IL MIO BLOG E' AD IMPATTO ZERO DI CO2

IL MIO BLOG E' AD IMPATTO ZERO DI CO2

Cerca nel blog

giovedì 31 gennaio 2013

BORDESSANDO: LA VIGNETTA DI ALDO ARPE


LIBANO: RIFORMARE LA LEGGE ELETTORALE


Libano. Riformare la legge elettorale: quali proposte?

A giugno i libanesi saranno chiamati a rinnovare il Parlamento, ma prima serve una legge elettorale che sostituisca quella adottata nel 2008*. Incontriamo Rony al-Asaad, responsabile della Ong Civil Campaign for Electoral Reform (CCER) che si occupa di lobbying e monitoraggio delle elezioni.




di Giacomo Galeno


In cosa consiste il disegno di legge promosso dal governo?
Le forze politiche che formano l'attuale governo hanno raggiunto un accordo su una proposta di modifica della legge elettorale discussa attualmente in commissione parlamentare. Questa proposta è basata sulla fusione di un sistema proporzionale con 14 circoscrizioni elettorali: 13 all'interno del paese e una estera  che vale 6 seggi. 
Con la nuova legge, il numero dei deputati passerebbe da 128 a 134 e verrebbe introdotta una quota rosa pari al 10%, il che significa che nelle circoscrizioni che mettono in palio mediamente 10 seggi, almeno un posto dovrà essere destinato ad una donna. 

Cosa pensa il CCER di questa proposta?
Abbiamo apprezzato la scelta del sistema proporzionale, ma non siamo pienamente soddisfatti rispetto alle circoscrizioni di medie dimensioni disegnate seguendo gli interessi dei partiti e non l'esigenza di una giusta rappresentazione. 
Ovviamente la scelta di dimezzare il numero delle circoscrizioni (da 24 a 13) va nella direzione auspicata dal CCER, ma non è abbastanza. Inoltre, non possiamo che valutare negativamente la proposta di aggiungere 6 deputati per la circoscrizione estero.

Quali sono le proposte di legge presentate dalle forze politiche cristiane?
La posizione  degli ortodossi, espressa per bocca di Michel Aoun - leader del Movimento Patriottico Libero (MPL) affiliato alla Coalizione 8 marzo - si riassume in un sistema proporzionale con il Libano ridotto ad una unica circoscrizione elettorale. 
La proposta presenta alcuni punti di criticità, come ad esempio l'eliminazione del sistema del collegio elettorale unico secondo cui gli elettori di ogni comunità votano per tutti i seggi; anche quelli non attribuiti alla comunità d'appartenenza. 
Secondo la proposta di legge aounista, al contrario, i membri di ogni comunità votano solo per i candidati appartenenti alla propria comunità.
Secondo il CCER con questo sistema proporzionale i distretti da geografici diventano confessionali. 

Quali sono le proposte delle forze politiche cristiane della Coalizione 14 marzo?
I partiti cristiani della Coalizione 14 marzo - le Forze Libanesi, il Partito Falangista e Boutros Harb - hanno invece previsto una legge elettorale basata su un sistema maggioritario ad un turno, con il Libano suddiviso in 50 circoscrizioni elettorali (quindi molto piccole). Ad ogni circoscrizione verrebbero attribuiti al massimo 3 seggi. 

Qual è la logica sottostante a queste tre proposte di modifica della legge elettorale: quella del governo, quella dei cristiani della Coalizione 8 marzo e infine quella delle forze cristiane affiliate alla Coalizione 14 marzo?
Consideriamo maggiormente affidabile la proposta governativa rispetto alle altre due, perché assomiglia a un sistema proporzionale e propone circoscrizioni elettorali geograficamente più estese di quelle attuali. 

Perché l'attuale governo (pro 8 marzo) avrebbe scelto una legge che apparentemente andrebbe contro gli interessi delle forze politiche tradizionali e consolidate nel paese?
In realtà le circoscrizioni elettorali, per come sono state disegnate, ricalcano gli interessi dei partiti attualmente al governo. AmalHezbollah, il partito di Michel Aoun ed anche Najib Miqati (attuale primo ministro) vedrebbero salvaguardati i loro interessi elettorali. 

Perché Michel Aoun ha promosso un tale disegno di legge?
Nel caso di Michel Aoun, con il sistema da lui proposto non guadagnerebbe molti più seggi di quelli che ha già. La scelta del proporzionale per il suo movimento è più indirizzata a valorizzare i voti cristiani in aree in cui sono elettoralmente deboli perché tradizionalmente minoritari, come ad esempio l'Akkar nel nord e le regioni del sud (dove la comunità sciita è demograficamente più forte).

E per  quanto riguarda la proposta delle forze cristiane del 14 marzo? 
La proposta di legge dei partiti cristiani del 14 marzo cerca di invece di isolare i blocchi comunitari, in particolare quelli cristiani.

Sulla scia dell'esperienza del 2005, (si veda la Commissione Boutros istituita dal primo ministro dell'epoca Fouad Siniora), il CCER anche questa volta è stato invitato a partecipare alla discussione della proposta di legge governativa?
No, non è stato invitato. Però nel disegno di legge delle forze cristiane del 14 marzo è stata introdotta la Commissione elettorale indipendente, idea questa promossa proprio dal CCER e recepita nel disegno di legge proposto dalla Commissione Boutros.

Secondo alcune fonti, cinque deputati del 14 marzo (membri della commissione parlamentare che sta discutendo il disegno di legge del governo), hanno ricevuto minacce dopo l'attentato a Wissam al-Hassan e quindi non starebbero partecipando ai lavori della commissione perché ‘chiusi in casa’. È vero?
Sì, è vero, ma non è questo il problema principale. La Coalizione 14 marzo - attualmente all'opposizione - dopo l'attentato ha deciso di interrompere il dialogo con il governo richiedendone le dimissioni. 
In ogni caso né Saad Hariri (leader del partito sunnita Movimento per il Futuro e della Coalizione 14 marzo), e nemmeno Walid Jumblatt voteranno il disegno legge presentato dal governo. 
Conseguentemente non c'è una maggioranza parlamentare a sostegno di questa proposta. Hariri con la proposta governativa perderebbe molti più seggi rispetto ai partiti sciiti. Il sistema proporzionale farebbe emergere i leader minori della comunità sunnita, oppositori di Hariri, indebolendone conseguentemente la posizione. 
Un fenomeno questo che non si riproduce nella stessa misura all'interno della comunità sciita che ha invece una leadership molto più solida. 
Attualmente si sta aprendo la possibilità, sponsorizzata principalmente dal 14 marzo ma che potrebbe ottenere l'adesione anche dell'8 marzo, di riprendere il lavoro della Commissione Boutros. 
Ricordo brevemente che il disegno di legge proposto dalla Commissione Boutros prevedeva un sistema elettorale misto proporzionale/maggioritario e con circoscrizioni elettorali miste grandi/piccole o muhafaza/qaza). 

Considerando che le elezioni legislative saranno a giugno 2013, quanto tempo rimane alla classe politica per trovare un accordo per una nuova legge elettorale?
Marwan Charbel, ministro degli Interni, ha dichiarato che il Parlamento dovrebbe adottare la nuova legge elettorale prima di gennaio 2013, in modo da venire incontro alle esigenze organizzative del suo dicastero. 
Tuttavia se scorriamo la storia del Libano le leggi elettorali sono sempre state adottate come provvedimenti in extremis. È dunque lecito aspettarsi un ritardo di due o tre mesi, il che farebbe scalare il termine ultimo tra febbraio e marzo 2013. 

Secondo lei verrà adottata una nuova legge elettorale o c'è il rischio che le prossime elezioni si svolgano con le regole attualmente in vigore?
Personalmente penso che verrà adottata una nuova legge elettorale, anche se questa mia affermazione non è priva di incognite. In ogni caso il 14 marzo ha già dichiarato che farà ostruzionismo, insieme a Jumblatt, nei confronti della proposta governativa anche perché, con tutta probabilità, con l'attuale legge elettorale il 14 marzo insieme ai i drusi avrebbero nuovamente la maggioranza parlamentare. 

*La legge del 2008 recepisce i risultati degli accordi di Doha ed è basata sulla legge del 1960 (sistema maggioritario ad un turno e divisione del paese in 24 circoscrizioni elettorali di piccole dimensioni o qaza).

30 gennaio 2013 

COME COSTRUIRE UNA GUERRA CIVILE E INTERVENIRE MILITARMENTE


Dal Niger al Mali: come costruire una guerra civile e intervenire militarmente/1

Africa_profughi_def.jpg
Un decalogo per giovani colonialisti che vogliono muovere i primi passi nello scacchiere africano. Corso teorico e pratico per saccheggiare il territorio, affamare la popolazione, attizzare il fuoco dei movimenti irredentisti creando condizioni di insicurezza nell'area tali da giustificare un intervento militare con l'appoggio della comunità internazionale. Capitolo primo: Il caso algerino.


di Andrea Camboni

1. ARMARE LA RETE DEL TERRORISMO GLOBALE. IL CASO ALGERINO


Nell’ottica del mantenimento della propria ingerenza politica ed economica nei confronti di un paese in via di sviluppo non deve preoccupare l’assoluta contraddizione esistente tra il commercio indiscriminato di armi e il flusso di investimenti diretti ad implementare politiche di cooperazione e sostegno allo sviluppo delle istituzioni.
Per esempio, se andiamo a leggere i dati contenuti nel rapporto 2011 sui lineamenti di politica del governo italiano in materia di esportazione, importazione e transito dei materiali di armamento, l’Algeria risulta essere il primo paese non appartenente alla Nato o all'Ue con un valore di autorizzazioni all’esportazione definitiva pari a 477,52 milioni di euro, mentre nello stesso anno sono state dirette nel continente africano complessivamente il 25,4% delle autorizzazioni al commercio di armi.
Un trend iniziato tra il 2001 e il 2002, periodo nel quale è stato registrato un fortissimo incremento della vendita di armi in Africa da parte di paesi dell'Unione europea.
Infatti, a fronte di un volume di vendite decrescente fino al 2001, nel 2002 le commesse autorizzate per i paesi dell’Africa settentrionale e del Vicino e Medio Oriente sono risalite fino a sfiorare i 160 milioni di euro. In particolare, all’inizio del decennio, le commesse militari italiane hanno riconquistato i mercati del Maghreb che negli anni precedenti avevano registrato una flessione nella presenza della nostra industria della difesa.
Nel 2002, in Algeria vengono esportate armi per 17.703.251 milioni di euro.
Non ha la minima importanza che nel frattempo l’Algeria conduca un'offensiva terroristica contro il suo stesso popolo e le resistenze islamiste, generando una sacca di destabilizzazione nella regione al fine di aumentare la propria influenza sui vicini.
Non è necessario foraggiare direttamente il mercato dei paesi che insistono sulla regione di interesse delle economie occidentali. Come nel caso dello stock libico post conflitto, è sufficiente saturare il mercato di un paese terzo confinante non gravato da restrizioni al commercio degli armamenti.
Le armi troveranno sempre un modo di arrivare nelle mani giuste.
Il commercio di armamenti ha come conseguenza indiretta quella di rendere obsoleti i depositi delle vecchie armi a disposizione dei governi acquirenti che, contagiati da un alto tasso di corruzione politica, sono disposti ad armare gruppi paramilitari, vendere i vecchi equipaggiamenti al migliore offerente, cedere a paesi terzi il materiale dismesso o pilotare l’insorgenza all’interno di stati confinanti.
Una politica che mal si concilia con gli impegni di cooperazione internazionale, bilaterali e multilaterali, che il governo italiano ha attivato per il Sahel.
Solamente nel 2012, il ministro per la Cooperazione internazionale e l’Integrazione, Andrea Riccardi ha effettuato diverse missioni  nella regione del Sahel, recandosi due volte in Niger e in Burkina Faso e una volta in Repubblica di Guinea.
Sette, invece, le missioni dell’inviato speciale del ministero per le emergenze umanitarie in Africa, Margherita Boniver, che negli ultimi due anni ha mantenuto contatti costanti con i governi di Mali, Mauritania, Niger, Burkina Faso e Nigeria.
Purtroppo, la cooperazione allo sviluppo non rappresenta per gli investitori stranieri una fonte diretta ed immediata di opportunità economiche.
E allora "come si migliorano le opportunità di investimento in un paese del Terzo mondo?", si chiede Noam Chomsky.
“Uno dei modi più efficaci è assassinare dirigenti sindacali e leader contadini, torturare preti, massacrare contadini, sabotare programmi sociali e così via. È un modo per migliorare le opportunità di investimento, e comporta la correlazione secondaria […] tra aiuti statunitensi all’estero e gravi violazioni dei diritti umani. […] Tra l’altro, la correlazione tra violazioni dei diritti umani e aiuti valeva in particolare per gli aiuti militari”.[1
Come la Turchia, destinataria fino al 1999 di ingenti aiuti militari da parte americana nel periodo più intenso della repressione curda, così l’Algeria rappresenta per gli Usa un modello nella lotta al terrorismo trans-sahariano.
“Nessun paese è più importante dell’Algeria nella lotta contro al-Qaida nel Sahel e nel Maghreb”, afferma l’ambasciatore Usa ad Algeri, David Pearce, in una nota del 6 gennaio 2010.
Una lotta al terrorismo che tra il 1992 e l'ottobre del 1994 ha condotto davanti ai tribunali speciali 13.770 persone, emettendo 1.661 condanne a morte, di cui 1.463 in contumacia, e 8.448 sentenze di carcerazione. Senza contare le migliaia di persone scomparse.[2]
Le duecento mila vittime del 'terrore' degli ultimi trent’ anni della storia algerina sono davvero troppe per essere attribuite esclusivamente al terrorismo di stampo islamista.
Con queste credenziali, infatti, era difficile non attirare l’interesse di Washington, che nel campo del antiterrorismo ha sviluppato con l’Algeria uno stretto rapporto bilaterale finalizzato alla 'gestione della sicurezza' nella regione subsahariana.
È il 2002 quando, sotto la nuova bandiera della lotta al terrorismo nell’area del Sahel, le potenze occidentali si preparano ad affilare l’artiglio coloniale sul continente africano, in attesa di preparare una intensa stagione di guerre postcoloniali, necessarie in virtù di una contrapposizione strategica tra il primario interesse di sicurezza energetica dell’Occidente e le rivendicazioni dei movimenti islamisti.
Il programma statunitense Pan Sahel Iniziative (PSI), operativo dal novembre 2002 al 2004, rappresenta la prima prova di partecipazione attiva statunitense finalizzata a combattere le minacce terroristiche nell’area, implementando la capacità di risposta dei governi di Mali, Niger, Ciad e Mauritania.
A questo primo approccio di Washington ha fatto seguito, nel 2005, il programma Trans Sahara Counterterrorism Initiative (TSCTI), con l’obiettivo principale di saldare i rapporti tra gli Usa e le forze di sicurezza locali con esercitazioni militari congiunte.
Legami rafforzati maggiormente nel 2008 attraverso la creazione del comando Africom con il compito di addestrare gli eserciti regionali tramite esercitazioni biennali (Flintlock).
Alla Flintlock 2010 hanno partecipato 600 militari delle forze speciali Usa e 150 militari provenienti da Belgio, Francia, Spagna, Olanda e Gran Bretagna.
Training rivelatosi assolutamente inefficace ma che ha raggiunto il suo scopo. In nessun altro modo, infatti, i paesi Nato potevano garantirsi nella regione una presenza militare pulita, non compromessa.
 
--------------------------------------------------------------------------------
[1] Noam Chosky: “Dopo l’11 settembre. Potere e terrore” (2003)
[2] Dati estratti dal Rapporto della delegazione nominata dal segretario generale dell'ONU, Kofi Annan, il 29 giugno1998 e inviata in Algeria dal 22 luglio al 4 agosto dello stesso anno.
 
* Foto di liquidslave 
30 gennaio 2013

L'INDIA RICORDA GANDHI


 L'Avana. 30 Gennaio 2013
   
L’India ricorda Mahatma Gandhi
Alberto Salazar Gutierrez
Milioni di indiani si sono recati in piazze, templi, monumenti ed altri siti legati a Mohandas Gandhi, il padre della patria, per rendergli omaggio nel 65º anniversario della sua morte.
A Nuova Delhi i principali dirigente politici del paese hanno sfilato nel Raj Ghat, il sito dove fu cremato il corpo del Mahatma (Anima Grande), come lo chiamò il Premio Nobel per la LetteraturaRabindranath Tagore, in una definizione molto efficace, infatti sono davvero pochi coloro che conoscono il suo vero nome.
Fin dalle prime luci del giorno, dinnanzi al mausoleo, migliaia di indiani hanno cantato e deposto fiori sulla lapide di marmo nero, dove in uno degli estremi, protetta da un’urna di cristallo, arde la fiamma eterna.
Nell’Archivio Nazionale è stata mostrata per la prima volta una raccolta delle lettera tra Gandhi e Herman Kallenbach, uomo di cultura ed architetto ebreo di origine tedesca che ebbe con lui una stretta relazione durante gli anni vissuti in Sudafrica prima di fare ritorno in India nel 1914.
In questi giorni circolano in tutto il paese varie reliquie associate all’artefice dell’indipendenza indiana, tra cui un paio dei suoi iconici occhiali circolari, un orologio tascabile ed un pugno di terra e fili d’erba insanguinati provenienti dal luogo dove perse la vita il 30 ottobre del 1948.
Gandhi fu ucciso da un estremista indù che gli sparò mentre faceva la sua solita passeggiata notturna dalla sua casa nel centro di Delhi, trasformata in museo e che in questi giorni ha ricevuto migliaia di visite.
Senza altisonanti atti pubblici, il Bapu (padre in guyaratí, lingua della patria piccola di Gandhi) è stato ricordato da milioni di indiani di tutte le religioni e partiti politici, in ogni angolo del paese.
Nato il 2 ottobre del 1869 nell’attuale stato di Gujarat (ovest del paese), Mohandas Karamchand Gandhi studiò Diritto in Inghilterra e visse in Sudafrica prima di guidare la lotta per l’indipendenza dell’India dall’Impero Britannico, ottenuta nel 1947.
La sua strategia della “satyagraha” o disobbedienza civile non violenta, continua ad avere un’enorme influenza sui movimenti e sui leader politici indiani.
Dal 1937 al 1948 Gandhi fu nominato 12 volte al Premio Nobel per la Pace, però, per ragioni che il Comitato per il Nobel non ha chiarito, non gli fu mai assegnato il riconoscimento.
Nel 2007 la ONU ha dichiarato il 2 ottobre come Giornata Internazionale della Non Violenza, indicando la data come un’occasione speciale per “diffondere il messaggio della non violenza, anche attraverso l’educazione e la coscienza pubblica”.
Gandhi fu anche un fermo difensore dell’armonia interreligiosa e si scagliò contro l’ingiustizia del rigido sistema indù delle caste.
(Traduzione Granma Int.).

DENUNCIATA A CUBA LA SCALATA MILITARE DEGLI USA IN AMERICA LATINA

N U E S T R A   A M E R I C A
  L'Avana. 30 Gennaio 2013
   
Denunciata a Cuba la scalata militare degli USA in America Latina
Yeanny González Peña
La presidentessa del Consiglio Mondiale per la Pace, María Do Socorro, ha considerato che la scalata nucleare promossa dagli Stati Uniti costituisce il principale fattore di squilibrio ed aggressione ai popoli dell’America Latina.
Nel suo intervento nella III Conferenza Internazionale per l’Equilibrio del Mondo, con sede a L’Avana, la funzionaria brasiliana ha affermato che la superpotenza nordamericana ha la pretesa di esercitare il suo potere bellico nel continente attraverso l’installazione di basi militari e della Quarta Flotta.
Ha spiegato che le spese militari dei paesi membri dell’Organizzazione dell’Atlantico Nord (NATO) rappresentano il 2,6% del PIL mondiale; mentre la somma delle spese di questa “macchina da guerra” e degli Stati Uniti costituisce il 76% delle spese militari del pianeta.
Nonostante questo, Washington demonizza i presidenti regionali legalmente eletti e bombarda viarie città del mondo colpendo le popolazioni civili, ha denunciato Do Socorro.
Al riguardo ha segnalato che una delle aspirazioni del Consiglio Mondiale per la Pace è di rafforzare la lotta dei popoli contro le guerre e lo sfruttamento.
“La nostra sfida è di moltiplicare gli sforzi per rafforzare la lotta per la pace, aumentando le denunce e la lotta contro la politica degli armamenti, ed in favore dello smantellamento della NATO e delle basi militari installate nei paesi latinoamericani”, ha aggiunto.
La presidentessa dell’organismo internazionale ritiene che solo il dialogo, il rispetto e la buona convivenza, uniti alla mobilitazione ed alla lotta dei popoli, apriranno la strada che porterà alla pace.
L’intellettuale partecipa a questo evento di tre giorni che quest’anno è dedicato all’Eroe Nazionale Cubano, José Martí, in occasione dei 160 anni dalla sua nascita.
Alla conferenza partecipano più di 800 delegati provenienti da circa 40 paesi dell’America Latina, Europa, Asia ed Oceania, per promuovere lo scambio di idee tra i sostenitori del pensiero dell’Apostolo cubano.
(Traduzione Granma Int.).

FREI BETTO: "UN MONDO SENZA EGOISMO NECESSITA DI UN'ETICA BASATA NELLA RAGIONE"

C U B A
  L'Avana. 30 Gennaio 2013
   
Frei Betto: un mondo senza egoismo necessita un’etica basata nella ragione
 Gli elementi sui quali sedimentare l’Equilibrio del Mondo

LUISA MARÍA GONZÁLEZ

Forgiare un mondo distinto e libere dall’egoismo capitalista implica la costruzione di un’etica sedimentata nella ragione e di una soggettività radicata nella capacità di vivere le virtù come abiti, ha dichiarato Frei Betto.
Il noto intellettuale e teologo brasiliano ha parlato ai partecipanti alla III Conferenza Internazionale “Per l’Equilibrio del Mondo”, para segnalare la necessità di articolare un’ etica che permetta di superare le disuguaglianze e i conflitti del pianeta.
Betto ha dato l’allerta sull’esistenza delle minacce che attentano contro l’ottenimento di un mondo equilibrato, come le armi di distruzione di massa, la preponderanza dell’interesse per il capitale a livello internazionale e l’esistenza di mezzi di comunicazione che non tentano di formare cittadini informati, ma di generare consumatori.
“Di fronte a tutto questo, nel momento attuale si avvertono anche congiunture che fanno sperare, come l’esistenza in America Latina di governi che si dedicano ai loro popoli”, ha segnalato il vincitore del Premio Internazionale José Martí della UNESCO, consegnato ieri durante l’inaugurazione della Conferenza.
“I popoli del nostro continente, ha aggiunto, hanno sofferto per le dittature militari negli ultimi decenni del secolo scorso e sono stati traditi dai governi neoliberisti, e adesso esigono dirigenti che governino a favore delle maggioranze, difendano la sovranità e neghino alle potenze straniere di dettare regole nella regione.
In questa situazione di aspetti promettenti e negativi, il teologo ha chiamato a prendere coscienza che il mondo capitalista è divenuto impossibile ed è quindi necessario cercare altri mondi possibili nei quali si sradichino le armi nucleari e si preservi la specie umana.
“Dobbiamo apprendere dai popoli originari, ha detto, negli aspetti come le relazioni con la natura e il senso comunitario, per condividere beni e ricchezze.
La Rivoluzione cubana è un esempio, guidata dal pensiero di José Martí, ed ha saputo preservare la sua originalità senza farsi invadere da concetti che hanno avuto  nefaste conseguenze in altri luoghi del mondo. La Rivoluzione ha detto  basta all’espansione dell’imperialismo, ha svegliato la coscienza critica della nostra gente, ha fomentato movimenti di liberazione, ha dato prova che l’utopia può diventare realtà e che la speranza non è mai vana”.
Betto ha anche fatto riferimento alla tradizione di lotta libertaria nel continente, alla quale hanno partecipato uomini donne, ed anche i gruppi indigeni come un altro elemento positivo sul quale sedimentare l’Equilibrio del Mondo.
(Traduzione Granma Int.)

QUESTO E' IL MIO GIORNO DELLA MEMORIA

DI PAOLO BARNARD
paolobarnad.info

“Quella sera di dicembre del 1981 le truppe d’elite salvadoregne del battaglione Atlacatl si trovano impegnate in manovre di contro insurrezione nella provincia di Morazàn, di cui il villaggio di El Mozote fa parte; ufficialmente la mira era di stanare alcuni membri del FMNL dai loro covi montani. Rufina Amaya era nella sua casa, con i suoi figli, molti altri stavano tornando dalla chiesetta edificata su un lato del piazzale al centro di quello sperduto borgo contadino, faceva freddo. L’irruzione dei soldati fu improvvisa: “Dapprima i militari ci tennero tutti distesi a pancia in giù, poi le donne furono portate in due case diverse, quella di Marques e quella di Benita Dias; gli uomini furono portati in chiesa, e così ci fecero passare la notte”, inizia questa donna che proprio non ha nulla nell’apparenza che possa tornarmi utile per descriverla. E’ ordinaria, lunghi capelli ancora neri raccolti in una coda di cavallo, volto tondeggiante, bassa, sovrappeso, occhi che esprimono nulla. Ed è questo che colpisce: gli occhi di chi ha vissuto l’inimmaginabile forse sono sempre così, uccisi da ciò che hanno visto. 

Rufina continua, la voce in una sorta di cantilena: “La mattina seguente arrivò un elicottero e cominciarono a torturare gli uomini. Poi a mezzogiorno cominciarono con le donne e lì iniziò la strage.”  Dapprima i soldati fecero fuoco all’impazzata su qualsiasi cosa si muovesse, e infatti ancora oggi quella parte di El Mozote è rimasta così, congelata nel tempo, con i muri crivellati di proiettili, le rovine delle abitazione bruciate, persino gli oggetti di casa ancora sparsi, derelitti e arrugginiti, nelle aie abbandonate; un luogo plumbeo, morto anch’esso e che nessuno da allora ha mai più voluto riabitare. Poi tacquero le mitraglie e fu la volta dell’orgia di violenza all’arma bianca. Rufina: “Io avevo i miei tre figli intorno, tra cui una bimba che ancora allattavo, me li strapparono, così come fecero con le altre madri, e li portarono tutti nella chiesa. Io li sentivo urlare… ‘mamma, mammina aiutaci, ci stanno uccidendo con i coltelli…’”.

Furono sgozzati tutti, quattrocento bambini sgozzati dentro una chiesa. I filmati del ritrovamento dei corpi mesi dopo, che ho ottenuto, mostrano i volontari in guanti di lattice e mascherine sollevare dal terreno minuscole vesti, magliette e calzini come fossero rigidi cartoni incrostati di nero, il sangue rappreso, e lascio ai lettori immaginare cosa mostravano le fotografie del pavimento della chiesa scattate dai primi testimoni giunti sul luogo. Fra loro Santiago Consalvi, un giornalista oppositore del regime, che commentando quelle scene una sera a cena con me e con sua moglie ha solo sussurrato “Dantesche…”, senza aggiungere altro.

Rufina Amaya a quel punto si trova ultima nella fila delle donne inginocchiate che vengono uccise una a una con colpi alla nuca o semplicemente accoltellate. Intorno a lei cadaveri, grida, esplosioni, il fuoco della case cosparse di kerosene, animali domestici che galoppano col pelo in fiamme, il terrore che non si può immaginare.

“Ancora potevo udire le grida di qualche bambino, forse i miei bambini, ma che potevo fare? Pregavo Dio che mi perdonasse, o che mi salvasse, pregavo e piangevo. Poi vidi dietro di me del bestiame misto ai cani, raggruppati fra le piante lungo quel sentiero lì” e me lo indica, una stradina che costeggia un rudere delimitata da una vegetazione cespugliosa, caotica e assai alta, “e approfittai del buio per nascondermici arrancando a gattoni. Rimasi laggiù non so per quanto, ma i singhiozzi che mi uscivano erano troppo acuti, mi avrebbero sentita prima o poi, e allora scavai con le mani un buco nella terra, vi ficcai la testa, e iniziai a urlare.”

Quando molte ore dopo Rufina Amaya tentò di uscire dai cespugli fu immediatamente vista. Le spararono addosso, ma lei si gettò di nuovo nel verde e iniziò a correre nel fitto della boscaglia. Per sei giorni rimase a vagare come un animale, poi fu raccolta da una contadina che viveva con i figli in una grotta in condizioni poco migliori delle sue, ma le salvò la vita.
Al termine di quarantotto ore di orgia di violenza, i terroristi del battaglione Atlacatl sterminarono ottocento abitanti di El Mozote, e cioè tutti meno Rufina, e altri quattrocento nei dintorni. Mille e duecento vittime civili, contadini, donne e bambini, neppure un guerrigliero fra loro.

La donna che mi ha raccontato tutto questo ora si alza e mi fa cenno di seguirla. Poco distante si ferma e punta il dito contro un portone che ancora è retto da un muro bruciato e in cima al quale qualcuno inchiodò un asse di legno con una scritta, anzi, una firma. Armando (il mio interprete e autista) traduce quelle parole che furono evidentemente scarabocchiate con un pezzo di carbone: “Qui è stato il battaglione Atlacatl, il padre dei sovversivi, seconda compagnia. Avete fatto una cagata, figli di puttana. Se avete bisogno di palle chiedetele per corrispondenza al battaglione Atlacatl. Gli angioletti dell’inferno.”

Ebbene, i terroristi delle truppe d’elite Atlacatl, gli psicopatici capaci di fare questo a 400 bambini e a 800 civili inermi, ebbero un sostegno diretto, ripetuto e consapevole proprio dalla nazione che oggi si è posta alla guida della Guerra al Terrorismo, gli Stati Uniti d’America. Le prove di ciò sono schiacciati, nero su bianco ed è un misto di perseveranza e fortuna che pochi giorni dopo il mio incontro con Rufina Amaya io me le ritrovi fra le mani.

In compagnia di Armando mi ero ficcato negli archivi sotterranei dell’Università Cattolica di San Salvador, dove una giovane e distratta responsabile aveva ascoltato la mia richiesta di saperne di più su El Mozote e senza spostarsi di un passo dal ventilatore che la rinfrescava mi aveva solo indicato una stanza a destra in fondo al corridoio, bofonchiando“là ci sono pile di carte lasciate da un ex professore che non so dove sia finito. Nessuno le ha mai più toccate”. Ci troviamo in uno stanzino di due metri per quattro, con una scrivania di metallo spoglia, due sedie e sei pile di scatoloni grigi che in realtà erano neri ma la pasta di polvere che li ricopre gli ha cambiato colore. Mani che diventano subito carboni, caldo soffocante, decine di pacchetti di fazzolettini di carta usati per poter toccare i fogli senza lordarli, acqua, tanta. Ma all’apertura del quarto scatolone arriva la sorpresa. Dopo aver scartabellato articoli e altra roba di nessun interesse, mi ritrovo fra le mani qualcosa di familiare: i fogli fotocopiati con le classiche rigone nere che cancellano nomi riservati, con il timbro “Classified” e la firma del funzionario responsabile, con “fm Embassy to Secstate in Washington D.C.”, oppure ancora “Confidential, Action Copy Telegram, Top Secret”, insomma documenti di Stato americani presi direttamente dagli archivi dei Servizi presso l’Ambasciata USA in Salvador e di cui quel professore era venuto in possesso chissà come. 

Il problema, che stempera subito il mio entusiasmo, è che sono migliaia, senza un ordine di date e soprattutto trattano di argomenti di una noia mortale, pedissequamente riportati dagli agenti americani per riferire, per esempio, di quell’articoletto apparso sul tal periodico salvadoregno e che parlava del tal funzionario, di quell’incontro fra il tal businessman e quell’oscuro burocrate di ministero, dell’opinione dall’addetto alla propaganda dell’ambasciata sulla maggiore o minore simpatia espressa dal New York Times per le politiche americane in Salvador o in Honduras.

Io e Armando ci passiamo due pomeriggi e una mattinata senza cavarci alcunché di interessante, e l’unica cosa che mi sorregge è vedere l’entusiasmo di questo meccanico che sta ritrovando un acceso e commovente patriottismo nello sdegno che lo va man mano assalendo mentre, nel seguirmi lungo la mia ricerca in Salvador, è ritornato in contatto con il passato di orrori politici che ha terrorizzato la sua gente per decenni. Lui era solo un ragazzino all’epoca, ma ora mi racconta di come ogni mattina quando si recava al lavoro usava tenere la testa bassa e gli occhi puntati sulla punta delle sue scarpe per non vedere i cinque o dieci cadaveri abbandonati che sempre punteggiavano il percorso da casa all’officina, e che corrispondevano ad altrettante raffiche di mitra udite nella notte. Corpi magari nudi e mutilati dalla tortura, con i testicoli carbonizzati, con fori da trapano nelle braccia o con i solchi dell’acido versato fra le natiche. Armando dice il vero, le foto di quelle atrocità riempiono gli archivi del Rehabilitation Center For Torture Victims di Copenaghen , della Medical Foundation di Londra o di Amnesty International. E non di rado erano giovani donne, cui veniva mozzata la lingua perché le loro grida non demotivassero gli uomini e i cani che le violentavano prima di torturale. Così finivano gli oppositori dei regimi latinoamericani, dal Salvador al Cile, dall’Argentina al Paraguay, ridotti in quel modo da chi “dedicò il suo lavoro alla causa del progresso e della pace..”, e cioè dai Dan Mitrione dell’America nemica giurata dei terroristi, e dai loro allievi aguzzini.

Alla sera del terzo giorno la fortuna ci bacia in fronte. Il nome Morazàn compare per primo in un memorandum Top Secret, poi El Mozote e tutta la storia. E con essi la prova che gli Stati Uniti non solo finanziarono e addestrarono il battaglione Atlacatl, ma seppero del terrore di cui erano capaci, tentarono di negarlo e continuarono imperterriti ad armarli e a proteggerli.
Nel memorandum segreto che il sottosegretario alla Difesa Carl W. Ford spediva nell’aprile del 1990 in risposta alle interrogazioni all’Onorevole John Joseph Moakley in Campidoglio si legge: “..Il battaglione Atlacatl fu in effetti addestrato dai militari degli Stati Uniti nel 1981. Furono addestrati un totale di 1383 soldati. L'addestramento fu condotto nel Salvador.”
Ricordo che l’eccidio di cui fu testimone Rufina Amaya era avvenuto nel dicembre di quell’anno. 
La strage di El Mozote fu resa nota al Dipartimento di Stato a Washington nel giro di pochi mesi, ma nonostante ciò l’appoggio americano ai terroristi dell’Atlacatl non cesserà e durerà per altri 8 anni, fino al 1989 quando lo stesso battaglione firmerà un’altra strage, quella dei 6 intellettuali gesuiti e delle due perpetue, massacrati nei locali dell’Università Cattolica nel centro della capitale. Su quel periodo il memorandum di Ford infatti dichiara: “All’interno della valutazione del distaccamento, abbiamo addestrato 150 soldati del battaglione Atlacatl. L’addestramento fu interrotto il 13 novembre del 1989.”

Il cinismo e la menzogna che seguirono, e in cui il governo americano e la giunta salvadoregna fecero a gara per distinguersi, sono testimoniati da un altro documento riservato che un diplomatico americano in Salvador spediva al Dipartimento di Stato nel febbraio 1982. Vi si legge dei tentativi dell’ambasciata statunitense di verificare le voci insistenti che parlavano di una immane strage a El Mozote, e il diplomatico mostra tutta la sua abilità nell’esser riuscito a fare domande scomode ai vertici militari di quel Paese pur rassicurandoli appieno sul continuo appoggio americano. Infatti, egli informa i suoi superiori a Washington di aver notificato al Generale Garcia (l’allora ministro della difesa salvadoregno, nda) che “Tom Enders ha difeso di fronte al Congresso lo stanziamento di altri 55 milioni di dollari in armamenti al Salvador” e poi sempre riferendosi a Garcia aggiunge: “Mi ha detto che la storia di Morazàn e di El Mozote è una favoletta, è pura proaganda marxista senza fondamento. Gli ho risposto che è chiaramente propaganda, sapientemente costruita... E come zuccherino finale, gli ho ricordato che il Washington Post sostiene le nostre politiche comuni.” 

Questi documenti provano per la prima volta l’appoggio americano ai terroristi di El Mozote. Tuttavia l’idea, incessantemente ribadita da fonti statunitensi, che il terrorismo neo-nazista delle dittature latinoamericane fosse inventato da una “propaganda marxista sapientemente costruita“ fu l’ostacolo principale che Rufina Amaya incontrò, anni dopo, quando trovò abbastanza forza per raccontare ciò che aveva vissuto. Prima di lasciarla davanti alla porta della sua casa di mattoni grezzi, le avevo chiesto che ragione si era fatta di quel massacro e cosa pensasse del coinvolgimento americano, alla luce del fatto che proprio quel Paese si era poi posto alla guida di un Guerra al Terrorismo. “L’esercito venne qui per un solo motivo”  mi rispose sicura, “ed era di creare terrore. Il terrore non serviva per colpire la guerriglia, serviva a evitare che noi contadini ci organizzassimo. Ma il massacro degli innocenti, qui, ottenne il risultato opposto”. Rufina sembrò non voler rispondre alla seconda parte della mia domanda, e  gliela ripetei. Si girò verso di me e guardando in basso aggiunse: “Sì, potrei chiamarli terroristi, perché vengono nei nostri Paesi con il loro potere grande e fanno queste cose e le fanno in tutto il mondo. Ma per me sono semplicemente degli assassini.” 

_________________________ 

In memoria di Rufina, in memoria della smemoratezza di tutti noi, che mai abbiamo eretto alle vittime del nostro benessere alcun monumento. Che Dio, se c’è, ci perdoni. Paolo Barnard 

Paolo Barnard
Fonte: http://paolobarnard.info
Link: http://paolobarnard.info/intervento_mostra_go.php?id=553
29.01.2013

(Tratto da “Perché ci Odiano”, di P. Barnard, Rizzoli BUR 2006)  

CIPRO PUO' FAR SALTARE L'EUROZONA?


FONTE: TESTOSTERONE.COM

Da una intercettazione di der Spiegel si apprende che: Mario Draghi e il suo triumvirato zittiscono il ministro delle finanze tedesco perchè Cipro non può far saltare l'Eurozona 

"Sarebbe molto stupido prendersi un rischio del genere." ha dichiarato Olli Rehn, ma Wolfgang Schäuble ritiene che la piccola economia di Cipro non possa avere una rilevanza tale da minare il sistema ..... così interviene Draghi che deve tenere sotto controllo i mercati e benché faccia intendere che i salvataggi possono somigliare a una leggera truffa, Schäuble, con la sua dabbenaggine, non può permettersi di far saltare tutto in aria.


Il ritornello sulla fine della crisi del debito nella zona euro, autorizzato dagli stati ha fatto un gran rumore. Ha anche fatto vedere dei bei numeri: l' Euro Breakup Index di gennaio mostra che è scesa al 17,2% la percentuale degli investitori che pensavano che almeno un paese avrebbe lasciato la zona euro entro dodici mesi. A luglio scorso era pari al 73%. Per Cipro, il quinto paese dell'Eurozona che aveva chiesto un piano di salvataggio, l'indice è sceso al 7,5%. "Uno strappo dell'euro è un problema quasi superato tra gli investitori", dice la nota.
Proprio in quel momento, stava avvenendo qualcosa che somiglia molto ad una lite, per salvare o per non salvare Cipro. Alcuni dei nostri migliori eurocrati stavano dicendo che finanziare questi salvataggi con i soldi dei contribuenti sia una vera truffa - e che tutta la zona euro sia molto fragile.
In Germania c'è stato un intenso dibattito su Cipro. Non che il Parlamento tedesco, possa avere voce in capitolo, non dovrebbe mettere nessun timbro su un eventuale piano di salvataggio, come ha fatto in altre occasioni, ma in questo momento non è in vena. Cipro è un pasticcio troppo complicato. Fare un salvataggio dei correntisti non assicurati dalle banche cipriote costituirebbe un precedente costoso anche per altri paesi. E un salvataggio di "denaro sporco dei russi", che costituiscono una gran parte dei depositi, sarebbe anche di cattivo gusto in Germania, a pochi mesi dalle elezioni federali.
Per il piccolo paese, la cui economia è appena un arrotondamento per i conti della zona euro, sarebbe un salvataggio enorme. Diciassette miliardi e mezzo di euro equivalgono a circa il 100% del PIL: dieci miliardi di euro andrebbero alle banche,  sei miliardi di euro ai titolari di debito esistente, e un miliardo e mezzo servirebbe a coprire il deficit di bilancio fino al 2016. Il nuovo debito, un prestito da due miliardi e mezzo fatto dalla Russia nel 2011, insieme ad altri debiti arrivano al 150% del PIL, e questo secondo Moody è insostenibile. Quindi, ci vorrebbe un taglio di capelli,  ma a chi tagliamo i capelli ?
Come sempre, non c'è mai un'alternativa a un piano di salvataggio. "E' essenziale che tutti si rendano conto che un caotico default di Cipro potrebbe portare ad un'uscita di Cipro dalla zona euro",  ha dichiarato Olli Rehn, Commissario europeo per gli Affari economici e monetari. "Sarebbe molto stupido prendersi un rischio del genere."
Un rischio che il Ministro delle finanze tedesco Wolfgang Schäuble sarebbe disposto a prendere. Aveva detto pubblicamente che non era ancora certo che un default potrebbe mettere a rischio tutta la zona euro "uno dei requisiti è che il denaro per i salvataggi possa favorire tutti i paesi", ha detto. Ma Cipro non è un paese "di rilevanza sistemica." In effetti, esistono delle alternative.

Parole eretiche. Bisognava chiudergli la bocca, a quanto pare. Ed è proprio quello che è successo nel corso della riunione di ministri delle finanze della zona euro una settimana fa, da quanto è riuscito a far trapelare lo Spiegel.
L'incontro è stato segnato dal passaggio della Presidenza dell'Eurogruppo da Jean-Claude Juncker al nuovo arrivato, il Ministro delle Finanze olandese Jeroen Dijsselbloem. Cipro era anche un punto all'ordine del giorno, ma non è stato fatto molto più che un accordo per ritardare la decisione di salvataggio fino a dopo le elezioni generali cipriote di febbraio. Il governo attuale ha resistito alle condizioni imposte per il salvataggio, come la privatizzazione delle imprese statali e l'eliminazione dell’adeguamento degli stipendi al costo della vita. E adesso tutti volevano aspettare per  trattare con il nuovo governo.

Ma quello che non è apparso nel comunicato stampa è che il presidente della Bce Mario Draghi, insieme allo Zar- del-fondo-salvataggi Klaus Regling, e Olli Rehn, tutti e tre  funzionari non eletti, avevano formato un triumvirato coalizzandosi contro  Schäuble.

Che Cipro non era "di importanza sistemica" era qualcosa che aveva sentito dire in giro da qualche avvocato, ha detto Draghi a Schauble nel corso della riunione. Ma questa non è una questione che può essere risolta dagli avvocati, è un argomento per gli economisti.

Una clamorosa disapprovazione: Schäuble, avvocato di formazione, non economista, non era competente a parlare sulla questione e avrebbe dovuto stare zitto!

Le due più grandi banche cipriote hanno una vasta rete di filiali in Grecia, ha detto il triumvirato. Se i correntisti di queste banche non fossero stati considerati sicuri, i correntisti greci sarebbero caduti nuovamente in uno stato di  incertezza, che potrebbe poi infettare tutte le altre banche greche con una grave ricaduta su tutto il paese.

Se Cipro dovesse  fallire, hanno sostenuto, questo annienterebbe tutto il flusso di notizie positive che sono state recentemente diffuse per calmare la zona euro.

Per settimane, tutti i segni hanno indicato un miglioramento, hanno sostenuto infatti i premi di rischio per il debito pubblico italiano e spagnolo che sono scesi notevolmente, e gli equilibri tra le banche centrali, che erano saliti a livelli pericolosi, sono stati riportati verso il basso. Se si dovesse chiudere il rubinetto dei soldi, questo recupero potrebbe rovesciarsi, e si diffonderebbe un contagio capace di mettere a repentaglio il rientro  sui mercati finanziari di Irlanda e Portogallo.

Inoltre, Cipro ha pagato la sua quota dei fondi di salvataggio e quindi ha il diritto ad un proprio piano di salvataggio, un argomento giuridico che anche un semplice avvocato dovrebbe essere in grado di cogliere.

E così, con la determinazione che una piccola economia come Cipro potrebbe far crollare tutto il resto della zona euro, hanno convenuto che in sostanza i salvataggi sono una leggera truffa, e che Schäuble, con la sua dabbenaggine, poteva far saltare tutto in aria.

Ancora ironia amara per l’Eurozona: il Ministro delle Finanze, democraticamente eletto da un paese i cui contribuenti devono pagare più di ogni altro paese per i salvataggi è stato messo a tacere  da eurocrati non eletti che, continuando ad aggrapparsi al loro potere, hanno deciso che le banche cipriote, i loro correntisti, gli obbligazionisti,  i loro depositanti non assicurati ma anche il  "denaro nero" dei russi hanno un "diritto" sui soldi dei tedeschi (e di chiunque altro). E se Schäuble avesse rifiutato, sarebbe saltata in aria l'intera zona euro.
Non sappiamo ancora quale sia stata la risposta di Schäuble, attendiamo che arrivi a galla.
E alla regina dei salvataggi, la Cancelliera Merkel, che sta cercando di evitare qualsiasi chiasso prima delle sue elezioni, è venuto un nuovo mal di testa. Leggi anche : “I soldi sporchi dei russi” spingono Cipro fuori dall’Eurozona.

Fonte: http://www.testosteronepit.com
Link: http://www.testosteronepit.com/home/2013/1/28/leaked-mario-draghi-and-his-triumvirate-shut-up-german-finan.html
29.01.2013

Traduzione per www.ComDonChisciotte.org a cura di BOSQUE PRIMARIO

L'UOMO DI ISRAELE IN VENEZUELA

COME DON CHISCIOTTE, 30/01/2013

DI MARTIN IQBAL 
dissidentvoice.org 

In un raduno nel Giugno del 2010, con molto sdegno dell'American Jewish Committee, che ha rigettato le accuse come "infondate" (1), il presidente Venezuelano Hugo Chavez ha detto pubblicamente che Israele finanzia l'opposizione venezuelana. 

Un'ispezione del profilo di Henrique Capriles Radonski -leader dell'opposizione venezuelana- non solo solleva un profondo sospetto, ma di fatto valida completamente le affermazioni fatte da Chavez. In primo luogo, Radonski è il più giovane deputato venezuelano mai eletto -essendo stato eletto come deputato a 26 anni. Dopo essere entrato in politica a 25 anni, è diventato il più giovane deputato del Venezuela nel Congresso, ed è stato successivamente scelto per essere il vice presidente della Camera. Secondariamente, si è goduto un' "ascesa rapidissima nella gavetta politica", secondo le parole della BBC, in quanto ha assunto un numero di incarichi, e non abbia perso una singola elezione. 

L'atteggiamento di Radonski contro l'Iran 

Nel settembre del 2012, il Telegraph ha accompagnato Radonski lungo il sentiero elettorale, nel quale ha detto ciò che avrebbe fatto (2) nel suo "primo giorno di lavoro". Non solo ha indicato la sua intenzione di declassare le relazioni diplomatiche del Venezuela con l'Iran, ma intende anche porre fine al petrolio sussidiato a Cuba e Nicaragua - qualcosa che farebbe un infinito piacere al governo degli Stati Uniti. Radonski ha informato il Telegraph che la "relazione confortevole con l'Iran finirebbe" perché "il Venezuela ha bisogno di buoni rapporti con le nazioni che hanno una democrazia e rispettano i diritti umani".
Contrariamente alle politiche economicamente nazionaliste di Chavez, Radonski rende chiara la sua linea neoliberalista e la sua alleanza con i grandi affari dal momento che critica il programma di Chavez per la riforma delle terre che ha ridistribuito la terra venezuelana dai proprietari stranieri benestanti ai contadini venezuelani poveri:
"Le espropriazioni furono un grande errore, l'intera politica è stata un fiasco,... Niente funziona ora. Il Venezuela ha 30 milioni di ettari di terra fertile ma ne usiamo solo meno del dieci per cento e ora importiamo l'80 per cento del nostro cibo, incluso il riso dai cosiddetti "imperialisti" americani".
Ha promesso di rivedere tutti questi casi di redistribuzione della terra con la prospettiva di far ritornare la terra ai suoi precedenti proprietari ricchi. Questo include la conquista di Chavez di proprietà terriere del Vestey Group, che è una compagnia che alleva bestiame e produce zucchero di canna guidata da Lord Vestey, uno degli uomini più ricchi della Gran Bretagna. 

La Germania incoraggia le nazioni UE ad aumentare il supporto all'opposizione venezuelana 

Nell'edizione del 18 maggio 2012 del giornale venezuelano Correo del Orinoco è stato riportato che (3), in un incontro dell'UE sugli affari latino americani, il governo tedesco ha chiesto alle nazioni dell'UE di incrementare il loro supporto alla coalizione MUD (Mesa de la Unidad Democrática, in italiano Unità Nazionale) (la coalizione di opposizione venezuelana guidata ora da Henrique Capriles Radonski).
Mentre i rappresentanti del governo tedesco chiedevano che questo supporto non fosse nascosto al pubblico, Portogallo e Francia chiesero un approccio più riservato. Inoltre, il rapporto menziona il supporto finanziario diretto di cui l'opposizione venezuelana gode non solo da USAID** ma anche dall'anti democratico National Endowment for Democracy***. 

L'opposizione venezuelana ha fatto segretamente visita a Israele 

Ancor più eloquente il fatto che, nel fine settimana precedente la pubblicazione del 18 maggio 2012, l'avvocato e politico venezuelano dell'opposizione Antonio Ledezma è volato segretamente verso Israele - una nazione con la quale il Venezuela ha rotto i legami diplomatici- con i soldi dei contribuenti venezuelani, per incontrare il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu e il ministro degli esteri Avigdor Lieberman in una visita di tre giorni. 

Durante il viaggio privato e non annunciato di Ledezma verso Israele pagato con il denaro pubblico venezuelano, egli ha promesso di ristabilire legami con l'usurpante entità sionista se lo stato ebraico colonizzatore finanziasse e sostenesse Henrique Capriles Radonski. Ledezma ha detto ai cronisti che ha parlato con Netanyahu e Lieberman riguardo
"la nostra [dell'opposizione], disponibilità a ristabilire relazioni con lo stato di Israele in un nuovo governo presieduto da Henrique Capriles Radonski... In contrasto al corrente piano di azione politico in Venezuela, Capriles ristabilirà i nostri legami storici".
Parlando dell'incontro di Ledezma con Netanyahu e Lieberman, il giornalista venezuelano Miguel Angel Perez Pirela ha riportato che Ledezma ha promesso a Israele "l'accesso alle risorse [del Venezuela]" se Radonski vincesse le elezioni presidenziali. Radonski, un uomo che sente che il Venezuela deve avere relazioni solo con "nazioni che hanno una democrazia e rispettano i diritti umani", mostra la sua doppiezza quando raggiunge l'entità sionista -- che di routine commette abusi ai diritti umani e che costituisce un'etnocrazia ebraica in una terra rubata ai palestinesi. 

Radonski: un "fervente cattolico" con genitori ebrei 

L'articolo sopra menzionato della BBC fa ingannevolmente riferimento a Radonski semplicemente come "Henrique Capriles" - scegliendo di omettere il suo cognome ebraico. Più avanti nell'articolo c'è un'allusione al suo contesto ebraico; il rapporto della BBC afferma casualmente "i suoi nonni materni erano ebrei". Beh, per quanto riguarda "Israele", questo renderebbe sua madre un'ebrea, il che fa di lui un ebreo. 

In modo interessante, quello che l'articolo della BBC dimentica di menzionare è che di fatto, non sono solo i genitori di sua madre ebrei, ma anche il padre viene da una stirpe ebraica. Mentre la madre di Radonski è un'ebrea aschenazita, il padre è di stirpe sefardita (4). 

Il Venezuela gode di eccellenti relazioni con l'Iran. Inoltre, Hugo Chavez ha rotto i legami con Israele dopo l'assalto omicida dello stato sionista a Gaza nel 2008-2009. A quel tempo, il ministro degli esteri venezuelano disse: "Israele ha ripetutamente ignorato i richiami dell'ONU, violando consistentemente e spudoratamente le risoluzioni approvate da una schiacciante maggioranza di stati membri, collocandosi sempre più ai margini della legge internazionale... Il terrorismo dello stato di Israele è costato le vite dei più vulnerabili e innocenti: bambini, donne e anziani". Se Capriles Radonski - l'uomo di Israele in Venezuela- vince le prossime elezioni, tutto questo sicuramente cambierà. 

Martin Iqbal
Fonte: http://dissidentvoice.org
Link: http://dissidentvoice.org/2013/01/israels-man-in-venezuela/#more-47413 
25.01.2013

Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di ILARIA GROPPI 

NOTE

1) http://www.ajc.org/site/apps/nlnet/content2.aspx?c=ijITI2PHKoG&b=849241&ct=8426145
2) http://www.bbc.co.uk/news/world-latin-america-16811723
3) http://www.correodelorinoco.gob.ve/wp-content/uploads/2012/05/COI109.pdf
4) http://www.timesofisrael.com/campaign-turns-deadly-as-huge-crowds-rally-for-opposition-candidate-in-venezuela/

Note a cura del traduttore

*American Jewish Committee: gruppo nato nel 1906 con lo scopo di difendere la sicurezza e il benessere degli ebrei in tutto il mondo (fonte: Wikipedia) 
**USAID United States Agency for International Development (letteralmente: Agenzia degli Stati Uniti per lo Sviluppo Internazionale) è un'agenzia del governo federale statunitense responsabile dell'amministrazione dell'aiuto ai civili all'estero (fonte: Wikipedia) 
***National Endowment for Democracy (letteralmente: Sovvenzione Nazionale per la Democrazia) è un'organizzazione fondata negli Stati Uniti nel 1983 (fonte: Wikipedia)