Radio radicale turkestan orientale

Di Partito Radicale Roma - 24 luglio 1997

RADIO RADICALE TURKESTAN ORIENTALE

Colloquio con Erkin Alptekin, leader degli Ujguri del Turkestan orientale.

Qui e’ Paolo Pietrosanti e questa e’ Radio radicale. Abbiamo l’onore e il piacere di avere con noi al telefono il Signor Alptekin, leader di un popolo asiatico non molto conosciuto, gli Uiguri, relativamente piccolo e non cosi’ noto agli europei in generale, e soprattutto dagli italiani; si tratta pero’ di un popolo vicino alla distruzione, ossia uno dei popoli che attualmente e gia’ da tempo rischiano di non sopravvivere. Signor Alptekin, vorrei iniziare da una descrizione del suo paese e della sua gente.

Alptekin: La ringrazio molto. Innanzitutto vorrei ringraziare lei e la sua radio per l’opportunita’ che mi offrite di parlare della tragedia del mio popolo. Gli Uiguri sono un popolo molto antico proveniente dall’Asia centrale. Hanno un legame linguistico, storico e culturale con i Kazachi, i Chirghisi e gli Uzbechi, oltre che con un’antica stirpe turca dell’Anatolia. Discendono in linea diretta dagli Unni, i quali marciarono tragicamente in Europa guidati da Attila e si fermarono proprio alle porte di Roma secoli fa; nonostante le loro origini, gli Uiguri sono un popolo pacifico. Abitano la regione denominata Turchestan orientale, che dal 1949 si trova sotto il dominio della Cina comunista. La storia, la cultura e la civilta’ degli Uiguri sono dunque molto antiche, come quelle dei cinesi e dei tibetani. Un identico destino accomuna i tibetani e il mio popolo: anche loro sono oggi sottoposti al dominio della Cina comunista.

P.: Certo, anche se ci sono differenze di tipo culturale e religioso fra questi due gruppi etnici.

Alptekin: Si’, ma gli Uiguri hanno professato il Buddismo prima di abbracciare l’Islam nell’11.o secolo. Diversi aspetti del Buddismo degli Uiguri E’ stato ereditato dai tibetani. Sebbene la maggioranza degli Uiguri sia di fede musulmana, circa mezzo milione di Uiguri e’ buddista e abbiamo una piccola comunita’ cristiana: come lei sa il Turchestan orientale si trovava al centro della via della seta che collegava l’Oriente all’Occidente, percio’ questa regione e’ stata popolata da gruppi linguistici ed etnici molto differenti che hanno convissuto per secoli in modo assolutamente pacifico in questo paese multiculturale, fino all’occupazione da parte della Cina comunista nel 1949. Come le dicevo all’inizio della mia introduzione, gli Uiguri sono un popolo turco, ma il mondo turco conta 150 milioni di persone, fra cui gli Yakuz, i Chuash, i Gagauz, popoli di lingua turca che hanno un legame con noi, ma sono di fede cristianoortodossa; nei paesi baltici troviamo i Karaiems, che nel 7.o secolo abbracciarono il Giu

daismo; inoltre sono presenti i discendenti del grande impero Gazar del Caucaso, nella zona occidentale dell’Asia centrale, anch’essi di lingua turca. Tutto questo dimostra che nel mondo turco la religione ha un ruolo del tutto secondario, mentre cio’ che conta sono le radici storiche, linguistiche e culturali.

P.: La complessita’ dei fatti da lei evocati e’ interessante e decisamente importante per arrivare a parlare della situazione attuale del suo paese.

Alptekin: E’ vero, purtroppo in seguito all’occupazione del Turchestan orientale da parte della Cina comunista nel 1949, si e’ dato il via ad una politica di oppressione. La creazione della Regione autonoma denominata Hsinchiang, ad esempio, ha fatto si’ che il 90% dei posti chiave nella mia patria sia attualmente occupata da cinesi comunisti. I locali non hanno voce in capitolo, sono stati privati di tutti i poteri: prima del 1949 i cinesi che abitavano quella regione erano solo 300.000, mentre oggi siamo arrivati a piu’ di 6 milioni in base alle statistiche ufficiali, ma i miei compatrioti stimano la presenza cinese nell’ordine dei 15 milioni di persone. Oggi i miei compatrioti temono che un incremento degli emigrati cinesi nella nostra terra significhera’, in un futuro non molto lontano, la totale assimilazione culturale degli Uiguri da parte della cultura cinese. Questo e’ il primo problema: un altro fattore importante e’ rappresentato dal controllo delle nascite che i cinesi impongono nel mio paese. Gli

Uiguri contano 8 milioni di persone, la terra in cui vivono e’ sufficientemente grande e offre il cibo necessario al sostentamento del mio popolo, ma i cinesi si servono del controllo delle nascite nel mio paese e incoraggiano l’emigrazione dei cinesi, che, una volta stabilitisi, sono liberi di avere due o tre figli, mentre in Cina potrebbero averne soltanto uno. Questo e’ cio’ che intendiamo quando parliamo di un deliberato genocidio culturale nei confronti del mio popolo. A partire dal 5.o secolo gli Uiguri hanno avuto le proprie lingue scritte e gli studiosi dell’Asia centrale che hanno studiato la zona sono certamente a conoscenza del ricco patrimonio culturale e letterario degli Uiguri. Sfortunatamente i cinesi cercano di assimilare e cinesizzare la lingua degli Uiguri in modo sistematico. Un altro problema e’ rappresentato dai fattori economici. Il Turchestan orientale e’ una zona molto ricca di risorse naturali, abbiamo ad esempio 20 miliardi di tonnellate di petrolio, 30 miliardi di metri cubi di me

tano, riserve auree, uranio, la nostra terra e’ molto ricca di risorse, ma il mio popolo vive in assoluta poverta’, il reddito procapite e’ compreso fra i 45 e i 50 dollari annui, che e’ inferiore persino al livello minimo di sussistenza accettato dalle Nazioni Unite; in molte parti, specialmente nel sud del mio paese, ci sono carestie e la gente muore di fame. Ho fatto visita al mio paese qualche volta, ho visto i miei parenti vestiti con abiti vecchi di molti anni girare per strada senza aver nulla da fare. Non e’ facile trattenere le emozioni quando si e’ testimoni di queste situazioni. Ho protestato con veemenza contro i cinesi venuti per darci la liberta’, ma da chi volessero liberarci, questo io non lo so. So soltanto che noi vogliamo la liberta’ dal dominio cinese di questi ultimi anni. Il Turchestan orientale si trova nel cuore dell’Asia e confina con il Tibet. Guardando la carta geografica, il Turchestan orientale si trova a nordovest del Tibet, circondato dalle repubbliche centroasiatiche del Kazak

istan, del Kirgisistan e del Tagikistan, mentre a nord si trova la Mongolia esterna. Dunque, la disoccupazione e’ un altro fattore importante. Infatti in cinesi si sono presi tutti i posti di lavoro disponibili. Ho fatto delle ricerche nella mia carriera durata 25 come giornalista e consulente politico di una stazione radiofonica statunitense. Sono in possesso di documenti prodotti da fonti neutrali in grado di dimostrare che il 90% dei miei compatrioti sono senza lavoro: mentre gli emigrati cinesi nel Turchestan orientale possono svolgere qualsiasi attivita’, la nostra gente non ha la stessa possibilita’. Quando ho visitato il mio paese, ho visto giovani con un diploma di scuola superiore che passavano tutto il giorno per strada a giocare a carte. Dicevo loro: “Che fate? Perche’ non lavorate?” Mi rispondevano “Non esiste un lavoro per noi, non ce lo danno”. Purtroppo tutti i posti di lavoro sono occupati dai cinesi. Questi sono i problemi: poi c’e’ quello della sanita’. I servizi sanitari sono praticamente

inesistenti. Provate ad andare in un ospedale, non vedrete medici, i pochi che vedrete sono cinesi, pochi Uiguri hanno la possibilita’ di diventare medici. Se arriva un paziente, ha difficolta’ a trovare un medico, perche’ molti lavorano in studi privati, dunque la povera gente non ha i mezzi per usufruire dei servizi privati. La scarsezza di medicine e’ un altro problema. L’attuale situazione ospedaliera e’ inimmaginabile. Una volta gli abitanti del Turchestan orientale erano longevi, vivevano fino ai 65 anni; oggi arrivano ad un massimo di 45/50 anni, e il tasso di mortalita’ infantile nel Turchestan orientale e’ di 200 per 1000. Il 70% dei casi di malattia censiti negli ospedali sono mortali: morire e’ un destino in un paese in cui non esistono le cure mediche appropriate. Il Turchestan orientale e’ anche il centro per i test nucleari dei cinesi, che continuano sebbene rientrino fra i firmatari del trattato di nonproliferazione. Nonostante il divieto di testare le armi atomiche, nel Turchestan orientale s

i sono verificati 46 test atomici, la pioggia radioattiva ha non soltanto distrutto vite umane e ucciso animali, ma ha inquinato il cibo e l’acqua. Presso l’ospedale della capitale del Turchestan orientale, Uruchi, sono stati registrati dei dati inquietanti nel 1993: negli anni ‘60 i casi di morte per cancro erano pochissimi, mentre negli anni ‘70 si arrivava a poche decine di casi al mese. Oggi nello stesso ospedale si parla di almeno un 70% su 150.000 malati al giorno. Dunque il 70% su 150.000 malati che vengono ricoverati in ospedale e’ affetto da varie patologie cancerose. Prima del 1960 nessuna di queste persone aveva mai contratto il cancro nel mio paese. Naturalmente ogni nazione ha un proprio credo religioso, e come le dicevo in precedenza nel nostro paese la maggioranza e’ musulmano, ma ci sono buddisti e cristiani. Questa situazione e’ tipica di tutta la zona e non soltanto del Turchestan orientale: le misure repressive contro la liberta’ religiosa sono state orribili, sia contro i musulmani che co

ntro i cristiani, per non parlare dei buddisti tibetani, le cui sofferenze lei conosce bene. Sappiamo che i musulmani cinesi si trovano nelle stesse condizioni. Non esistono scuole religiose, perche’ le scuole appartengono allo Stato: non si leggono testi religiosi, ma si studia il marxismo, il maoismo e il leninismo. Non esistono religiosi preposti all’educazione, poiche’ lo stesso governo ha formato un proprio clero: 25.000 religiosi sono stati privati dell’incarico dopo il 1993 per non aver osservato le regole del comunismo. Nessuno ha idea di cosa cio’ significhi. Al momento abbiamo 8 milioni di musulmani, e il governo cinese dichiara che dal 1980 sono state costruite circa 13.000 moschee. Cio’ che il governo intende per moschea potrebbe essere definito piu’ come una cappella che come luogo di dimensioni adeguate, quindi queste strutture sono insufficienti per soddisfare le necessita’ della gente; allo stesso tempo e’ stata vietata la costruzione di nuove moschee nel paese, mentre le autorita’ cinesi han

no proibito l’uso delle moschee restaurate o costruite di recente. Questa politica di oppressione, assimilazione culturale, sfruttamento economico e distruzione dell’ambiente ha trasformato il mio paese in una bomba a orologeria. E’ possibile che lei sia a conoscenza delle rivolte nel mio paese: a partire dal 1990 ho notizia di rivolgimenti ed episodi dinamitardi avvenuti in molte zone del Turchestan orientale. Abbiamo informato il governo cinese del fatto che la tensione stava aumentando, e di quanto fosse necessario allentarla: ma il primo passo per allentare la tensione e’ instaurare il dialogo con il nostro popolo anziche’ metterlo al bando, punirlo ed emettere dure sentenze. L’inizio del dialogo e’ nell’interesse di tutti. Altrimenti il mio popolo si trovera’ davanti a due strade: la prima, quella dell’assimilazione culturale, in seguito alla quale la mia gente sparira’ di scena; la seconda, quella della reazione violenta. La gente pensera’ che sia meglio morire da eroi piuttosto che da codardi. Questo

e’ il punto in cui siamo arrivati. Abbiamo cercato il dialogo con i cinesi, ma ogni volta ce l’hanno rifiutato, come l’hanno rifiutato alla nostra gente. Quindi, anziche’ cercare il dialogo, i cinesi applicano delle misure insensate per mettere a tacere le richieste, la disperazione e i desideri del nostro popolo. A questo punto non sappiamo che linea di condotta adottare: i cinesi si sono rifiutati di dialogare con Sua Santita’ il Dalai Lama e con il nostro popolo. Sappiamo che in molte regioni della Cina, intorno a Pechino, Huna, Uang Don, Fujian, decine di migliaia di cinesi non sono soddisfatti del regime e hanno preso la strada della rivolta armata. Quindi la questione non e’ circoscritta al mio paese, al Tibet o alla Mongolia interna, dove forse la situazione e’ ancora piu’ grave. Sara’ bene che il governo cinese trovi il modo di allentare le tensioni, altrimenti la Cina esplodera’ in modo impressionante. Gli esperti sostengono che, qualora non si adottino delle misure di rilievo, la Cina potrebbe dive

ntare una seconda Jugoslavia. Dunque, questa e’ la nostra situazione.

P. Pietrosanti: Ha usato un’espressione che noi stessi usiamo quando si parla del Tibet, ovvero “genocidio per diluizione”. Vorremmo capire quale sia la ragione per cui Pechino voglia cancellare il territorio cinese, quello della Repubblica popolare cinese, cacciando i popoli come il suo.

Alptekin: Usano ogni nostra manifestazione contro di noi. Se protestiamo, ci arrestano e ci torturano, ci mandano in campi di lavoro o ci uccidono: questa e’ la loro politica. L’altro sistema che utilizzano non si basa sulla violenza, ma sull’istruzione, sul trasferimento di massa della popolazione, che a lungo termine danno luogo alla nostra cinesizzazione. Ma la cinesizzazione e’ una forma di genocidio: se una politica sistematica tenta l’assimilazione, senza ricorrere alla violenza, e’ comunque una forma di genocidio.

P. Pietrosanti: Vorremmo comprendere meglio un punto. Qual e’ l’interesse del governo cinese in questo?

Alptekin: Finche’ i miei compatrioti diminuiranno di numero o verranno assimilati, i cinesi si troveranno ad affrontare meno problemi. Questo e’ un fattore. Cento anni fa esisteva un popolo Manciu’ di 40 milioni di persone, che occupo’ la Cina per 300 anni: conquistando la Cina fu conquistato dalla sua cultura. Oggi questo popolo non esiste piu’, i Manciu’ non hanno piu’ alcun carattere distintivo di popolo. In base a un rapporto del 1990 o del 1989, ora non ricordo, le persone che si identificano come Manciu’ sono solo circa 5 milioni e quelle in grado di parlare la lingua Manciu’ a livello elementare sono soltanto 100.000 su 40 milioni. Dunque il popolo Manciu’ non esiste piu’. La stessa cosa accade per i Mongoli della regione interna: dei 25 milioni di abitanti di quella regione, di cui 3,5 milioni sono mongoli, soltanto 1 milione parla il mongolo dopo 45 o 50 anni di dominio della Cina comunista. Puo’ ben immaginare a che punto sia giunto il processo di assimilazione. Gli Uiguri hanno avuto a che fare co

n i cinesi per quasi 2000 anni. Al tempo in cui i cinesi vivevano all’interno della Grande muraglia, circa 2000 anni fa, oltre le mura si trovavano diverse nazioni con una propria identita’ storica. Ora quelle nazioni non esistono piu’. La Cina dista 2000 dai confini di quelle nazioni, ma queste sono totalmente assimilate alla cultura cinese, e quindi non esistono piu’. Oggi i Mongoli, gli Uiguri e i Tibetani stanno perdendo la propria cultura, tradizione, identita’ e innanzitutto la propria lingua. Alcuni studiosi sono del parere che la cultura degli Uiguri sopravvivera’ alla distruzione della lingua, ma cio’ che mi rende uiguro sono la mia lingua, la mia cultura e la mia tradizione. Questo e’ il punto.

P. Pietrosanti: Certo, come Partito Radicale Transnazionale siamo impegnati nella causa del Turchestan orientale e in quelle di altre nazioni della stessa area asiatica che sono vicine alla distruzione e al genocidio. Cosa possiamo fare, quale strada dobbiamo intraprendere?

Alptekin: Innanzitutto vorrei ringraziare il Partito Radicale per l’impegno, l’aiuto, l’assistenza e il sostegno dimostrati nei confronti di popoli come il nostro. Occorre convincere la leadership cinese che la politica adottata contro di noi non e’ corretta. Potremmo vivere in pace e iniziare quel dialogo da noi richiesto, il cosiddetto “sistema unico per due nazioni”. Gli studiosi dell’Accademia delle Scienze di Pechino hanno pubblicato un rapporto nel 1992 per i leader politici cinesi. Il contenuto del rapporto era chiaro: se i leader cinesi non agiranno immediatamente per instaurare un sistema federale simile a quello statunitense, questo paese potrebbe subire le stesse sorti della Jugoslavia. Nel resto del mondo questo rapporto e’ stato pubblicato dall’agenzia France Press. Questa e’ una soluzione, perche’ lo scopo ultimo di popoli come il nostro e’ quello di liberarsi dalla schiavitu’, cerchiamo di salvare vite umane e l’indipendenza non viene concessa, ma veniamo privati della liberta’. Sono necessari

dei sacrifici, ma il nostro popolo sa che non possiamo correre rischi. Vorremmo raggiungere il nostro scopo in modo non violento e pacifico. Il suggerimento degli studiosi cinesi al governo centrale andava in questa direzione, che avrebbe offerto delle soluzioni temporanee, ma il governo non le ha minimamente prese in considerazione. Quindi non so che dire, perche’ mi trovo in una situazione simile alla vostra. Abbiamo fatto tante proposte ai cinesi: il dialogo, un’autonomia reale anziche’ quella attuale, e tutto questo per allentare la tensione. Il resto poteva essere discusso in seguito. Ma non e’ cambiato nulla.

P. Pietrosanti: Il federalismo e’ un concetto affascinante e stimolante, potrebbe essere esportato dalla Grande muraglia cinese in tutto il mondo. Qual e’ la sua opinione relativa agli odierni avvenimenti cinesi? Probabilmente qualcosa e’ destinata a cambiare, ma lei come vede questo processo?

Alptekin: Credo che qualcosa cambiera’, qualcosa deve cambiare e cambiera’. Sappiamo che il piu’ antico impero, uno dei grandi, l’Impero romano duro’ 1000 anni e poi un giorno crollo’. La stessa cosa accadde all’Impero ottomano che duro’ 635 anni, mentre l’Impero sovietico E’ durato 70 anni. L’Impero cinese e’ durato per troppo tempo. La fine dell’impero non significa la fine dei cinesi, ma questo sistema non potra’ continuare. Perche’? Perche’ 55 milioni di comunisti governano piu’ di 1 miliardo di persone contro la loro volonta’ e 100 milioni di cinesi sono contrari a questo regime. Vogliono un sistema democratico. Il governo attuale e’ a capo della nazione con il sostegno dell’esercito, della sicurezza e della polizia armata che usano metodi violenti. Tutto cio’ non puo’ durare. Lo scia’ di Persia era un uomo potente nel suo paese, disponeva di armamenti per un valore di 10 miliardi di dollari provenienti da vari paesi, ma il suo impero e’ crollato. La Cina non potra’ sopravvivere in questa situazione, pe

r questo e’ necessario un rinnovamento. Per fare questo, dovranno adottare una politica piu’ pragmatica, flessibile, dovranno essere pronti al dialogo sia con il popolo cinese che con i non cinesi. Altrimenti non vedo come sara’ possibile per i cinesi, per l’esercito, per la sicurezza e per la polizia armata continuare a sostenere i 55 milioni di comunisti cinesi. Oltretutto anche all’interno del gruppo di 55 milioni di leader o membri del governo comunista cinese vi e’ disaccordo. Alcuni membri del partito sono contrari all’attuale leadership e vorrebbero piuttosto favorire la liberalizzazione politica di quella nazione, e concedere maggiori diritti ai popoli di nazionalita’ non cinese e maggiori liberta’ al proprio popolo. Ma alcuni gruppi temono una perdita di potere, e cosi’ vi si aggrappano in modo ben saldo, ma quanto potra’ durare? Non lo sappiamo. Se 11 o 15 anni fa qualcuno mi avesse detto che l’Unione Sovietica sarebbe crollata, non avrei creduto una sola parola. Non siamo certi che il sistema cine

se si sfascera’ in tempo breve. Che opinione avra’ nell’immediato futuro quel miliardo di persone sui paesi Occidentali che offrono il loro sostegno a 55 milioni di comunisti? Potrebbero arrivare a pensare che i paesi occidentali abbiano sostenuto i loro oppressori. Che impressione farebbe? I paesi che appoggiano la Cina dovrebbero fermarsi a pensare al futuro oltre che agli investimenti in quei paesi.

P. Pietrosanti: Che ruolo vede per le istituzioni internazionali: lei sa che qualche settimana fa, grazie anche all’impegno dei rappresentanti del Partito Radicale, il Parlamento Europeo ha emanato una risoluzione che descrive in modo chiaro la situazione del Turchestan.

Alptekin: Vorrei complimentarmi per l’iniziativa del Partito Radicale e del mio caro amico Karl von Habsburg e di Olivier, che si sono molto battuti. Sono stato invitato a partecipare e ho colloquiato con vari parlamentari che mi hanno intervistato. Sono molto grato, perche’ questo tipo di messaggio e’ veramente importante; sarebbe stato molto positivo se la Commissione per i diritti umani dell’ONU avesse fatto lo stessa cosa. Avete inviato dei messaggi forti. Abbiamo un proverbio che dice: “I veri amici si parlano duramente”. Se hanno l’impressione che la Cina sia un paese amico, dovrebbero essere in grado di parlare alla leadership usando parole dure, per rivelare cio’ che e’ giusto, cio’ che e’ sbagliato e cio’ che deve essere cambiato. La risoluzione del Parlamento europeo e i molti sostenitori delle nostre cause rammentano alla Cina che l’oppressione politica, l’assimilazione culturale, lo sfruttamento economico e la distruzione ambientale ai danni del nostro paese non possono continuare. Questo fatto e

’ molto importante. Quando si parla di diritti umani e della loro universalita’, non si tratta di un fatto cinese interno. La comunita’ internazionale deve fare qualcosa, come ha fatto a un certo punto contro il governo sudafricano dell’apartheid. Non si penso’ ad una violazione dei diritti umani individuali, ma ci si mosse per difendere i diritti umani collettivi, tanto abusati in quel paese. Tutto l’Occidente dovrebbe inviare un messaggio alla Cina. Quel paese e’ una prigione, un campo di concentramento. Sarebbe necessario inviare un messaggio per proteggere i diritti nel loro insieme, ma la comunita’ internazionale e’ orientata all’aspetto commerciale della questione: ma a che tipo di profitto potra’ portare la situazione attuale a lungo termine? E’ difficile dirlo.

P. Pietrosanti: Certamente i governi occidentali non sono portati ad elaborare strategie a lungo termine, perche’ vengono confermati ogni 4 o 5 anni. Per questo e’ importante sottolineare il ruolo delle istituzioni internazionali. Crede che sia possibile spingere le Nazioni Unite all’azione?

Alptekin: Credo di si’, anche se, come lei ha detto giustamente, i governi hanno strategie a breve termine: ma se questa sara’ la tendenza per il futuro, non credo che sara’ possibile fare pressioni sui governi e sulle Nazioni Unite, perche’ si pronunci una risoluzione contro la Cina. Si e’ creata una politica su due livelli: se si trattasse di un paese privo di risorse e quindi di profitti, non si esiterebbe a far passare la risoluzione di condanna degli abusi dei diritti umani. Ma nel caso di paesi come la Cina cio’ non sembra possibile, e quindi si agisce contro altre nazioni che si trovano in una posizione di inferiorita’ rispetto alla Cina. Questa e’ la politica duplice messa in atto dalle Nazioni Unite in questo momento: se si tratta di un grande paese, non si promuove alcuna azione, in caso contrario, le risoluzioni vengono passate senza difficolta’. Solo una volta e’ stato fatto qualcosa, ma in seguito non ci sono stati sviluppi in proposito. Il fatto e’ che i governi sono espressione del voto dei ci

ttadini, che dovrebbero fare una maggiore pressione sui parlamenti e sui governi di ogni nazione. Anche in questo modo si potrebbe ottenere qualcosa. D’altra parte il messaggio dovrebbe arrivare anche dai milioni di cinesi che vivono all’estero. Deng Tziao Ping disse una volta: “La maggiore pressione dall’estero indica che stiamo facendo le cose giuste”. Se questo e’ l’atteggiamento dei cinesi, anche loro dovrebbero esercitare delle pressioni. Milioni di cinesi vivono all’estero e potrebbero sostenere chi e’ rimasto in patria senza fare distinzione: questo potrebbe essere un ulteriore motivo di pressione sul governo cinese. Si possono ignorare le pressioni da parte dei paesi stranieri, ma non sarebbe cosi’ facile ignorare le pressioni provenienti dai cittadini cinesi.

P. Pietrosanti: Crede che incoraggiare il commercio con la Cina in modo indiscriminato sia un buon affare per l’Occidente?

Alptekin: Di fatto, credo che qualcuno stia traendo profitto dal commercio, ma nel caso degli Stati Uniti non vedo quale, poiche’ la Cina ha piu’ di 40 miliardi di dollari di deficit nei confronti degli Stati Uniti. Forse e’ la Cina ad avere piu’ vantaggi da questo commercio. Non dispongo di statistiche per gli altri paesi, ma ho saputo che e’ molto difficile superare le barriere burocratiche cinesi in materia di commercio, a causa della corruzione dilagante in quel paese. Che sara’ degli investimenti quando il regime attuale sara’ sostituito dalla democrazia? Che pensera’ la gente degli investitori occidentali in quel paese? Su questo occorre meditare.

P. Pietrosanti: Signor Alptekin, le siamo grati per averci concesso questa lunga, importante e interessante intervista.

Alptekin: Vorrei nuovamente ringraziarla per avermi dato la possibilita’ di esprimere le mie idee, e per aver fatto conoscere ai suoi ascoltatori il dramma del mio popolo. La ringrazio molto.

P. Pietrosanti: Ringrazio lei, e porgo i miei migliori auguri non soltanto a lei, perche’ questa questione riguarda tutti noi.

Alptekin: La lotta pacifica dovra’ continuare. La ringrazio per il vostro affettuoso sostegno.