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La storia del quartiere San Giovanni / 1

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San Giovanni: la storia di un quartiere / 1

Riportiamo un'interessante ricerca effettuata dagli studenti del liceo Bertrand Russell sulle origini e sull'evoluzione dei quartieri limitrofi a San Giovanni in Laterano, per lo più ricadenti nel IX Municipio. Il testo è stato leggermente rivisto per adeguarlo al nostro giornale on-line.

Le immagini sono state per lo più tratte da internet, ritenendole di pubblico dominio. Qualsiasi abuso o violazione del copyright può esserci segnalato, andando prontamente a rimuoverle. Comunque l'uso dei testi e delle immagini è puramente culturale e didattico, quindi non commerciale.


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Le trasformazioni urbanistiche nell'età moderna (1870-1950)
Il Piano regolatore del 1909 (E. Sanjust di Teulada)


Il 1907 segnò una svolta nell'amministrazione di Roma.
Dopo 37 anni di amministrazione aristocratica, il nuovo sindaco Ernesto Nathan fu eletto grazie alla vittoria del Blocco Popolare, un raggruppamento che comprendeva radicali, repubblicani e socialisti. Nathan rimase in carica fino al 1913 e la sua amministrazione si distinse per le importanti iniziative prese in campo urbanistico.
L'azione della Giunta fu sostenuta dalla approvazione delle due leggi Giolitti per Roma, che offrirono anche un sostegno finanziario alle iniziative e una serie di strumenti idonei per l'attuazione della nuova politica urbanistica. Mutui per gli espropri, una nuova determinazione della tassa sulle aree fabbricabili, gli incentivi per l'Istituto Case popolari, i finanziamenti per le opere pubbliche, l'obbligo di predisporre un nuovo Regolamento edilizio permisero all'amministrazione capitolina di affrontare la stesura del Piano Regolatore della città. Il nuovo piano venne dimensionato per una popolazione di circa un milione di abitanti con una previsione di incremento di 516.325 unità nei successivi 25 anni. L'area compresa nel Piano raggiungeva i 5000 ettari ed era delimitata da un viale di circonvallazione che da Ponte Milvio correva tangente alla riva sinistra dell'Aniene, alla villa Chigi, al nuovo quartiere di Piazza Bologna, al Verano, al nuovo quartiere Appio, agli insediamenti della Portuense, a villa Doria Pamphilj, per chiudersi sul piazzale di Ponte Milvio, dopo aver costeggiato il nuovo quartiere di Piazza d'Armi.


Il centro storico

Piazza Colonna. Funzione del piano è quella di accentuare il ruolo di "centro elegante" della piazza. A questo fine i collegamenti est-ovest sono convogliati in due arterie che da via del Tritone conducono a ponte Cavour e al futuro ponte Vittorio Emanuele (inaugurato nel 1911).
La prima comprende:
 via Due Macelli
 via delle Convertite
 piazza del Parlamento
e raggiunge il lungotevere Marzio demolendo una serie di edifici lungo via dei Prefetti e via della Lupa.
La seconda direttrice collega:
 Tritone
 piazza di Trevi
 piazza di Pietra
 via delle Coppelle
 via dei Coronari
 Trastevere.
Qui vengono allargate via della Scala e via della Lungaretta, mentre è prevista una nuova strada tra ponte Cestio e via San Michele, come parte di un'arteria che, con alcune demolizioni, conduce da via degli Astalli a Porta Portese.

Il nuovo piano prevede due tipi edilizi, fabbricati e villini, le cui caratteristiche vennero poi fissate nel Regolamento generale edilizio e nel Regolamento speciale edilizio (1912)
I fabbricati sono edifici alti non più di 24 metri e quindi con un massimo di sette piani.
I villini sono abitazioni di 4/5 piani con distacchi non inferiori a 4 metri dal filo stradale e circondate da giardini.
Nelle aree destinate a parchi e giardini (Monte Parioli, lungo la via Nomentana, tra S. Pietro e villa Pamphilj) è possibile costruire case signorili e isolate.
I nuovi quartieri sono costituiti soprattutto di fabbricati e sono localizzati a:
 Piazza d'Armi
 Santa Maria delle Fornaci
 Gianicolo
 fuori Porta S. Giovanni
 piazza Bologna
 lungo la via Salaria
 lungo la via Flaminia.
I villini sono invece posti ai margini dei nuovi quartieri:
 all'Aventino;
 tra porta S. Paolo e porta S. Sebastiano.
Subito fuori le Mura, tra la via Ostiense e il Tevere è localizzata la zona industriale (progetti per la navigabilità del fiume, nuovo porto a Ostia, ferrovia Roma-mare) secondo una direttrice già tracciata nel piano del 1883, con il quartiere Testaccio.
Al di là della via Ostiense sono previsti i Mercati Generali (realizzati nel 1911).
Tra i servizi di grande interesse pubblico è da citare la destinazione della nuova Città Universitaria nell'area di Castro Pretorio (costruita solo nel 1932).
Il piano regolatore del 1909 ebbe, nei 25 anni della sua validità, una vita molto difficile. Già nel 1916 fu insediata, con il cambio di amministrazione, una commissione con il compito di verificarne l'attuabilità e nel 1925-26 fu elaborata una variante che , pur se non divenne mai operante, di fatto si sostituì ad esso.
Solo una parte delle sue previsioni fu realizzata integralmente. Più spesso, pur rispettando le aree destinate alle nuove espansioni, furono modificate le densità abitative. In altri casi si costruì contro le sue indicazioni o al di fuori dei suoi confini.
Le direttrici di sviluppo vennero rispettate a
 Piazza d'Armi,
 Flaminio,
 quartiere "Sebastiani" di via Paisiello,
 piazza Verbano,
 piazza Bologna,
 San Lorenzo,
 quartiere Appio,
 Monteverde Vecchio,
 Santa Maria delle Fornaci,
 Portuense.
Al di fuori del piano furono costruiti:
 città-giardino Aniene,
 Portonaccio,
 piazza Tolomeo sulla via Casilina,
 insediamenti sulla via Ostiense,
 insediamenti lungo la circonvallazione Gianicolense,
 quartiere ICP della Garbatella.


Il progetto di Stübben per il Quartiere Appio-Latino

Il progetto presenta spunti di notevole interesse per le proposte intese a creare all'interno degli ambiti residenziali, spazi urbani di quartiere, dotati di attrezzature pubbliche. La proposta prevede l'uso del verde per connettere le diverse parti del quartiere.


Variante generale del Piano regolatore (1925-1926)
Commissione: Manfredi, Bonfiglietti, Cipriani, Cozza, Cremonesi, Gennari, Girola, Giovannoni, Leonardi, Piacentini, Settimi, Venturi.


Nel 1914 un'amministrazione moderata con a capo il principe Colonna subentrò al Blocco Popolare di Nathan. Essa rappresentava gli interessi di una classe sociale che vedeva nel Piano di Sanjust un freno alla valorizzazione indiscriminata dei suoli e quindi un ostacolo da rimuovere.
La Commissione, istituita nel 1916, esprimeva alcune osservazioni assai critiche, formulate da un membro attendibile come Gustavo Giovannoni, che si proponevano di rivedere gli interventi previsti per il Centro Storico e, in particolare, per gli sventramenti previsti nelle aree centrali. La proposta di revisione del Piano venne immediatamente sottoscritta dalla nuova amministrazione, che la utilizzò per invalidare l'attendibilità complessiva del P.R. del 1909.
Nel periodo tra il 1918 e il 1924 furono predisposte circa venti varianti al Piano, nel 1920 un decreto "provvisorio", più volte prorogato, consentì di costruire palazzine al posto dei villini e nel 1923, quando già Mussolini era a capo del Governo, l'amministrazione Cremonesi istituì una nuova commissione che doveva mettere a punto una revisione generale del P.R. del 1909.
Nella Variante del 1925 l'espansione residenziale venne concentrata nel settore orientale, ma vennero privilegiate le direttrici di via Nomentana e soprattutto di via Appia Nuova, intorno alle quali furono previsti i maggiori incrementi di cubatura. I tipi edilizi previsti erano:
1) intensivi, edifici di altezza massima di 30 metri (altezza "provvisoria")
2) palazzine
3) villini, concentrati soprattutto alle pendici di Monte Mario.


Piano regolatore del 1931

Il Piano regolatore del 1931, che consente un notevole incremento dei volumi edilizi rispetto a quelli previsti dal Piano del 1909, determina un nuovo assetto dell'area tra Porta Metronia e la Ferrovia, che già negli anni Trenta risulta quasi del tutto edificata.
Negli anni successivi il quartiere si configura come area ad alta densità edilizia, caratterizzata da edifici a più piani soprattutto lungo l'asse della via Tuscolana.
L'espansione residenziale era distribuita in tutte le direzioni e prevedeva l'utilizzazione di sei diversi tipi edilizi:
1) intensivi
2) palazzine
3) villini
4) villini signorili (superficie coperta: 1/6 del lotto, distacchi: 6 metri)
5) ville signorili (superficie coperta: 1/15 del lotto, distacchi non inferiori all'altezza).
6) case a schiera (nuclei di almeno sei alloggi, a due piani).

La gestione del problema
Definizione degli Enti edificatori:
 I.C.P.
 Cooperative
 U.E.N.

Il testo Unico del 1919 e il R.D.L. del 19 giugno 1919 n° 1040 estende alle cooperative a proprietà divisa, all'I.C.P., alle imprese industriali che costruiscono per i propri dipendenti, i benefici del concorso dello Stato nel pagamento degli interessi.
Sempre nel T.U. venivano fissati i provvedimenti speciali per Roma, che prevedevano il versamento di quaranta milioni da parte del Ministero del Tesoro al Ministero dell'Industria in conto mutui per dare inizio alla costruzione di case popolari ed economiche e per anticipare al Comune 10 milioni per le nuove infrastrutture stradali.
L'ente che doveva gestire i 30 milioni da destinare alle cooperative era l'Unione Edilizia nazionale. Un Comitato Centrale Edilizia, dove erano rappresentanti dell'U.E.N. , dell'I.C.P., dell'Istituto cooperativo romano per le case degli impiegati dello Stato, il Comune, doveva provvedere alla ripartizione dei fondi, alla determinazione dei criteri per le nuove costruzioni, al controllo durante lo svolgimento dei lavori.
Realizzazioni U.E.N.:
 Via La Spezia: n° piani 5, n° alloggi 92.
 Via La Spezia - Postelegrafonici: n° piani 6, n° alloggi 134.
 I.R.C.I.S (Istituto romano cooperativo per le case degli impiegati dello Stato) costituito nel 1909 (poi I.N.C.I.S)
 costruzione di alloggi a proprietà indivisa
 tipologie ad alta densità
 localizzazione in aree centrali, vicino ai ministeri
L'Ente scegli di realizzare:
▪ gruppi di fabbricati con consistente numero di alloggi,
▪ servizi comuni come negozi e giardini condominiali
▪ tipologie a blocco.
Le realizzazioni:
1910-1915 Area dell'ex villa Caetani: 867 alloggi
1920. Aree accanto all'ex Piazza d'Armi: 451 alloggi
1920. Intervento al Salario: 789 alloggi (progetto di Q. Pirani)


TRASPORTI


1892 Il sistema delle Tramvie conta 25 linee ed è dotato di omnibus, tram a trazione animale e undici tram elettrici. Le linee collegano San Pietro, Prati, Porta Pia e San Giovanni Laterano.
1893 Viene inaugurata la stazione ferroviaria di Trastevere a Piazza Ippolito Nievo.
1895 La SRTO inaugura una linea che collega Piazza S.Silvestro con la stazione Termini.
1896 Nuove linee di tram elettrici collegano Piazza Venezia a Termini, Piazza Venezia a San Giovanni, Piazza Venezia alla Basilica di San Paolo.
1899 La Società Tramvie Ferrovie di Roma (STFR) chiede al Comune la Concessione per una linea circolare del Centro Storico, due linee per i Lungotevere e quelle per i Castelli Romani.
1900 La SRTO predispone un programma di ammodernamento delle proprie linee: a trazione animale ed elettrica.
1903 La STFR inizia il programma della rete extraurbana dei tram inaugurando il tronco Termini - Castelli.
1904 La Belga elettrifica la linea via Marsala - Verano - San Lorenzo.
1906 Viene inaugurata la linea tramviaria Roma - Grottaferrata - Frascati e le tratte Frascati - Genzano, Marino - Genzano, Valle Oscura - Rocca di Papa (funicolare).
1908 La rete SRTO gestisce 19 linee di tram elettrici e 4 linee a trazione animale per un totale di 79 chilometri.
1908-1910 Entra in funzione lo scalo merci di San Lorenzo.

La storia comincia alla fine del XIX secolo, quando la gestione di una ferrovia urbana e suburbana appariva un affare lucroso al punto da indurre una società francese, la Compagnia Thomson-Houston, a promuovere la Stefer (Società Tramvie e Ferrovie Elettriche di Roma) ottenendo la concessione del collegamento della rete tramviaria dei Castelli Romani a Roma.
Il 9 novembre 1903 fu terminato il tratto tra Porta San Giovanni e via delle Cave, e l'anno successivo apre la sede-deposito dell'Alberone.
Il primo tratto che da Roma portava a Frascati viene inaugurato il 19 gennaio 1906, e a poco a poco la linea viene portata a Grottaferrata, a Marino, Albano e infine a Genzano.
Il 4 marzo 1912 veniva invece aperta la linea che dal bivio di via delle Cave portava a Velletri, adiacente alla via Appia e passando per Capannelle.
Il 21 gennaio 1928 il Governatore di Roma acquista la proprietà della ferrovia, e il Comune di Roma resterà l'unico proprietario fino al 1976.
Nel 1937 viene costruito il capolinea di Cinecittà.
Negli anni '50 comincia il declino del tram Stefer:
 nel 1954 chiudono le tratte dei Castelli,
 nel 1962 chiude la tratta da Cinecittà a Grottaferrata,
 nel 1965 chiude la tratta Capannelle-Genzano.
Nel 1976 la Stefer viene soppressa e sostituita dall'azienda consortile Cotral, e nel 1978 viene abolito il tratto Termini-Capannelle.
L'ultimo tratto a chiudere è quello Termini-Cinecittà, nel febbraio 1980, nello stesso mese dell'apertura della linea A della metropolitana. Il deposito della Stefer ha ospitato fino a qualche anno fa il materiale rotabile, tre motrici e un carro merci.ICP (1903-1930) e realizzazione case al quartiere Appio
Il 22 maggio 1903 il Comune di Roma approva uno schema di Statuto per l'Istituto Case Popolari che viene riconosciuto ente morale il 14 aprile 1904.
Il periodo che va dal 1907 al 1910, che coincide con l'amministrazione Nathan, rappresenta l'inizio dell'attività dello ICP che si concentra nelle aree del Flaminio, Trionfale, Ostiense, San Saba (villini), e via Celimontana.
Tutti gli interventi prevedono, ad esclusione di San Saba, la costruzione di intensivi con tipologia a blocco. L'anno successivo viene sciolto il Consiglio di Amministrazione dell'Ente e nel 1912 il nuovo Consiglio, composto da soli 5 membri, provvede alla revisione dello Statuto. Il rilancio dell'attività coincide con il conferimento a Pirani e Magni dell'incarico di completamento dell'intervento a San Saba (Pirani) e della progettazione di 10 lotti (Magni) a Testaccio.
Durante la guerra l'attività dell'Istituto subisce un momento di stasi, ma nel 1919 le indicazioni del T.U. che costituiscono una specie di piano straordinario da attuarsi entro il 1924, consentono un nuovo impulso per l'edilizia popolare ed economica.


Cooperativa tranvieri (San Giovanni)
 n. 730 alloggi popolari
La Cooperativa Tranvieri affida allo ICP la costruzione di 730 alloggi a San Giovanni, primo esempio di costruzione in "conto terzi".


Appio I, II, III
 n. 176 alloggi popolari
 n. 218 alloggi economici


Appio I (1926) C. Palmerini

Piazza Tuscolo-via Soana-via Astura

Su una delle piazze radiali del quartiere, in piazza Tuscolo, si affaccia questo isolato che doveva essere l'ultimo intervento intensivo previsto dal piano del 1909 prima dell'area destinata a costruzioni di minor densità edilizia che doveva estendersi tra le mura e la via Appia antica.
La costruzione a corte chiusa presenta tre ingressi sottolineati da archi e sormontati da bassi elementi di raccordo. Le scale sono posizionate negli angoli e lungo i lati degli elementi in linea e servono questi alloggi di edilizia economica costituiti da almeno tre vani più i servizi di notevole dimensione.
I prospetti molto articolati per la presenza di alcuni corpi aggettanti sono caratterizzati dalle altezze sfalsate e dalle coperture a tegole. La copertura è a tegole e le diverse altezze movimentano al massimo l'immagine del prospetto. Il carattere non di edilizia popolare si può rileggere anche nella presenza di numerosi balconcini, terrazze e verande.
Si tratta di uno dei non rari esempi di linguaggio medievaleggiante utilizzato nelle realizzazioni dell'ICP. Il confronto più evidente è quello con le realizzazioni di Sabbatini a Piazza degli Eroi (Trionfale II) e di Marconi alla Garbatella (Lotto VIII).
Numero alloggi per piano: 3 ogni gruppo scale o 2 negli elementi in linea.
Dimensione degli alloggi: 3 stanze con servizi bagno e 5/6 stanze negli elementi in linea.
Prospetti su via Soana e via Astura, planimetria e piante tipo.
In "La casa popolare a Roma".


Appio II (1924) C. Palmerini
Fabbricato su via La Spezia


È un intervento a carattere intensivo costituito da tre edifici allineati su Via La Spezia che contengono 176 alloggi di dimensioni modeste.
I due edifici laterali sono costruiti su di uno schema a C che consente all'interno la destinazione dell'area libera a campo da gioco, quello centrale a doppia T è leggermente arretrato rispetto al filo stradale e l'area libera interna risulta di dimensioni più ridotte.
I cortili posteriori servono anche come accesso alle scale, quattro per gli edifici a C, tre per quello a doppia T.
Nei fabbricati laterali le scale servono tre alloggi, quello centrale costituito di una sola stanza e servizi, i due laterali di due stanze, mentre nell'edificio a doppia T le scale laterali servono tre appartamenti e quella centrale solo due.
Gli appartamenti sono qui di dimensioni maggiori, il numero delle stanze varia da tre a cinque. Nessun alloggio prevedeva la dotazione di bagni e le latrine sono situati in ambienti angusti dotati di finestrelle allungate visibili anche in facciata.
I prospetti, accuratamente studiati, presentano un trattamento delle superfici variato per l'uso di materiali diversi (mattoni e intonaco) e per la presenza delle finestre dell'ultimo piano disegnate in modo diverso e contornate da inserti di mattoni che ricordano la fascia inferiore dei primi due piani.
In "La casa popolare a Roma".


Appio III (1927) Martini/Vicario
136 alloggi


L'intervento di edilizia economica insiste su un lotto triangolare che si affaccia su via Ardea, via Faleria e via Magna Grecia. L'area è stata suddivisa in modo da permettere la sistemazione a giardino di una parte (collegamento via Magna Grecia/via Faleria) e di costruire nei due spazi di risulta due edifici a corte, uno di forma triangolare, l'altro trapezoidale.
La corte triangolare, progettata dall'architetto Martini, è collegata a via Faleria attraverso l'ingresso principale sormontato da un corpo basso che ospita la casa del custode e una sede dell'ICP. Le scale, leggibili in facciata perché sormontate da torrette, sono disposte negli angoli e servono da due a quattro appartamenti di diverse dimensioni.
Il numero delle stanze varia da tre a quattro ma tutti gli alloggi sono forniti di servizi completi. Il trattamento dei prospetti è assai sobrio e solo negli angoli si vedono inserti di bugnato e nell'ultimo piano decorazioni geometriche in stucchi.
Più ampia è la corte dell'edificio trapezoidale che contiene campi da gioco e un grande spazio verde. L'architetto Vicario progetta qui facciate ricche di elementi decorativi quali timpani, architravi e riquadrature delle finestre e spigoli sottolineate dall'uso del bugnato. Gli alloggi sono in questo edificio di tagli molto diversi e vanno da quelli minimi di due stanze ad altri più confortevoli di cinque o sei stanze.


Villa Fiorelli

 n. 136 alloggi semieconomici
 n. 33 alloggi economiciVilla Fiorelli (1927) De Casa/Sabbatini
169 alloggi, 12 edifici
L'intervento di carattere semi-economico (affitto e in seguito vendita degli alloggi agli occupanti) si estende su due lotti triangolari delimitati da via Portoferraio, via Crema, piazza villa Fiorelli e piazza Lugo, una delle piazze radiali previste per il quartiere Appio nel P.R. del 1909. La forma triangolare è sottolineata anche dalle scelte architettoniche che prevedono un andamento a "gradoni" degradante verso lo spazio urbano di piazza Lugo.
Le scale possono servire da due a quattro alloggi di diverse dimensioni dai più piccoli di sole due stanze ai più grandi di quattro vani più servizi completi.
Verso il verde della villa vengono edificati edifici di maggior ampiezza e dimensione. Il disegno triangolare della testate era già stato utilizzato nell'intervento ICP della Garbatella. L'intervento ricorda per certi dettagli e particolari le realizzazioni che Sabbatini aveva già proposto nelle realizzazioni del Trionfale III.
Numero degli alloggi per piano: 2 negli edifici più piccoli, 4 negli edifici più grandi.
Dimensione degli alloggi: 2/4 vani.
In "La casa popolare a Roma", Cristina Cocchioni/Mario De Grassi, Edizioni Kappa, Roma, Tipografia Chiovini, 1984.


Pontelungo

 n. 261 alloggi popolari
 n. 66 alloggi semieconomiciPontelungo (1928) C. PalmeriniL'intervento che si estende tra la via Appia e via Eurialo venne realizzato su un'area che segnava il limite del piano del 1909. Il primo fabbricato a corte sul Lotto I è del 1928 e venne costruito dall'ICP per la cooperativa dei tranvieri extraurbani, cioè in conto terzi,
Successivamente nel 1929 venne realizzata la corte chiusa del Lotto II, iniziata la costruzione del Lotto III con due fabbricati di alloggi semieconomici e fu completato il Lotto II con un elemento in linea e tre palazzine a T orientate con l'ingresso sulla strada.
Il terzo lotto fu completato solo dopo la guerra su progetto di Guidi.
I fabbricati mantengono verso l'esterno un insieme unitario valorizzando il perimetro dell'isolato. Il lotto I presenta corpi di fabbrica compatti nell'edificio che si affaccia sulla via Appia Nuova, che si articolano nei prospetti secondari.
Il fabbricato dei tranvieri, a corte aperta, è alto in media 5 piani. Ha 5 corpi di fabbrica che contengono complessivamente 13 appartamenti per piano; ogni corpo in linea ha due alloggi, e tre quelli d'angolo.
Gli alloggi sono in prevalenza di due stanze e servizi, con un solo esempio per piano di abitazione di quattro stanze. Diversamente dalle corti già viste negli interventi ICP, lo spazio interno è piuttosto ristretto, probabilmente il minimo consentito dal Regolamento Edilizio.
Numero degli alloggi: 352 (91 costruiti nel 1953)
In "La casa popolare a Roma".


Quartiere Appio
Villini e palazzine di Mario Marchi (1925-1940)


I numerosi adattamenti della palazzina e del villino alle esigenze del mercato si rileggono con chiarezza negli edifici di Marchi di questo periodo.
Gli esempi più ricchi servivano all'architetto per sperimentare soluzioni ottimali nell'uso dei materiali, nell'impostazione tipologica e volumetrica da riversare poi con i necessari adattamenti negli edifici più economici.
Il travaso e la modifica delle soluzioni da un incarico ad un altro era per Marchi del tutto naturale; appartiene a quel terreno sperimentale tipico di un mestiere che trova modo di esprimersi in numerose varianti formali, dimensionali, economiche. Ne sono un esempio, tra gli altri la palazzina Isabelli a via R. Fauro (Quartiere Parioli) e il gruppo delle tre palazzine Maceratesi a piazza Fiorelli (1926-38), che rientrano appunto tra le costruzioni più economiche.
Nel gruppo delle palazzine Maceratesi, in particolare, è riassunto il percorso formale di Marchi: dalla prima a via Castrovillari del 1928, tutta caratterizzata dal barocchetto, a quella su piazza Fiorelli del 1932-35 con la soluzione espressionista dell'angolo con i balconi tondi innestati sul volume arretrato ad angoli smussati, a quella su via Crotone del 1936-38 scarna e semplificata.In Metamorfosi, Quaderni di Architettura n. 8, 1987. Roma, Tipolitografica Aurelia.


LE SCUOLE


"Il Guidoni" (1931-1939)


Già dal 1926 erano state avviate trattative. da parte del Governatorato per l'acquisto dell'area dove sarebbe sorto il "Guidoni" per una destinazione genericamente scolastica, che nel 1930 veniva definita superiore in considerazione dei buoni standard offerti al quartiere dalle scuole elementari già esistenti.
L'area in questione era parte di un più grande lotto che ospitava le attività industriali della ditta "F.O.C.I.S." ("Fonderie Officine Casseforti Impianti di Sicurezza"), che la progressiva urbanizzazione aveva imposto, come già accennato, di trasferire in zona più periferica. L'acquisto dell'area fu deliberata dal Governatorato il 20 maggio 1927 e formalizzata con atto notarile il 13 gennaio 1931, al prezzo di £ 32,50 al mq. L'importo non fu però mai corrisposto ai proprietari a causa della lentezza della burocrazia e del successivo intervento italiano nella seconda guerra mondiale.
La restante parte dell'area fu lottizzata dalla "F.O.C.I.S." per la fabbricazione di intensivi.
Della primitiva destinazione industriale - concentrata lungo l'asse dell' Appia - rimane oggi solo la ciminiera compresa nell'isolato delimitato dalle vie Noto-Gela-Saluzzo-Tuscolana.
Il terreno prospiciente la Tuscolana era, invece, pressoché libero ed includeva la "Osteria della Stella", un casale sette-ottocentesco che prendeva il nome dall'insegna postavi da un suo vecchio proprietario.
Lungo la Tuscolana ancora a metà degli anni ‘30 scorreva a cielo aperto la Marrana dell' Acqua Mariana, uno dei rami dell'Almone, che fino al 1870 giungeva fino in prossimità della Porta San Giovanni fiancheggiata da un sistema di mulini.
Pertanto, quella piccola parte di città presentava due aspetti del tutto giustapposti: una concentrazione industriale, benché limitata, attestata sull' Appia ed un lacerto dell'Agro lungo la via Tuscolana. Entrambi erano destinati a sparire per dare luogo ad un town design piuttosto ambizioso, di cui il nuovo edificio scolastico fu parte integrante ed organica.
In data imprecisata, ma comunque prima della progettazione, si decise di intitolare il nuovo complesso scolastico alla memoria di un celebre eroe del regime, "pioniere dell'aria".
L'aviatore Alessandro Guidoni, (1880-1928) ingegnere e generale del genio aeronautico, diplomatico accreditato presso la Francia, prima, e gli U.S.A., poi, fu progetti sta di aeroplani e dirigibili e costruttore di idrovolanti. Morì sperimentando un paracadute nel cielo del paese di Montecelio, presso il quale sarebbe, in seguito, sorta una città a lui intitolata: Guidonia.
Alla sua memoria fu assegnata la prima medaglia d'oro al valore aeronautico.
Figura carismatica di livello internazionale dalla poliedrica valenza - scientifico-tecnologica, politica, militare - Alessandro Guidoni ben si prestava a divenire un nobile exemplum per gli studenti nel nuovo ordine istituito dal regime fascista.
La titolazione della scuola, a pochi anni dalla sua morte, testimonia palesemente l'attenzione che il Fascismo dedicò al tema della formazione dei giovani, anche in ambiti prettamente simbolici che sembrerebbero, in prima istanza, poco significanti e che, invece, rivelano una trama di simboli ideologici, organicamente interconnessi.
Il progetto architettonico di massima fu elaborato direttamente dall'Ufficio Tecnico del Governatorato, probabilmente per problemi di limitatezza del budget finanziario, che impediva l'affidamento del progetto a professionisti terzi,come era avvenuto per gli altri edifici scolastici realizzati negli anni precedenti.
La documentazione d'archivio attesta solo i nominativi del personale difettivo che- approvò il progetto medesimo, ma non permette di far luce sul progettista.
I lavori edilizi furono divisi in due lotti:
I) dal 21 settembre 1936 al 12 ottobre 1938 fu realizzata la gran parte dell'edificio, esclusa l'ala su via Gela (costo: £ 4.440.000);
II) dal 24 novembre 1938 al 27 ottobre 1939 fu conclusa l'ala su via Gela
(costo: £ 1.600.00).
L'edificio fu dotato di un piano seminterrato, di un piano rialzato con segreteria e ufficio di presidenza posti nell'atrio e di due piani-tipo, l'ultimo dei quali avrebbe dovuto essere arricchito da terrazze-giardino nelle due braccia prospicienti la via Tuscolana, che originariamente furono costruite con un piano in meno.
Il volume delle palestre, su due piani, fu ideato come un blocco autonomo posto a chiusura del cortile interno rispetto all' area retrostante.
Le attività scolastiche cominciarono dall'A.S.1938-39.
I locali furono dati in uso alla "Regia Scuola di Magistero per la Donna Principessa di Piemonte" ed al "Regio Ginnasio Liceo Augusto", la cui istituzione fu gemellare a quelle del "Virgilio" e del "Giulio Cesare" nell'ambito del comune progetto delle celebrazioni programmate dal regime fascista per il "Bimillenario Augusteo" nel 1937, anno successivo a quello della proclamazione dell'Impero.
Fra i tre nuovi Licei, il "G. Cesare" fu l'unico ad essere dotato di un progetto architettonico tipologicamente avanzato e formalmente qualificato secondo le più recenti tendenze, grazie all'opera dell' architetto Cesare Valle.
L'"Augusto" occupò quattordici aule del piano rialzato e del primo piano, più quattro del seminterrato. Alla scuola magistrale furono destinate, in principio, undici aule del secondo e del terzo piano. Infine il 4 aprile 1939 si stabiliva l'apertura anche di una Biblioteca Popolare di quartiere nei locali seminterrati.
L'area a giardino retro stante la scuola fu utilizzata fino agli anni '60 come campo di allenamento per le lezioni di Educazione Fisica dei due istituti.
Nel 1956 (lavori dal 15 novembre 1955 al 20 giugno 1956) le esigenze di espansione della "Principessa di Piemonte" imposero la sopraelevazione dei due bracci di testata sulla via Tuscolana. Nei nuovi locali furono allocati alcuni laboratori ed aule speciali: sala da pranzo, cucina fredda, stireria.
Alla fine degli anni '50 l'espansione del Liceo "Augusto" comportò la costruzione di un nuovo complesso edilizio, impostato su tre corpi, sulla rimanente area acquistata dalla "F.O.C.I.S.". Fino all'A.S.1959-60, con il quale cominciò l'utilizzazione della costruzione sulla via Appia Nuova, le due testate su via Tuscolana ospitavano scritte gemelle a quella soprastante il corpo centrale e attestante l' intitolazione dell' intero edificio; sul braccio di sinistra: "Regio Ginnasio Liceo Augusto", su quello di destra: "R. Magistero per la donna Principessa di Piemonte".
Nel corso degli anni '70 e '80 la costruzione è stata interessata solo da adeguamenti alle nuove normative edilizie: ascensore, centralina termica esterna nel cortile e rampa per disabili all'ingresso.
La parziale e incongrua sostituzione della recinzione originale in travertino non ha alterato di molto l'immagine complessiva dell'edificio che ha mantenuto inalterati i suoi caratteri di alterità rispetto all'edilizia circostante.

Caratteristiche costruttive, tipologiche e formali del "Guidoni"
I documenti d'archivio conservati presso l'Ufficio Patrimonio del Comune di Roma consentono di ricostruire il pur breve iter progettuale dell'edificio. Infatti rispetto al disegno originario la costruzione fu condotta con ulteriori criteri di risparmio.
Non vennero modificate le planimetrie e le cubature ma alcuni significativi aspetti delle finiture esterne, che avrebbero attenuato la rigida stereometria dell'insieme. Nella fase esecutiva furono eliminate le partizioni quadrangolari della stilatura a giunti della superficie intonacata esterna, determinata dalla griglia del disegno delle finestre, la cui articolazione avrebbe attenuato la forte monotonia dell'insieme.
Non è definibile la colorazione originaria, che sicuramente doveva essere diversa dall' attuale - o comunque di tonalità più chiara - in quanto questa è tipica della cultura da "Genio Civile" invalsa nella manutenzione degli edifici pubblici dagli anni ' 50 in poi.
Le due testate su via Tuscolana, più basse di un piano, avrebbero inoltre dovuto raggiungere il livello delle ali laterali con una gabbia in cemento armato di pilastri e travi di gusto spiccatamente razionalista, alleggerendo assai la massa dell' insieme. Le due conseguenti terrazze, come già detto, dovevano ospitare due giardini pensili.
Dal verbale di consegna dell'edificio si evincono alcuni dati costruttivi, di un certo interesse storico. Per ragioni di autarchia la costruzione fu realizzata in muratura portante tradizionale "alla romana", ossia in blocchetti di tufo con ricorsi in laterizio, ma con l'inserzione di cordoli di cemento per garantire un miglior comportamento statico.
Le uniche parti realizzate integralmente in gabbia di cemento armato furono i corpi scala.
Ciò consentì un notevole risparmio di acciaio, allora particolarmente costoso sul mercato a causa delle sanzioni economiche stabilite dalla Società delle Nazioni contro il governo italiano a causa dell'aggressione dell'Etiopia nel 1936.
Tale soluzione tecnologica, necessariamente assai arretrata dal punto di vista tecnologico, spiega il notevole spessore delle murature - che sono tutte portanti - anche all'ultimo piano. Rispetto alle soluzioni di avanguardia sperimentate nei primi anni '30 dagli architetti razionalisti nelle grandi città industriali dell'Italia del Nord o in un'opera emblematica del volto moderni sta del regime,quale la Stazione FS di S.Maria Novella a Firenze - opera di Giovanni Michelucci - il "Guidoni" testimonia una notevole involuzione tecnologica e culturale e la conseguente necessità di rapportare le ambizioni celebrative e propagandistiche dell' architettura con un nuovo quadro non solo economico, ma anche politico, determinato dalla progressiva alleanza con il Terzo Reich.
I tre anni in cui fu aperto il cantiere della scuola corrispondono, infatti, al processo ideativo e progettuale del nuovo quartiere dell'Esposizione Universale del 1942, nei cui edifici l'esaltazione dei materiali e delle tecniche della tradizione è consustanziale all'opera di propaganda nazionalista.
Materiali pregiati furono utilizzati solo per l'ingresso (scale in massello di travertino e rivestimento dei fomici di ingresso in lastre dello stesso materiale), per l'atrio (pavimento in marmi colorati ad intarsio) e le scale (corrimano in noce lucidato).
Lo stesso atrio risultava arricchito, secondo il documento citato, da bassorilievi e da due carte geografiche dipinte.
Anche la semplicità delle soluzioni tipologiche e spaziali fu determinata dalle stesse esigenze di autarchia Infatti, diversamente, da altre costruzioni scolastiche precedenti la cura fu concentrata solamente nel sistema ingresso-atrio e in quello di smistamenti delle due scale principali.
Chiaramente condizionato da un modello di organizzazione scolastico fortemente accentrato e concentrazionario, l'edifico è impostato secondo una tipologia ad "H", aperta sulla via Tuscolana e chiusa,invece, sul retro dal semplice volume parallelepipedo della palestra.
Il braccio centrale doveva ospitare nel progetto originario la presidenza e la segreteria al piano terreno, permettendo così un efficace sistema di controllo delle entrate e delle uscite.
Tale tipologia è tipica di tutta la corrente produzione edilizia europea e nordamericana coeva impostata secondo criteri di rigida funzionalità rispetto alle esigenze di town-design delle esperienze precedenti di edilizia scolastica nel quartiere.
L'esperienza dell'Alphabet City è soprattutto tipica dell'ambiente urbano statunitense, mentre è molto più raramente applicata nell' area romana; pertanto il "Guidoni" offre una testimonianza di soluzione di disegno urbanistico abbastanza inusitato e, perciò, storicamente. rilevante. L'idea di città risultante è propria delle grandi metropoli europee e nordamericane - ad esempio Berlino, New York, Chicago, con gli opportuni adeguamenti di scala - nella realizzazione di un tessuto. edilizio molto denso e compatto, costituito da isolati intensivi e connotato da un linguaggio architettonico sobrio e severo.
Nell'insieme l'edificio è impostato secondo criteri di rigida organizzazione geometrica e di simmetria bilaterale, che è esaltata all'esterno, con una funzione comunicativa assai eloquente, dalla ripetizione del modulo base dell'infisso finestra. All'interno, però, i corridoi che disimpegnano le braccia infrangono tale ordine disponendosi secondo il criterio del migliore orientamento all'esposizione solare delle aule verso Sud-Est.
Ciò consente nelle ore mattutine un buon riscaldamento ed un'ottimale illuminazione naturale d'inverno, al pari di un minor grado di soleggiamento in estate.
La soluzione tipologica permette di perseguire una monumentalità facilmente percepibile nella sua simbologia ideologica anche dalle masse, stante l'asse di simmetria bilaterale costituito dal percorso ingresso-palestra, sottolineato dal propileo di ingresso in travertino, nonché dallo stesso trattamento dei volumi e dell' apertura delle finestre.
La legge cosiddetta del "2%", relativa all'obbligo di stanziare detta percentuale del costo complessivo in opere d'arte di abbellimento di tutte le costruzioni realizzate da enti pubblici, fu regolarmente applicata anche per il "Guidoni":l'atrio fu ornato da bassorilievi e da due carte geografiche dipinte, tutti perduti dopo la guerra e non altrimenti documentati se non dagli atti di archivio. È probabile che le due carte predette rappresentassero l'Impero romano e quello mussoliniano, ossia l'Africa Orientale Italiana.
Del decoro "fascista" dell'edificio originario rimangono comunque alcune significative testimonianze: la grande scritta in lettere scatolari di travertino con la titolazione dell' istituto ad un eroe dell' aviazione, le due teme di fasci littori nel pavimento dell'atrio, la piattaforma ed il pennone per l'alza-bandiera nel cortile.
Ma, in realtà, tutto l'edificio nella sua ossessiva e monotona griglia modulare e nella sua volumetria a blocco concorre nel suscitare un'immediata associazione analogica tra il forte impatto visivo-architettonico ed un'idea di società totalitaria e gerarchizzata socialmente e culturalmente. Nonostante alcuni aspetti negativi l'edificio scolastico contraddistingue il suo ambito urbano con un segno fortemente riconoscibile rispetto al babelico caos di linguaggi che lo fronteggia.
Il confronto tra le volumetrie dell'edificio di progetto e quello risultante dalle successive modifiche (fino al 1956) rivela un appesantimento delle masse architettoniche, in particolare sulla testata dell'ingresso a causa della mancata realizzazione dei tetti-giardino e della successiva sopraelevazione.
Da "I quaderni del liceo Bertrand Russell":"Il complesso scolastico Alessandro Guidoni" di Marco Spesso


Liceo Augusto (1937)

Il liceo Augusto, a Roma. L'ingresso su via Appia Nuova.Il liceo ginnasio statale "Augusto" è uno dei licei di Roma, situato nel quartiere Appio Latino, in via Gela 14. L'ingresso principale, non utilizzato, affaccia su via Appia Nuova.
L'attuale sede del liceo, nello stile caratteristico del razionalismo italiano, venne inaugurata nel 1937, parallelamente alla creazione degli altri due licei classici della città, il Giulio Cesare e il Virgilio.
Oggi il liceo è frequentato da più di mille studenti, e sono 80 i docenti, cui si sommano numerosi altri collaboratori ATA e personale di segreteria. Nel 2009 in seguito all'occupazione dell'istituto stesso effettuata dal 3 al 7 novembre 2008, la presidenza attua nei confronti degli studenti, per la prima volta in Italia, il sei ed il sette in condotta, aprendo così un dibattito sull'opportunità o meno di tale iniziativa, che la maggior parte degli altri istituti romani e nazionali decide invece di non mettere in atto.
Allievi celebri [modifica]
Alberto Asor Rosa, critico e scrittore italiano
Luciano Gottardo, generale italiano
Gigi Proietti, attore italiano
Achille Serra, funzionario e politico italiano
Mario Tozzi, geologo, divulgatore scientifico e giornalista italiano
Clelio Darida, politico italiano, già ministro e sindaco di Roma
Federico Fazzuoli, giornalista e conduttore televisivo italiano
(Da http://it.wikipedia.org/wiki/Liceo_ginnasio_statale_Augusto)



Il palazzo delle poste in via Taranto (1933)

Il lotto destinato alla costruzione è di forma irregolare e di dimensioni ridotte, perciò la planimetria ricalca esattamente quella del lotto, per occuparne l'intera area,ma questo non impedì a Giuseppe Samonà di progettare un'architettura che rispettasse tutti gli schemi funzionali, previsti per assolvere alle diverse necessità dell'edificio.
Il palazzo delle Poste si allinea sui fronti delle tre vie divergenti (Taranto, La Spezia e Pozzuoli) e risulta composto da più elementi:
- corpo angolare - con il salone per il pubblico al pianterreno e gli uffici al primo piano - che si snoda lungo via Taranto e via Pozzuoli in due ali simmetriche, convergenti nella facciata d'angolo;
- il blocco a forma di parallelepipedo su via La Spezia, che comprende il «Servizio pacchi» e, superiormente, il salone a doppia altezza degli apparati telegrafici;
- il padiglione di un solo piano all'interno del lotto per lo smistamento della posta e per i portalettere.
L'efficacia di questa articolazione per blocchi, nata per rispondere alla forma casuale e difficile del lotto, trova conferma nelle precise corrispondenze tra l'organizzazione spaziale semplice e il funzionamento complesso dell'ufficio postale.
L'autonomia dei principali volumi consente l'indipendenza dei diversi ingressi:
 il pubblico accede ai servizi postali e telegrafici da via Taranto, al «Servizio pacchi» da via La Spezia;
 il personale e le merci accedono attraverso la via privata ricavata all'interno del lotto.
La disposizione a settore circolare di una parte dell'edificio, che nasce dalla forma d'angolo determinata dall'incontro tra via Taranto e via Pozzuoli, permette all'architetto di sviluppare lo spazio, destinato al pubblico, in due lunghe ali, che consentono agli utenti così numerosi nel quartiere Appio, di poter facilmente distribuirsi ai diversi sportelli.
La zona destinata agli impiegati è giustamente collocata in uno spazio baricentrico fra quello destinato al pubblico (più periferico) e quello (più interno) dei «Servizi Corrispondenze» (piano terreno) e degli uffici (piano superiore).
La realizzazione dell'edificio ebbe inizio il 10 ottobre 1933, ma procedette con lentezza a causa delle difficoltà incontrate nella posa delle fondamenta.
Nel luglio 1934 la costruzione della struttura portante delle pareti era ultimata.
I prospetti evidenziano elementi classici nelle due, facciate su via Taranto e su via Pozzuoli, che conferiscono all'edificio il carattere civico del palazzo, mentre il fronte su via La Spezia esprime il carattere industriale di questo lato della costruzione.
L'impianto compositivo delle due facciate si basa sulla distinzione tra galleria per il pubblico, trattata in maniera unitaria, e uffici ai piani superiori, concepiti quali elementi seriali ripetuti e ritmati dalle finestre.«Lo scalone - scrive G.Samonà - presenta nel prospetto la sua lunga finestratura verticale, che si oppone al ritmo breve di tutti gli elementi del fronte».
La facciata su via La Spezia è impaginata sull'asse centrale del portone di ingresso, affiancato dalle finestre aritmicamente sovrapposte, che suggeriscono con la loro verticalità, il carattere di «officina» pensato sin dall'inizio dal progettista, per dare una soluzione differenziata a questo prospetto.
Le finestre sovrastanti, coassiali con quelle del pian terreno, alte e strette, accentuano il verticalismo della composizione della facciata su via La Spezia.
I lavori relativi al rivestimento esterno vennero iniziati nel gennaio del 1935 e conclusi in agosto. Furono, quindi, assegnati gli appalti per reperire il travertino che doveva ricoprire le facciate e i diversi marmi destinati ai pilastri interni ed esterni del salone, al basamento e alla scala interna.
Nelle parti sporgenti il rivestimento è in lastre di travertino di Tivoli, nelle parti a filo - abbandonata la soluzione prevista nel progetto di stendere un intonaco «di Terranova» - viene utilizzato un rivestimento in lastre di klinker.
Nel prospetto su via Taranto la parete risulta rivestita da otto fasce di lastre rettangolari nella parte superiore - destinata ad uffici - e chiusa, a livello inferiore,dalla vetrata arretrata, intervallata dai piedritti resi più snelli dal rivestimento scuro, per il quale G.Samonà aveva previsto l'uso di marmo «Verde Oliva» di Val d'Adige, ma a causa della difficoltà di reperimento venne alla fine utilizzato lo Gneiss di Samolaco.
Nella facciata su via La Spezia il rivestimento in travertino si riduce alle incorniciature del basamento, del cornicione, degli stipiti e degli architravi del portale di ingresso, mentre tutta la parete è risolta con una muratura mantenuta a filo con lo scheletro portante.
Non sono comunque le facciate il prodotto più originale della progettazione di G.Samonà, bensì il salone pubblico: uno dei più eleganti del periodo, oggi purtroppo completamente modificato.
Il pavimento e la parete di fondo (opposta alla vetrata) sono rivestiti di marmo di Carrara: le lastre disposte a terra in ampi rettangoli, sulla parete formano una trama geometrica, intersecata dal libero gioco delle venature.
Il soffitto è tinteggiato con vernice «Arsonia» di colore verde-mare. Nello spazio interno, che tali superfici delimitano, sono immersi «come oggetti isolati» gli essenziali elementi strutturali e funzionali:
- i pilastri rivestiti di marmo nero Col di Lana, che separano la gelleria del pubblico dalla zona degli impiegati;
- l'ininterrotto bancone della sportelleria, con il piano orizzontale rivestito di linoleum nero rigato e con il piano verticale rivestito di linoleum verde chiaro;
- la parete curva, a schermare la sala di scrittura, che Samonà avrebbe voluto rivestita in marmo nero, oppure dal costosissimo vetro nero «Fontanit» e che fu invece finita con speciale intonaco e verniciatura alla nitrocellulosa;
- la serie delle grandi lampade a sfera sospese.
Agli estremi dei due bracci della galleria si attestano le due scale principali. I pianerottoli sono rivestiti con lastre e masselli di marmo di Carrara. Le pareti sono tinteggiate di giallo limone. Il parapetto è realizzato con tubi verticali di acciaio.




Cinema Airone (1952-1956)
Via Lidia n. 44 Roma
Architetto Adalberto Libera con Leo Calini ed Eugenio Montuori


La Cassa Nazionale per l'Assistenza agli Impiegati Agricoli incarica gli architetti Calini e Montuori di realizzare alcuni fabbricati in un lotto del quartiere Appio-Latino e di un cinema lungo la via Lidia.
Lo studio del progetto è affidato ad Adalberto Libera che già in diverse occasioni prima della guerra con il progetto per l'Auditorium di Roma, per il Palazzo del Littorio e per il Palazzo dei Congressi aveva affrontato il tema di spazi destinati a spettacoli o a incontri pubblici.
Lo spazio disponibile, che è uno spazio di risulta rispetto a quello destinato alle abitazioni, e la precisa volontà del progettista di mettere comunque in evidenza la forma volumetrica della sala suggeriscono a Libera di porre la base dell'edificio a sette metri sotto il livello della strada, in modo da limitarne a solo sei metri l'estradosso della costruzione.
Il progetto propone una forma ovoidale per la sala, destinata ad 800 spettatori e una volumetria che, in parte, ricorda l'interno di uno strumento musicale. La soluzione adottata, caratterizzata da una soluzione dell'involucro spaziale basso nella zona di proiezione con crescente dilatazione fino al boccascena, risponde alle esigenze dello spettatore.
La struttura si compone di cinque archi metallici ancorati a dieci cerniere poste su piloni in cemento armato, la copertura esterna è rivestita in alluminio e lo spazio intermedio è destinato a contenere l'impianto di condizionamento, mentre il rivestimento in vetroflex bianco e verde sottolineato dall'effetto prodotto dai corpi illuminanti e disposto lungo le pareti che delimitano lo schermo, suggeriscono anche visivamente la direzione degli sguardi dello spettatore. Case popolari al quartiere Tuscolano (1950-1960)
via Tuscolana, via del Quadraro, via Valerio Publicola, via Selinunte, via Cartagine, viale Spartaco



Tuscolano I (1950-51)

Progetto architettonico Pietro Barucci, Massimo Castellazzi, Claudio Dall'Olio, Fabio Dinelli, Orseolo Fasolo, Giuseppe Fioroni, Alberto Gatti, Amos Mainardi, Franco Minissi, Roberto Nicolini, Giuseppe Nicolosi, Luigi Orestano, Mario Paniconi, Giulio Pediconi, Renato Venturi
Tuscolano II (1950-60)
Progetto urbanistico Mario De Renzi, Saverio Muratori
Progetto architettonico Mario De Renzi, Saverio Muratori, Lucio Cambellotti, Giuseppe Perugini, Dante Tassotti, Luigi Vagnetti
Tuscolano III (1950-54)
Progetto urbanistico e architettonico Adalberto Libera
Enti appaltanti Ministeri Agricoltura, Foreste e Difesa, Istituto Nazionale Case Impiegati dello Stato (INCIS)
Superficie 35,5 ha
Abitanti 18000
Alloggi 3150 (vani 17000)


Riferimenti bibliografici

Testi: Libera, 1952, tavole 67-68 e 71; INU, 1953, pp. 156-174; Carbonara, 1954, pp. 554, 590-591; Insolera, (1959), pp. 184-185; Pica, 1959, p. 31; Beretta Anguissola, 1963, pp. 260-263; ANIAI, 1965, scheda L 1; Accasto, 1971, pp. 532-533; Zevi, 1971, p. 300; Conforto, 1977, pp. 300-301; De Guttry, 1978, p. 81; Quilici, 1981, pp. 73, 184-188; Ippolito, 1982, pp. 23-27; Rossi, 1984, pp. 178-181; Angeletti, 1984, pp. 88-91; Ciucci, 1985, p.490; Muntoni, 1987, pp. 119, 188; Muratore, 1987, pp. 43-55; Garofalo 1989, pp. 149-155 (I); Garofalo, 1989, pp. 104-120, 182-184 (II); Cataldi, 1991, pp. 46-47, 73, 76-78; Cuccia, 1991, pp. 182, 219, 221, 223; Polano, 1991, pp. 440-443; Neri, 1992, pp.167-170; Neri, 1995, pp. 18,23; Carlomagno, 1999, pp. 50-51; TCI, 1999, p. 797; Remiddi, 2000, schede M 131-132; Farabegoli, 2001, pp. 431-452 Periodici: «Urbanistica», 7, 1951, pp. 9-41; «L'Architecture d'aujourd'hui», 41, 1952, pp. 17-25; «Rassegna critica di architettura», 26/27, 1952, pp.43-60; «Civiltà delle macchine», 6, 1954, pp. 68-69; «Rassegna critica di architettura», 31/32, 1954, pp. 58-60; «L'architettura, cronache e storia», 1, 1955, pp. 39-42; «Casabella», 207, 1955, pp. 34-35; «Edilizia Popolare», 3, 1955, pp. 55-69; «Urbanistica», 17, 1955, pp. 103-110; «L'Espresso», 8, 1955, pp. 28-29; «Domus», 318, 1956, pp. 2-3; «Architettura Cantiere», 16, 1958, pp. 85-95; «Architettura Cantiere», 18, 1958, p. 169; «Urbanistica», 28/29, 1959, pp. 77-78; «L'Architettura cronache e storia», 130, 1966, pp.270-271; «L'Architetto Italiano», 2/3, 1971, p. 11; «Lotus», 9, 1975, pp. 62-75; «Storia Architettura», 1/2, 1984, pp. 14, 31-38, 45, 188-189; «Domus», 698, 1988; «Domus», 730, 1991


Itinerario

Il quartiere Tuscolano, realizzato in tre fasi tra il 1950-54, si sviluppa su un'area pianeggiante tra la via Tuscolana e l'area archeologica del Parco degli Acquedotti, nel settore orientale di Roma. La I fase, portata a termine senza un piano urbanistico riconoscibile ma inserita nelle maglie del Piano Regolatore Generale, coinvolge un nutrito gruppo di progettisti che, lavorando autonomamente, distribuiscono variamente gli edifici, per la maggior parte in linea, conformando insiemi che anticipano proposte di composizione urbana, sviluppate in altri quartieri successivi.
Più frequentate dalla critica architettonica, la II e la III fase appaiono, ognuna per proprio conto, maggiormente qualificate per l'originalità del disegno urbano che vede, nel primo, una strutturazione dell'area edificabile attraverso la realizzazione di due grandi segni architettonici su cui attestare gli altri edifici; nel secondo, l'attuazione di un insolito quanto caratterizzato complesso di alloggi con forti rimandi alla cultura mediterranea. Se per la I fase la trama edilizia appare oggi pienamente inserita nel tessuto consolidato, le successive due fasi perseguono, e ottengono, una voluta estraniazione dal contesto urbano circostante, che si mantiene tuttora a cinquant'anni della loro realizzazione. Nel progetto del Tuscolano II, De Renzi e Muratori, all'epoca maestri indiscussi della ricerca tipologica, sviluppano l'esperienza già maturata nel quartiere del Valco San Paolo, pervenendo a una soluzione più nuova sia per la libertà con cui gli edifici vengono disposti nel terreno, sia per la varietà dei tipi edilizi impiegati, legati da una logica compositiva unitaria in un organismo urbano vivacemente articolato.
Giungendo dalla via Tuscolana si impone, a presentare il complesso su largo Spartaco, l'edificio firmato dai due progettisti (a). Il blocco di alloggi in linea, a 7 livelli e a pianta a V, appare rivestito in cortina laterizia, nonché fortemente ritmato da snelli pilastri rastremati e da cornici marcapiano a leggero rilievo. Nelle specchiature della griglia che ne risulta viene ospitato e ripetuto infinite volte, il binomio finestra/balcone. Da notare il muro laterale, interamente cieco e anch'esso rivestito in cortina di mattoni, segnato da cornici marcapiano finemente lavorate con copertine inclinate a favorire lo scolo dell'acqua e, sul fronte retrostante, la sobria compostezza del gioco di balconi. Superato il sottopassaggio centrale dell'edificio, accesso principale al quartiere in asse con la via Sagunto, si scorge sulla destra un insieme di corpi edilizi in linea, ad andamento «vermiforme» a tre piani, progetto di Perugini e Cambellotti (b). Gli appartamenti, disposti a formare linee spezzate, s'intersecano tra loro e condividono le scale, servendosi di logge a pianta romboidale, incuneate tra il soggiorno e una delle due camere da letto, per introdurre le variazioni nella direzione del fabbricato e per animare i prospetti, segnati da file uniformi di finestre. L'aspetto degli edifici risulta oggi modificato dalla sostituzione delle persiane scorrevoli, poste in origine a schermare le logge, nonché dall'introduzione di recinzioni per delimitare gli spazi aperti di uso comunitario. Accompagna il complesso, sulla sinistra di via Sagunto, l'enorme incombenza del corpo edilizio progettato anch'esso da De Renzi e Muratori (c). Ancora più lungo dell'edificio d'ingresso, il fabbricato è costituito da una sequenza di unità abitative in linea a 5 livelli, sopraelevate dal piano delle cantine, che si snodano a modellare la spina dorsale del quartiere. Una sequenza di balconi molto aggettanti accentua i punti di sutura e di sfalsamento dei corpi edilizi. Analogamente al fabbricato su largo Spartaco, l'edificio si piega ad angolo ottuso al centro, dove si apre un sottopassaggio carrabile, dal quale è possibile raggiungere via Paestum, sulla quale si imposta un complesso di case in linea, anch'esse a 3 livelli. Quelle firmate da Vagnetti (d), più affabili per il loro aspetto che evoca elementi dell'architettura spontanea e un andamento più consono alla tipologia di case unifamiliari a schiera, mostrano una cadenza ritmica dettata dalla forma dei tetti, dai corpi scala in cortina di mattone e dalla presenza di balconi a U. Contribuisce a vivacizzarle la tinteggiatura diversa degli elementi architettonici dei prospetti, oggi portata a distinguere tra loro i singoli corpi edilizi, conferendo all'insieme un'immagine di domestica tranquillità. Intervallate alle case di Vagnetti, quelle progettate da Tassotti (e), meno convincenti nella loro estrema razionalizzazione dei volumi. A limitare il quartiere, stabilendo rapporti visivi a scala territoriale, si elevano, vigili e trionfali, le torri: sul lato orientale, quelle a 10 livelli di Mario De Renzi (f). In numero di 6, esse mostrano una pianta stellare a quattro bracci, con volumi trapezoidali che sporgono dal nucleo centrale, ospitando quattro appartamenti per piano. Completa il prospetto, lateralmente, il profilo sagomato delle mensole che sorreggono i balconi, in origine delimitati virtualmente da una struttura metallica schermabile. Sul fianco occidentale, impostate su via Cartagine, le ulteriori 5 torri, di cui la prima, quella centrale e l'ultima, a firma di De Renzi (g); le due restanti, progettate da Muratori (h). Molto simili tra loro, mostrano un compatto volume quadrato e si elevano su 9 livelli, contenendo due appartamenti per piano, disposti simmetricamente rispetto al nucleo di collegamenti verticali. Gli alloggi, costituiti da due camere da letto, salone e servizi, sporgono dal sobrio prospetto intonacato, oggi segnato da improprie cornici marcapiano, mediante balconi poco aggettanti. Interessante la soluzione del tetto, che lascia un settore scoperto a servizio degli stenditoi, mantenendo però la sagoma strutturale delle travi. Arrivati al limite meridionale del Tuscolano II,su via Selinunte, si raggiunge l'unità di abitazione orizzontale (Tuscolano III),il singolare complesso di alloggi progettato da Adalberto Libera, figura di spicco, già dirigente dell'Ufficio Progetti della Gestione INA Casa e autore degli opuscoli con «suggerimenti e norme» forniti dall'Ente ai progettisti. Un muro in tufo ruvido, coronato da una cornice cementizia dall'andamento spezzato, cinge il complesso, mentre l'ingresso, sottolineato da una pensilina arcuata sorretta da appoggi puntuali, è accompagnato su entrambi i lati da una sequenza di locali commerciali posti (i) a costituire un diaframma tra la strada e il giardino interno, che ancora oggi ha mantenuto il suo carattere collettivo e pedonale. Interne al grande recinto, le case ispirate all'architettura nord africana a corte interna si snodano perimetralmente (j). Vi si accede da vicoli intonacati e tinteggiati, stretti e lunghi, disposti a pettine rispetto al giardino esterno, preceduti da pensiline molto aggettanti, che interrompono, a cadenze regolari, la superficie tufacea del muro verso il giardino evidenziando gli ingressi. Le abitazioni, rivolte all'interno e riunite in gruppi di 4 alloggi, si aprono su patii privati e sono coperte da tetti inclinati. Da notare la reiterata utilizzazione delle tipiche mensole sagomate delle coperture a sbalzo sul fronte retrostante dei locali commerciali, riproposte nei prospetti dell'edificio di alloggi minimi (k). Collocato in posizione asimmetrica all'interno dell'area recintata, esso si innalza su pilotisdalla sagoma accentuatamente appiattita, lasciando il piano terra interamente libero: gli appartamenti, affacciati a ‘cannocchiale' sui due lati mostrano sul fronte principale, un ballatoio continuo, protetto da un leggero parapetto in rete metallica. Da rilevare, nei prospetti retrostante e laterale, i marcapiano che fanno emergere in superficie la struttura in cemento armato e il profilo del solaio di copertura, a doppia inclinazione. Tornati su via del Quadraro, si scorge la vasta area occupata dal Tuscolano I. Diversamente da altri quartieri INA Casa, il complesso non mostra un disegno riconoscibile, essendo costituito da un insieme eterogeneo di edifici progettati da mani diverse, senza alcun tentativo di connessione unitaria. Impera, in molti dei fabbricati, una esasperata ricerca formale, forzosamente contenuta per via delle limitazioni imposte dalla committenza, ricerca che appare meno composta nei progetti firmati dagli architetti rispetto alla maggiore sobrietà perseguita dagli ingegneri. Nell'isolato triangolare all'angolo tra via del Quadraro e viale Spartaco, si sviluppa l'insieme progettato da Giuseppe Nicolosi (l): rigorosi ed essenziali, gli edifici si distaccano dal filo stradale elevandosi su sei piani. I corpi edilizi mostrano prospetti differenziati, caratterizzati da bucature ordinate talvolta alternate a balconi dal fronte pannellato. All'angolo tra viale Spartaco e via Lucio Sestio, si trova l'edificio disegnato da Pietro Barucci (m), caratterizzato dai balconi dal fronte pieno e coronato da una pensilina dal profilo sagomato. Nel tentativo di cadenzare le nude superfici del prospetto, il progettista porta all'esterno la tessitura della struttura portante. Analogo trattamento è riscontrabile nell'edificio di Dall'Olio, su via Sulpicio Rufo (n), qui accentuato dal movimento conferito dall'andamento spezzato del corpo edilizio, assecondato dai balconi a pianta trapezoidale. Prospiciente via Rufo, si stende il sereno edificio in linea di Massimo Castellazzi (o), schermato in origine da lunghi ballatoi che percorrevano l'intero fronte: la chiarezza del loro disegno appare oggi radicalmente mutata per l'inserimento di verande poste a chiuderli parzialmente. Da rilevare i due balconi sul fianco, sigla ricorrente in altre architetture residenziali. Segue, all'angolo tra via Valerio Publicola e via Marco Valerio Corvo, il corpo edilizio a L di Luigi Orestano (p), che ripropone balconi dalla pianta irregolare, rivolti verso il Parco degli Acquedotti; mentre, girando a destra su via Publicola, si scorge la casa isolata di Alberto Gatti (q), che eleva, su un basamento in travertino, un parallelepipedo intonacato ad angoli smussati coperto da un tetto con forte pendenza. Le logge e i balconi appaiono anch'essi addolciti con lo stesso trattamento di linee piegate. All'angolo con via Luscino, i fabbricati ad L di Fioroni (r): ritenuti in origine troppo «freddi ed estranei all'ambiente romano», oggi appaiono pienamente e gradevolmente metabolizzati dal contesto urbano, anche se le cornici marcapiano, non originali, alterano l'aspetto pulito e ordinato del fabbricato. Da non perdere, in posizione assolutamente privilegiata, le case dell'ing. Dinelli (s), poste su via Lemonia e prospicienti lo splendido panorama del Parco archeologico, segnato i