Tre nuovi progetti minacciano l’esistenza di una delle più grandi aree protette fluviali in Europa, a una trentina di chilometri da Milano:

il primo parco regionale istituito in Italia nel 1974. Di che si tratta? Semplice: la realizzazione della terza pista dell’aeroporto internazionale della Malpensa, le trivellazioni petrolifere dell’Agip, lo scolmatore fognario di nord-ovest. Gli xenofobi della Lega tacciono inspiegabilmente. L’affarone merita il silenzio stampa anche degli ectoplasmi al governo che bruciano il tricolore. Dopo il nebuloso avvio di Malpensa 2000, il megascalo che ha distrutto centinaia di ettari di brughiera e provocato le dure e inascoltate rimostranze degli abitanti (440 mila residenti entro i confini dell’area protetta) per il pesante inquinamento acustico causato dal passaggio di 700 aerei al giorno, è in progetto la costruzione di una terza pista di 3 chilometri, in direzione sud-ovest rispetto all’attuale aeroporto. La Sea, sponsor del progetto, ha acquisito 300 ettari del demanio militare. La nuova pista con le relative opere collaterali – strade, ponti, e bretelle autostradali – dovrebbe raggiungere la frazione di Tornavento di Lonate Pozzolo (Varese), dividendo in due il parco regionale. “E’ una pugnalata al cuore dell’area protetta, perchè la taglia in tronconi e limita gravemente il ruolo d’importante corridoio ecologico della valle del Ticino per uccelli e mammiferi” scrive Luciano Saino – ex presidente del parco, dimessosi dall’incarico dopo sei anni di gestione – al presidente del Consiglio Berlusconi e al presidente della regione Lombardia, Roberto Formigoni. “Con la nuova pista non si potrebbe parlare più di Parco del Ticino, ma al massimo di aree verdi per lo svago cittadino”. La nuova opera rischia di produrre effetti ancora più negativi degli impianti finora realizzati, compromettendo definitivamente la continuità dell’ecosistema. Un impatto pesantissimo per le oltre 371 specie di vertebrati e 562 di piante superiori che vivono nell’area fluviale. “Tutto ciò è incompatibile con un parco che ha avuto il riconoscimento dell’Unesco d’area Mab, a elevato patrimonio biologico – argomenta Giulia Maria Crespi, ex presidente del Fai -. La regione Lombardia dichiari apertamente per voce del suo presidente quali sono i programmi per questo storico parco, se i parchi in Lombardia svolgono ancora la funzione per cui vennero istituiti o se qualcosa è cambiato”. Seconda minaccia: la lobby petrolifera. Sembra che l’oro nero in Italia, abbia l’abitudine di farsi trovare nelle “aree protette”: il parco di carta della val d’Agri in Lucania (anno 1998) è una cartina di tornasole della distruzione a mero scopo di profitto economico. Nella valle del Ticino, invece l’avventura petrolifera è iniziata nei primi anni ’80, quando l’Agip ha svolto ricerche petrolifere per verificare presenza e potenziale di un giacimento di petrolio. Le ricerche hanno confermato l’interesse di una zona tra i comuni di Galliate, Trecate e Romentino sulla sponda piemontese del fiume; di Turbigo, Robedetto, Cucciono e Bernate sulla sponda lombarda. E’ nato così il “campo petrolifero Villafortuna Trecate” e nel 1988 sono cominciate le perforazioni a 6200 metri di profondità. La zona è in pieno parco del Ticino. Secondo i tecnici del cane a sei zampe, le trivellazioni non avrebbero comportato alcun pregiudizio all’ambiente. E invece, 16 anni fa, è accaduto uno di quei gravi incidenti che i responsabili dell’Agip consideravano “impossibile”. Il 28 febbraio 1994 sulle risaie e sui comuni della zona comincia a piovere nero: il pozzo TR 24, situato tra i centri abitati di Romentino e Trecate, entra in eruzione incontrollata e la pioggia di petrolio misto ad acqua continua per tre giorni, interrotta non da interventi umani ma da una provvidenziale frana. Il bilancio di quell’incidente è pesante. I terreni sono intrisi di idrocarburi, gli animali selvatici si ammalano e muoiono nell’indifferenza generale. A tutt’oggi nessuno ha ancora valutato l’effetto sulla salute della popolazione che, per giorni interi ha inalato idrocarburi e miscele chimiche. C’è stata la “bonifica”, limitata però a grattare via uno strato superficiale e nascondere il terreno inquinato. Nel frattempo, come se niente fosse, le trivellazioni sono riprese nel cuore dell’area verde, nonostante le documentate proteste dei comitati locali di difesa ambientale. E’ addirittura prevista l’apertura di nuovi pozzi. Terzo fattore inquinante: il raddoppio dello scolmatore, il canale artificiale che scarica nel Ticino la fogna non depurata della parte ovest di Milano, tra le poche città europee a non essersi ancora dotata di depuratori. In teoria, serve a evitare gli allagamenti per le piogge; in pratica, invece, scarica reflui colmi di inquinanti urbani nel fiume, all’altezza di Abbiategrasso; anche per questo il Ticino non è più balneabile. E’ in progetto il raddoppio addirittura della portata di questa cloaca a cielo aperto; e di conseguenza, l’inquinamento nel fiume. La provincia e il comune di Milano hanno sottoscritto un accordo di programma per realizzarla. Sono contrari l’ente Parco e alcuni comuni rivieraschi (Pavia, Vigevano e Abbiategrasso), che hanno fatto ricorso al Tribunale delle Acque di Roma, chiedendo l’annullamento dell’accordo e la revisione del progetto. “Prima occorre analizzare gli scarichi; e, per ridurre il deflusso nello colmatore, si potrebbe utilizzare meglio il deviatore Olona” spiegano. E rendere efficienti i depuratori: solo il 15 per cento dei 28 impianti operanti funzionanti in modo soddisfacente. Per la cronaca e i razzisti della Lega Nord, a partire dal ministro Bossi: Milano inquina il mare Adriatico. Governatore Formigoni interessa l’affare? Allora, sindaco Moratti, Milano è tutta da scolare o è una città del terzo mondo europeo (Borghezio compreso)?

di Gianni Lannes – Italiaterranostra.it

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