E' uno
dei grandi rimpianti della Roma degli anni '60.
La morte, infatti, lo colpisce proprio mentre sta
emergendo prepotentemente e la squadra giallorossa
sembra aver trovato il terminale offensivo a lungo cercato e del quale
rimarrà priva sino all'arrivo di Prati. Forte
fisicamente, dotato di ottimo gioco aereo e doti
acrobatiche, velocissimo (corre i cento metri in
undici secondi netti), la Roma lo rileva con
inusitata lungimiranza dal Genoa, ove pur non
segnando molto ha messo in mostra doti da
primo attaccante di razza, per la bella
cifra di novanta milioni di lire. Oltre alle
doti tecniche, può vantare un carattere
tranquillo, che ne fa un vero e proprio antidivo
e questa si dimostra una garanzia, soprattutto
in una città come Roma. Quando arriva nella
capitale, rappresenta una scommessa, che però
può dirsi presto vinta. Nelle due annate in giallorosso, Taccola esplode ad alti livelli
realizzativi e di rendimento, mettendosi in
mostra come uno degli attaccanti emergenti del
nostro calcio. I tifosi lo adorano: ogni volta
che la squadra torna alla Stazione Termini, dopo
una partita vinta, lo portano letteralmente in
trionfo. Poi, cominciano i guai fisici, a causa
di una tonsillite mal curata. Herrera prende
sotto gamba la cosa e dopo averlo fatto allenare
in condizioni critiche, lo porta a Cagliari
insieme alla squadra che deve giocare
all'Amsicora. E proprio negli spogliatoi, accade la disgrazia: Taccola si
sente male e, nonostante i soccorsi prestatigli,
muore. E' una tragedia inaspettata, anche se in
una sua testimonianza postuma, Marchini affermerà
che al giocatore era stata riscontrata una
anomalia cardiaca, probabilmente congenita, da
parte del dottor Visalli, il quale per questa
diagnosi era stato accusato di incompetenza da
parte di Herrera. Nel nostro paese può succedere
anche questo. |