a stagione in corso di D’Ambrosio viene compensato dall’esplosione di Darmian (diretto prima in Nazionale e poi al Manchester United), mentre davanti scocca la scintilla tra un fedelissimo come Cerci e Immobile. 36 gol in due, con il secondo che si laurea capocannoniere prima di essere venduto al Borussia Dortmund. La stagione scorsa è divenuta quindi quella della conferma. I danni derivati dalle partenze del duo d’attacco sono stati tamponati dal miglioramento del sistema di gioco, sempre più raffinato, oltre che dall’arrivo di Quagliarella. E, adesso, Ventura può godersi una rosa finalmente ricca nelle scelte dopo un mercato che ha visto sì partire Darmian, ma ha confermato Bruno Peres e garantito acquisti di peso per una formazione del calibro del Torino: Avelar e Zappacosta sulle fasce, Acquah, Baselli e Obi in mezzo oltre alla ciliegina di Belotti in attacco. Per molti, il mercato varato da Cairo nell’anno del suo decennale è stato tra i migliori dell’intero campionato. I risultati gli stanno dando ragione.

Gli schemi da corner del Torino

La vera libidine di Ventura

Qualcuno con lui ha avuto scarso feeling. Ma se il messaggio del tecnico riesce a passare, il miglioramento del giocatore è spesso tangibile. Guardate la carriera di Cerci, con e senza Ventura. Ripensate all’anno magico di Immobile e guardate la rinascita di Quagliarella. Non trascurate, infine, Glik che diventa il difensore più prolifico nei 5 grandi campionati europei (7 gol nel 2014-15) e Baselli che, nelle prime 5 partite ufficiali al Torino, ha già segnato più che nelle precedenti 108 (4 gol a 3). Ventura è un maestro in questo. Nell’affinare il valore dei giovani, rendendoli capaci di giocare in più posizioni del campo (D’Ambrosio e Darmian, ma anche Maksimovic e Cerci) perché sorretti da un sistema di gioco semplice e concreto. Poco possesso palla (il Torino è quindicesimo in Serie A), difesa che non va per il sottile e grande organizzazione sulle catene di fascia. Dove con il 4-4-2 è il movimento in sovrapposizione dei terzini ad agevolare l’esterno di centrocampo e, con il 3-5-2, diventa fondamentale l’integrazione con la mezz’ala. Il risultato è quel calcio di “libidine” teorizzato da Ventura. Un prodotto tanto semplice quanto bello, un lavoro tanto sottovalutato quanto costruito nel tempo. Nelle certezze che Ventura, Petrachi e Cairo sono riusciti a darsi reciprocamente dal 2011 a questa parte. Chissà che il meglio non debba ancora venire…

L'assist di Bruno Peres
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