1970: Pelé padrone della Rimet, l'Italia nella leggenda e nel caos-staffetta

In Messico, il Brasile dei numeri 10 è campione per la terza volta, azzurri battuti in finale 4-1. La staffetta Mazzola-Rivera, la partita del secolo Italia-Germania 4-3 e quei 6 minuti che sconvolsero il mondo (azzurro). Gerd Muller e Gigi Riva

Messico 1970: la Coppa è consegnata al Brasile, si chiude qui la prima èra del Mondiale di calcio. Dal '74 sarà solo e soltanto Coppa del Mondo. Stava scritto nelle regole: chi vincerà per tre volte la Rimet, se la porterà a casa. Pelé la solleva trionfante al cielo messicano, la Federcalcio brasiliana ne sarà gelosa custode e fa niente -succede- che poi la Coppa sarà trafugata e fusa per ricavarne qualcosa in oro. Ci sono preziose copie che la tramandano ai posteri. Il Brasile tri-campione ha la meglio sulla splendida Italia di Valcareggi, Riva, Rivera, Mazzola e Facchetti. E' un'Italia di grandi firme, dì talenti nell'età giusta: hanno vinto l'Europeo nel '68, hanno cavalcato l'onda della partita del secolo Italia-Germania 4-3, in semifinale, poi sono caduti nella finalissima, stremati dalla fatica supplementare contro i tedeschi e dalla immensa classe di quel Brasile. Sarebbero da dipingere come eroi, e lo sono. E invece no: su quelle meraviglie di azzurro pende, da 48 anni, l'onta della staffetta Mazzola-Rivera e di quei sei minuti finali che l'ex Golden-boy gioca -per castigo?- nella finalissima. Sei minuti che spaccano l'Italia tra i furibondi riveriani e gli accesi anti-riveriani. E anziché celebrare una Nazionale splendente, si va incontro a polemiche, litigi e rimpianti. Che nemmeno i due protagonisti, mezzo secolo dopo, sono riusciti ad azzerare: è la storia intrigante e stravagante del Pallone di casa nostra. 

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IL BRASILE, IL CT ZAGALO E UN GIORNALISTA COME CT
Il Brasile tri-campione del Mondo è la sintesi della sana follia di un calcio, e di calciatori, senza eguali in quel mondiale messicano. E non solo in quello. Per capirci. A costruire e istruire quella squadra c'è Joao Saldanha, che di mestiere fa il giornalista (sportivo), ma è tanto saggio e carismatico da meritarsi la panchina per la ricostruzione della Nazionale sconfitta quattro anni prima in Inghilterra. La sua idea di calcio: prendere i migliori, a prescindere. E lo fa mettendo assieme i cinque numeri 10 delle squadre più forti, e il numero 10 dell'epoca significa essere il migliore. Così ecco assieme Jairzinho (Botafogo), Gerson (San Paolo), Tostao (Cruzeiro), Pelé (Santos) e Rivelino (Corinthians). Cinque registi e goleador che si adattano ai ruoli previsti in verde-oro. A un passo dal Mondiale, però, Saldanha entra in conflitto con le autorità calcistiche, esonero/dimissioni e promozione sulla panchina della Seleçao di Mario Zagalo. Che secondo Feola, suo ex ct, "è stato il calciatore più intelligente che abbia mai calcato un campo di calcio". Zagalo ha vinto due mondiali col Brasile, Zagalo guida quella squadra alla conquista del Mondo: era, e rimane, uno dei miti del Pallone brasiliano. Sarà anche al fianco di Parreira, nel Mondiale vinto nel 1994.

LA STAFFETTA MAZZOLA-RIVERA, VALCAREGGI RISOLVE COSI'
L'Italia del '70 è una Nazionale di grande respiro: tecnico e agonistico. Albertosi, Burgnich, Facchetti, Bertini, Rosato, Cera, Domenghini, Mazzola, Boninsegna, De Sisti, Riva. E Rivera. Il dodicesimo uomo, nonché miglior talento che il calcio italiano abbia espresso negli Anni '60-'70, per qualcuno di sempre, ma qui si entra in un campo minato. Quella Nazionale, guidata da Ferruccio Valcareggi, mite e saggio tecnico federale, è figlia dell'umiliazione coreana. "Uccio" guida  il gruppo fuori dai tormenti coreani. Subito. Vincendo l'Europeo nel '68, che si gioca in Italia. e adattando quel gruppo di talenti al calcio all'italiana, solidissima difesa e micidiali contropiede. La prima parte del Mondiale è tutt'altro che nobile: due 0-0 contro Uruguay e Israele, e lo striminzito 1-0 con la Svezia, gollonzo di Domenghini. Proprio la foto del calcio all'italiana che ci evita l'angoscia dello stop al primo turno, è già accaduto troppe volte (tre su tre) nei Mondiali del dopoguerra. Gioca Mazzola, Rivera non sopporta di essere escluso, protesta e Zio Uccio inventa la staffetta per far contenti/scontenti entrambi: primo tempo del Baffo, secondo per il Golden-boy. Si comincia dalla terza partita Italia-Israele, ma è 0-0 e senza effetti collaterali. Si va ai quarti, e qui esplode il mondo azzurro. Il mito di Gigi Riva e a quanto viaggia il pallone da lui calciato in altura si prende la scena e la staffetta funziona che è una meraviglia: l'1-1 del primo tempo contro il Messico e col Baffo in campo diventa un funambolico 4-1 nella ripresa con Rivera che entra, segna e fa segnare. Cosa chiedere di meglio? La semifinale è con la Germania.

ITALIA-GERMANIA 4-3, LA PARTITA DEL SECOLO
E il 17 giugno 1970, a Città del Messico, va in scena quella che diventerà la "partita del secolo": è mezzanotte in Italia, la notte che diventa di un meraviglioso azzurro, ai margini dell'impossibile. A dire il vero, i 90 minuti regolamentari danno un quadro normale. forse anche banale. Gol di Boninsegna dopo 7 minuti, attacchi tedeschi con Seeler, Muller, Overath e Beckenbauer senza soste, contrattacchi azzurri, ma niente. Il cambio Mazzola-Rivera all'intervallo, è la terza volta (sarà l'ultima), non muta il quadro della partita. Fino al 90' tutto tace in zona-gol fino a quando Schnellinger, terzino sinistro che gioca nel Milan, va verso la porta di Albertosi su un calcio d'angolo. E' l'ultima azione ("Stavo prendendo la strada per gli spogliatoi, ormai era finita", dirà negli anni a seguire il difensore tedesco). Morale: calcio d'angolo, pallone spiovente, incertezza italiana, Schnellinger entra in spaccata, è gol. E qui comincia il Mito, quei pazzeschi 30 minuti supplementari. Segna Muller al 4', l'Italia sembra sfinita, sale Burgnich dalla difesa e centra la porta per il  2-2 all'8'. Vola Gigi Riva e il suo sinistro chirurgico sigla il 3-2 al 13'. Seconda parte supplementare: c'è il 3-3 di Muller, un colpo di testa "sporco", Albertosi è battuto, Rivera sulla linea si ritrae e non respinge -come potrebbe- il pallone, Albertosi lo insulta per tanta imperizia, Rivera gli risponde (è leggenda?) così: "Adesso vado a segnare, subito". Palla al centro, Facchetti serve Boninsegna, Bonimba cavalca la fascia sinistra, dal fondo mette la palla al centro dove c'è Rivera che di piatto destro mantiene la... promessa: palla da una parte, portiere dall'altra, è il 4-3 un minuto dopo la rete di Muller. E' la "partita del secolo".

FINALE, IL SOGNO AZZURRO SPEZZATO DALLA FATICA
Tanta Italia, perché non sognare? Il 21 giugno, sempre a Città del Messico, Italia-Brasile. La Gazzetta dello Sport titola così: "Italia in finale, il Brasile non ha ancora vinto". E sotto: "Come battere il Brasile". E' più forte, si sa. Ma non è detto che la maggiore qualità emerga. Il 4-3 ai tedeschi non pone limiti alla speranza. Ma un conto va fatto, e lo si scansa un po': la fatica dei supplementari non potrà scomparire. E così è. L'Italia della finale dura un tempo, diciamo un'ora. L'innalzamento in volo di Pelé per l'1-0 è il prologo all'1-1 di Boninsegna che sfrutta un pasticcio brasiliano in difesa. L'Italia ha anche i palloni buoni per un altro gol, li spreca. Il Brasile del secondo tempo regge i ritmi del primo. Gli azzurri no. Dopo un'ora, il crollo fisico. Gol di Gerson, poi Jairzinho, infine Carlos Alberto per il 4-1 finale. Grande amarezza, ma si andrebbe fieri di quel Mondiale. Invece succede che in quella finale la staffetta Mazzola-Rivera è un'idea accantonata, non si fa. E il debito di una sconfitta si carica sulle spalle di Valcareggi e di una polemica che dura -se vogliamo- da 48 anni.

IL CARISMA DELL'ABATINO, L'ASTUZIA DEL BAFFO E QUEI SEI MINUTI
Italia vice-campione del Mondo. E campionissima nel farsi del male. Succede che all'intervallo della partita, sull'1-1, Gianni Rivera resta in panchina e Mazzola in campo. No alla staffetta. Perché? E succede che al 39' della ripresa di Italia-Brasile, si già è sul 3-1 e ormai è finita, Valcareggi fa entrare Rivera, al posto di Boninsegna. Con lo stesso quesito: perché? L'idea della staffetta, in quella finale, non trova spazio dopo aver offerto lampi di gloria contro Messico e Germania. Ma si può?  Raccontano che il gruppo "mazzoliano" in azzurro (in maggioranza) abbia imposto al ct che i "riveriani" (in minoranza) non sarebbero stati accontentati in occasione della finalissima. Niente cambio nell'intervallo. Valcareggi dirà: "No, così ho deciso io". La verità sta in quelle due fazioni, in una polemica che era già esplosa nelle settimane precedenti, con tanto di accuse pubbliche di Rivera sul suo ruolo in azzurro, e sommi giornalisti schierati. Antonio Ghirelli e Gino Palumbo, paladini di Rivera, "il campione che può dare luce alla mediocrità del nostro calcio... italianista"; Gianni Brera che reclamava la "scarsa muscolarità del golden-boy, noi non ce lo possiamo permettere l'Abatino". Così quando Valcareggi a 6 minuti dalla fine e senza alcuna chance manda in campo Rivera (per Boninsegna) apriti cielo. C'è chi parla di castigo inflitto a Rivera, così c'è anche il suo nome nella sconfitta; c'è chi cita la confusione che a quel punto si è impadronita del ct. Fatto è che quella finale è segnata così, da una polemica furente e senza fine, col ritorno a casa degli azzurri sotto il fuoco degli improperi e degli insulti del vasto mondo riveriano, a Fiumicino. Tanto da doversi riparare -la comitiva azzurra- negli hangar dello scalo romano per evitare il peggio. Ferma restando la "partita del secolo" che -ci mancherebbe- non abbiamo rimosso.

MULLER, IL RAPINATORE DEL GOL
Basso, rotondo, movimenti sgraziati, due gambe poderose, poco veloce nella corsa, rapido nei movimenti brevi. Ha 18 anni quando il Bayern Monaco decide di tesserarlo, per giocare dove sa, in attacco. Ma -dicono - non ha il fisico per farlo, l'idea del centravanti di sfondamento alla tedesca è ben altra cosa. Così è Gerd Muller, un giovane che vuole farsi strada, ma non convince, Per tre mesi resta ai margini della squadra, poi l'infortunio del centravanti titolare induce il tecnico dei bavaresi a schierarlo: e la "prima" la celebra con una doppietta. Da lì, nessuno più lo toglierà dagli undici titolari, sia al Bayern che in Nazionale, perché quel centravanti atipico ha come nessuno il fiuto del gol nell'area di rigore, la rapidità folgorante che gli permette di colpire la palla nei modi più impensati e impossibili, il "rapinatore del gol" appunto, di segnare quasi 600 gol, di vincere tre Coppe campioni, sette scudetti, un Mondiale, un Europeo, con 68 gol in 62 partite. Dieci sono le reti in quel Mondiale messicano che consacrerà nel '74 vincendo il titolo.

CAROSIO-MARTELLINI, L'ALTRA STAFFETTA
E a proposito di staffette: non solo Mazzola-Rivera. Anche le telecronache Rai ne registrano una: Nicolò Carosio e il suo erede Nando Martellini, un cambio a metà della corsa azzurra nel Mondiale che provoca uno sconquasso. Succede dopo Italia-Israele 0-0 e parole inopportune che Carosio non ha mai pronunciato nei riguardi del guardalinee etiope Tarekegn, dopo due gol annullati agli azzurri. Qualcosa sfugge, nei resoconti, ma sono parole pronunciate alla Radio da chissà chi, non in tv. L'ambasciata etiope in Italia protesta senza specificare, così per Italia-Messico e le gare contro Germania e Brasile ci sarà la telecronaca di Martellini, non più Carosio che rimane per le telecronache delle altre gare di alto livello. Le spiegazioni ufficiali recano il segno di un normale e già previsto avvicendamento, l'uno è erede dell'altro, Carosio è quasi ai limiti della pensione. Convincono? No. Tant'è: l'onta di due parole di stampo razzista restano per anni a corredo della voce di Carosio, ma è stabilito che non è vero e la verità è stata scritta in più occasioni, fra articoli e libri che mettono le cose al loro posto. Ferma restando quella staffetta in tv. Forse quella tra Mazzola e Rivera non bastava.

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