Sua Eccellenza
Mons. Dr. Gerhard Ludwig Müller
Vescovo em. di Regensburg
Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede
Il ministero del vescovo nella comunione dei credenti
Essere cristiano come amicizia con Dio
Tommaso d’Aquino individua l’essenza dell’essere cristiano nell’amicizia con
Dio. Il compito fondamentale della Chiesa, fondata sulla fede e sui sacramenti,
consiste nel servizio alla comunione degli uomini con Dio. L’annuncio del
messaggio evangelico, i sacramenti e gli uffici ecclesiastici sono mezzi e
strumenti di una vita cristiana in e con Dio. Attraverso i sacramenti si
realizza nell’azione dello Spirito Santo la comunione con Dio. L’eucaristia è il
massimo sacramento e pertanto centro e culmine della vita religiosa. Ad essa
fanno capo tutti gli altri sacramenti. Dalla prospettiva eucaristica va inteso
anche l’ufficio episcopale.
Tommaso d’Aquino riconduce l’ufficio episcopale al mandato conferito dal Signore
a Pietro: "Abbi cura delle mie pecore!" (Gv. 21, 17). Ed insiste ripetutamente
sulla figura del buon pastore, pronto a dare la vita per le sue pecore (Gv. 10,
11). Essere pastore del gregge affidatogli, è questo il compito principale e
l’obiettivo dell’ufficio episcopale. L’incarico del vescovo consiste nel
mettersi al servizio per la salvezza dei credenti. In questo senso egli segue le
orme di Gesù Cristo, il quale è venuto per servire e dare la propria vita
per la redenzione degli uomini (Mc. 10, 45). L’incarico di guida conferito al
vescovo è un servizio pastorale mirante all’edificazione della Chiesa. A livello
umano e cristiano, il vescovo può svolgere il suo logorante ministero solo
preservando la serenità necessaria. Il peso della cura pastorale,
pertanto, non deve indurre il vescovo a trascurare il piacere della verità, che
scaturisce dalla preghiera e dalla meditazione. Il modello di vescovo caro
a Tommaso d’Aquino non è quello dell’indaffarato manager pastorale. Ai pastori
di anime egli chiede piuttosto di trovare, malgrado l’impegno legato alla cura
pastorale, anzi proprio in vista di quest’impegno, tempo sufficiente da dedicare
allo studio ed alla vita contemplativa. Solo in tal modo essi potranno adempiere
correttamente al ministero di evangelizzazione loro affidato ed essere per gli
uomini quelli che, con le parole di San Paolo, vogliono "lavorare con voi per la
vostra gioia" (2 Cor 1, 24).
"Cercate di avere sale in voi stessi, e vivete in pace tra voi!"
La vigilanza del pastore, la sua sollecitudine per il gregge, che il Nuovo
Testamento tiene a mettere in evidenza, è prima di tutto premura per la fede –
in senso positivo, affinché essa emerga in tutto il suo splendore, in senso
negativo, per preservarla da ogni falsificazione. Questo compito di vigilanza e
di cura rappresenta l’essenza dell’ufficio pastorale e del magistero dei
vescovi.
La ragione più profonda dell’esistenza della Chiesa risiede nel fatto che nella
fede è presente la rivelazione divina. Nella sua regola pastorale, San Gregorio
Magno ricordava ai pastori della Chiesa il complesso monito del Signore: "Cercate di avere sale in voi stessi, e vivete in pace tra voi" (Mc. 9, 50). Il
sale sembra contrapporsi alla pace, provoca irritazione e dolore. Ma è
necessario l’incontro di entrambi: la pace, che tollera l’altro, ma anche
il sale, che mette a nudo e combatte gli elementi distruttivi. Gregorio Magno
prosegue: "Chi bada troppo alla pace puramente umana, senza più redarguire i
malvagi e dando in tal modo ragione ai perversi, si stacca dalla pace divina ...
È colpa grave insistere nel far pace con i corruttori.". Il vescovo dev’essere
un uomo di pace, ma al contempo deve avere in sé il sale; quando è in gioco il
vero e proprio bene della fede, egli deve esser pronto ad affrontare il
conflitto, affinché il sale non divenga insipido e noi Cristiani a ragione
disprezzati e calpestati a livello sociale.
L’eucaristia della Chiesa e l’ufficio del vescovo
La Chiesa trova il proprio compimento nella celebrazione dell’eucaristia, in cui
al contempo si rende presente il messaggio evangelico. Ciò include
innanzitutto l’aspetto locale. L’eucaristia viene celebrata in un luogo concreto
con le persone che abitano in esso. Qui ha inizio il processo di raccolta del
popolo di Dio. La Chiesa non è un club di amici, in cui si radunano persone con
le stesse inclinazioni. La chiamata di Dio è rivolta all’intera umanità. La
Chiesa dei primi secoli, in quanto nuovo popolo di Dio di cui tutti sono
chiamati a far parte, voleva fin dall’inizio essere pubblica, al pari dello
Stato stesso. Perciò tutti i credenti che risiedono in un determinato luogo
appartengono alla medesima eucaristia: ricchi e poveri, colti ed ignoranti,
ebrei e pagani, donne e uomini. Dove risuona la chiamata di Cristo, simili
differenze non contano più (Gal 3, 28).
Solo da questa visuale si comprende perchè il vescovo-martire Ignazio
d’Antiochia (morto intorno al 110) abbia vincolato con tanta insistenza
l’appartenenza ecclesiale alla comunione con il vescovo. Il vescovo difende
l’unità della fede da ogni tentazione di raggruppamento, di separazione per
razza o classe sociale. Il vescovo di una diocesi si fa garante che la Chiesa è
una per tutti, perché Dio è uno per tutta l’umanità. In questo senso la Chiesa
deve sempre svolgere una straordinaria missione di riconciliazione. Una
riconciliazione che può scaturire solo dall’amore di colui che è morto per la
salvezza di tutti. La lettera agli Efesini (2, 14) individua il significato più
intimo del sacrificio di Cristo nell’aver egli demolito "quel muro che li
separava e li rendeva nemici".
Non è possibile bere nell’eucaristia il sangue di Cristo "versato per i molti",
restringendosi nella cerchia dei "pochi". L’eucaristia è eucaristia di tutto il
Cristo e di tutta la Chiesa. Nessuno può scegliersi la "sua" particolare
eucaristia. La riconciliazione con Dio, che tramite essa ci viene offerta,
presuppone sempre la riconciliazione con il nostro prossimo (Mt 5, 23 seg).
L’esistenza eucaristica della Chiesa ci rimanda innanzitutto al raduno locale
del popolo di Dio. L’ufficio episcopale è parte essenziale dell’eucaristia –
come servizio a vantaggio dell’unità che risulta necessariamente dal carattere
sacrificale e conciliatorio dell’eucaristia. Una Chiesa intesa in senso
eucaristico è – secondo Ignazio d’Antiochia – una chiesa organizzata su base
episcopale.
L’ufficio episcopale nella Chiesa cattolica, universale
Osservando la pratica di vita della Chiesa dei primi secoli, si constaterà che
essa non fu mai caratterizzata da una pura e semplice coesistenza di chiese
locali. Fin dagli inizi ne costituivano parte essenziale svariate forme di
cattolicità realizzata. In epoca apostolica sono soprattutto gli apostoli stessi
che trascendono il principio della competenza locale. L’apostolo non è vescovo
di una comunità, bensì missionario per la Chiesa intera. Nella sua persona
egli dà espressione alla Chiesa universale. E nessuna chiesa locale può
rivendicarne l’esclusività. Paolo adempì al proprio mandato di propugnatore
dell’unità attraverso le sue lettere e mediante una rete di nunzi. Queste
lettere rappresentano il praticato esercizio del ministero cattolico dell’unità,
di per sé riconducibile all’autorità ecclesiale universale dell’apostolo.
Al tempo degli apostoli l’elemento cattolico nella struttura ecclesiastica è
manifesto. L’ufficio ad orientamento universale ha la priorità sugli uffici
locali. Solo comprendendo ciò si potrà afferrare in tutta la sua portata
l’asserzione che i vescovi sono i successori degli apostoli.
Nella prima fase ecclesiale i vescovi, in quanto responsabili delle chiese
locali, sottostavano chiaramente all’autorità globale degli apostoli. Che
nel processo di configurazione della Chiesa post-apostolica venisse riconosciuta
loro anche la posizione degli apostoli, significa che ora essi assumono una
responsabilità che va oltre le contingenze locali. Anche nella nuova
situazione lo zelo missionario non deve venir meno. La Chiesa non può ridursi ad
una pura convivenza di chiese locali che fondamentalmente bastano a se stesse.
Essa deve conservarsi apostolica e missionaria. La dinamica dell’unità modella
la sua struttura complessiva.
Nel secondo secolo Ireneo di Lione sottolineava:
"Ricevuto … questo messaggio e questa fede, la Chiesa, benché disseminata in
tutto il mondo, lo custodisce con cura come se abitasse una sola casa; allo
stesso modo crede in queste verità, come se avesse una sola anima e uno stesso
cuore; in pieno accordo queste verità proclama, insegna e trasmette, come se
avesse una sola bocca. Le lingue del mondo sono diverse, ma la potenza della Tradizione è unica e la
stessa. Né le Chiese fondate nelle Germanie hanno ricevuto o trasmettono una
fede diversa; né quelle fondate nelle Spagne o tra i Celti o nelle regioni
orientali o in Egitto o in Libia o nel centro del mondo. Ma come il sole, la creatura di Dio, è in tutto il mondo uno solo e il medesimo,
così la luce spirituale, il messaggio della verità, dappertutto risplende e
illumina tutti gli uomini che vogliono giungere alla conoscenza della verità"
(Adv. haer. I, 10,2).
Il vescovo è l’anello di congiunzione della cattolicità (cattolico significa
letteralmente: riferito al tutto). Egli mantiene il collegamento con le altre
chiese locali ed incarna in tal modo l’elemento apostolico e cattolico nella
Chiesa. Un tratto che trova espressione già nell’atto dell’ordinazione
episcopale. Il vescovo viene ordinato da un gruppo di almeno tre vescovi
contigui. Nessuna comunità può semplicemente darsi in autonomia il proprio
vescovo. Non siamo stati noi a produrre da soli la fede, bensì l’abbiamo
ricevuta dal di fuori. La fede presuppone sempre un superamento di confine –
l’andare verso gli altri ed il venire degli altri, che rimanda poi alla
provenienza dell’altro, Gesù Cristo.
Riguardo al rapporto tra la Chiesa globale e le parti ecclesiali che la
compongono, al vescovo spetta una posizione centrale. Nel quadro unitario di
sacramento e verbo egli incarna l’unità della chiesa locale (= diocesi). Al
contempo il vescovo è l’anello di congiunzione con le altre chiese locali: egli
provvede all’unità della chiesa nella propria diocesi ed ha contemporaneamente
il compito di stimolare attivamente l’unità della propria chiesa locale con la
Chiesa globale, unica Chiesa di Gesù Cristo.
Il vescovo – come ha detto una volta l’allora teologo Joseph Ratzinger – è
responsabile della dimensione cattolica e della dimensione apostolica della sua
chiesa locale. Queste due componenti essenziali della Chiesa caratterizzano in
modo particolare il suo ufficio, ma sono anche immediatamente connesse agli
altri due tratti distintivi della Chiesa: apostolicità e cattolicità stanno al
servizio dell’unità. E senza unità non esiste neppure la santità. Quest’ultima
infatti si realizza essenzialmente nell’integrazione dei singoli nell’amore
rappacificante del corpo unico di Gesù Cristo. La purificazione della propria
esistenza attraverso la sua fusione nell’universale amore di Cristo ha per
effetto la santità dell’uomo, che è la santità della divina Trinità stessa.
La comunione con Cristo come presupposto fondamentale del ministero episcopale
In linea di massima, la missione del vescovo è tratteggiata in ciò che le Sacre
Scritture presentano come il volere di Gesù nei confronti degli apostoli: essi
furono chiamati da Cristo, per "averli con sé", "per mandarli a predicare" e
"perché avessero il potere" (Mc 3, 14 seg.).
Il presupposto fondamentale del ministero episcopale è l’intima comunione con
Gesù Cristo, la coesione con Lui. Il vescovo deve essere testimone della
resurrezione. Dev’essere in contatto con il Cristo risorto. Senza quest’intima
coesione con Cristo, egli si riduce ad un semplice funzionario ecclesiastico. E
non sarebbe più testimone e successore degli apostoli. La coesione con
Gesù Cristo, che presuppone l’interiorizzazione della fede, fa sì
che al contempo egli partecipi alla missione di Gesù. Con l’intera sua esistenza
Cristo è infatti l’inviato che ha fatto della propria coesione con il Padre una
coesione con gli uomini. La missione del vescovo consiste innanzitutto nel
portare la coesione con Dio tra gli uomini, e nel chiamare gli stessi a raccolta
in questa coesione.
Considerando da una tale prospettiva il potere conferito agli apostoli di
scacciare i demoni, si chiarisce anche il significato di questo mandato:
L’arrivo del messaggio di Gesù guarisce e purifica gli uomini dal di dentro.
Purifica l’atmosfera spirituale in cui essi vivono, attraverso l’intervento
dello Spirito Santo. Realizzare attraverso Cristo la coesione con Dio e portare
Dio tra gli uomini: ecco il mandato del vescovo. "Chi non raccoglie insieme con
me spreca il raccolto", dice Gesù (Mt 12, 30). Il vescovo è incaricato di
raccogliere insieme a Gesù.
Da ciò risulta, in secondo luogo, che ogni vescovo è compreso nella successione
degli apostoli. Soltanto il vescovo di Roma è successore di un determinato
apostolo, San Pietro. A lui è affidata la responsabilità dell’intera Chiesa.
Tutti gli altri vescovi sono successori degli apostoli, non di uno in
particolare. Essi appartengono al collegio episcopale. La "collegialità" è
conseguenza necessaria della dimensione cattolica ed apostolica dell’ufficio del
vescovo. Si tratta innanzitutto dei particolari legami fra i vescovi di una
determinata regione (Conferenza episcopale), che cercano, all’interno di un
comune contesto politico e culturale, una via comune per l’esercizio del loro
ministero episcopale.
A tal fine è necessaria sia la responsabilità personale di ogni singolo vescovo
che la ricerca della comune testimonianza.
La Chiesa, una comunione che si perpetua nei tempi
Parlando della comunione dei vescovi, si deve tener conto di un’ulteriore
dimensione: il collegio dei vescovi non esiste soltanto sincronicamente, vale a
dire nel presente, bensì anche in senso diacronico, cioè perpetuamente. In
questo senso, nella Chiesa nessuna generazione è isolata.
Il vescovo non proclama idee da lui stesso escogitate. Egli è piuttosto il messo
e nunzio di Gesù Cristo. La guida per cogliere il messaggio è costituita per lui
dalla comunione della Chiesa di tutti i tempi. Una qualunque maggioranza
eventualmente formatasi in opposizione alla fede della Chiesa di tutti i secoli,
non sarebbe una maggioranza nel senso della fede. La vera maggioranza nella
Chiesa è diacronica, cioè si perpetua nei tempi. Solo chi presta ascolto a
questa globale maggioranza rimane nella comunione degli apostoli.
La fede trascende la tendenza che, di volta in volta, induce il presente di
turno a porre se stesso in termini assoluti. Garantendogli un’apertura
sulla fede di tutti i tempi, essa lo libera dall’illusione ideologica ed
al contempo lascia aperto il futuro. Un compito importante del vescovo,
derivante dal carattere comunitario del suo ufficio, è quello di farsi portavoce
di questa perpetua maggioranza dei credenti, di essere cioè la voce della chiesa
che riunifica i secoli.
I vescovi al servizio dell’unità
Il vescovo rappresenta la Chiesa globale nei confronti della propria chiesa
locale e viceversa. In tal modo egli si mette al servizio dell’unità. Egli non
può permettere che la chiesa locale si rinchiuda in se stessa. Deve anzi far sì
che essa si apra su tutto l’insieme, affinché le energie stimolanti dei carismi
possano circolare liberamente. Il vescovo che pratica l’apertura della chiesa
locale nei confronti della Chiesa universale, introduce nella Chiesa globale la
voce particolare della propria diocesi, i suoi speciali carismi, i suoi meriti
ed i suoi mali.Tutto appartiene a tutti. Il contributo di ciascuna chiesa locale
è importante per il bene della Chiesa globale.
Il Papa come successore di San Pietro, esercitando il proprio ufficio incoraggia
i doni particolari delle singole chiese locali. Egli deve far sì che i diversi
carismi delle chiese locali operino efficacemente nello scambio vitale del
tutto. Allo stesso modo devono procedere il vescovo e le conferenze episcopali
nei loro rispettivi ambiti. Essi devono perciò guardarsi da qualsiasi
uniformazione pastorale. Anche per loro vale la regola di San Paolo: "Non
ostacolate l’azione dello Spirito Santo! ... Esaminate ogni cosa e tenete
ciò che è buono!" (1 Tess 5, 19.21). Non può esserci uniformismo nelle
progettazioni pastorali della Chiesa. È anzi necessario che - mantenendo
come metro l’unità della fede - si lasci spazio sufficiente alla varietà dei
doni divini.
La responsabilità dei vescovi riguardo alla vita pubblica
Il mandato degli apostoli è sempre esteso "fino ai limiti della terra". Perciò
l’incarico del vescovo non potrà mai esaurirsi nell’ambito strettamente
ecclesiastico. Il Vangelo vale per tutta l’umanità. I successori degli apostoli
hanno la responsabilità di diffonderlo nel mondo. È necessario continuare senza
sosta ad annunciare la fede a coloro che ancora non riconoscono Cristo come loro
salvatore. Oltre a ciò i vescovi devono assumersi una responsabilità anche
relativamente a questioni che riguardano la vita pubblica.
È incontestato che allo Stato spetti un’autonomia nei confronti della Chiesa. Il
vescovo è tenuto a riconoscere il diritto proprio dello Stato, sotto la
condizione che lo Stato rispetti i diritti fondamentali dell’uomo (lex
naturalis). Egli evita di mescolare la fede con la politica e rende un
servigio alla libertà collettiva non permettendo che si identifichi la fede con
una determinata forma di politica. Il Vangelo indica alla politica delle verità
e dei valori, ma non fornisce risposte a singole questioni concrete in campo
politico o economico. Dell’"autonomia delle cose terrene", di cui ha parlato il
Concilio Vaticano II, devono tener conto tutti i credenti. Solo così la Chiesa
può continuare ad essere uno spazio aperto alla riconciliazione fra i partiti.
Solo così non diventa essa stessa di parte. A questo riguardo, anche il rispetto
dell’emancipazione dei laici costituisce un aspetto importante del ministero
episcopale.
L’autonomia delle questioni mondane tuttavia non è assoluta. Rifacendosi alle
esperienze dell’epoca imperiale nell’antica Roma, Agostino faceva presente che,
abbassando la soglia etica al di sotto di un certo minimo, i confini tra lo
Stato e una banda di briganti diventano labili. Lo Stato non produce
semplicemente il diritto. Se qualcosa è una colpa in sè, ad esempio l’uccisione
di innocenti, nessuna legge dello Stato può proclamarla un diritto.
I Cristiani sono tenuti ad impegnarsi sollecitamente perché si conservi,
nell’ambito della vita politica, la capacità di intendere la voce del creato. Il
vescovo deve provvedere a che gli uomini non diventino sordi per le fondamentali
verità della coscienza che Dio ha iscritto nel cuore di ciascuno di loro. San
Gregorio Magno disse una volta che il vescovo deve avere "buon naso", cioè una
sensibilità che gli permetta di distinguere tra giusto e sbagliato. Ciò vale
tanto in campo ecclesiastico quanto nell’ambito della vita sociale e politica.
Proprio il rispetto per la peculiarità della vita pubblica richiede che la
Chiesa si presenti anche come avvocato del creato, laddove nella confusione del
fai da te la sua voce viene sommersa dagli schiamazzi. Fra i compiti
preminenti dei vescovi c’è quello di risvegliare le coscienze degli uomini e di
sensibilizzarle per le esigenze dell’epoca, di condurli alla serena verità che
si è rivelata in Gesù Cristo, accogliendoli in tal modo in quell’unità che può
provenire solamente da Dio: "Uno solo è il corpo, uno solo è lo Spirito, come
una sola è la speranza alla quale Dio vi ha chiamati. Uno solo è il Signore, una
sola è la fede, uno solo è il battesimo. Uno solo è Dio, Padre di tutti, al di
sopra di tutti, che in tutti è presente e agisce." (Efes 4,4).
Bibeltexte nach:
PAROLA DEL SIGNORE – IL NUOVO TESTAMENTO, Traduzione interconfessionale dal
testo greco in lingua corrente. Editrice ELLE DI CI, 10096 LEUMANN (Torino)
ALLEANZA BIBLICA UNIVERSALE, Roma, 1989.
|