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L'ULTIMA "PANDA"

Cinque settembre: nella catena di montaggio di Mirafiori si chiude la prima parte della carriera della macchina più amata dagli italiani. Ecco com'è andata.

E COSI' E' FINITA. Venerdì 5 settembre 2003, alle ore 12, l'ultima "Panda" è uscita dalle linee di montaggio di Mirafiori. Color amaranto, versione "1100 Young". Nessun allestimento speciale per l'occasione, nessun clamore, nessuna enfasi. Fossimo in America, l'evento sarebbe stato salutato da una spettacolare festa in onore della pensionata. Figuriamoci, lì fanno le sfilate anche per celebrare i modelli che arrivano primi nella hit parade delle vendite: un'occasione del genere, l'ultimo atto di una macchina che ha segnato il comune sentire di una nazione per ventitrè anni, non se la sarebbero fatta scappare. Avrebber organizzato un servizio fotografico sulla linea, con le maestranze allegre intorno alla macchina vestita a festa. Oppure, qualche giorno dopo, una cerimonia in concessionaria per la consegna a un orgoglioso cliente. A Torino, invece, non c'è stata enfasi: da queste parti non usa. La macchina è arrivata al termine della catena e il solito addetto ha fatto il gesto ripetuto per milioni di volte, salendo al volante e avviando il motore per portare l'auto al piazzale, da dove è partita per il proprio destino. Dietro di lei, il vuoto. A quel punto possiamo presumere che una mano avrà girato l'interruttore e tolto la corrente alla linea, arrestarsi con la lenta inerzia dei macchinari pesanti. E le luci si saranno definitivamente spente sulla catena. Tra qualche tempo, un signore di Potenza - il posto dove è statisticamente più probabile che finisca una "Panda" - mostrerà l'auto agli amici vantandosi: "Sapete, questa è l'ultima che hanno prodotto...". Sarà il definitivo, umile epitaffio per un'auto che se n'è andata come è sempre vissuta: sottotraccia, senza mai farsi troppo notare, ma sempre lì, pronta a tenere in piedi la squadra quando i risultati mancavano. Una vita all'insegna dell'understatement, come direbbero gli inglesi. Una vita da mediano, come direbbe Luciano Ligabue. Dopo quattro milioni e mezzo d'esemplari prodotti dal 1980 al settembre del 2003, con il culmine raggiunto nel 1988 (326.159 unità costruite, per gli amanti dei numeri), la "Panda" muore e rinasce nel nuovo modello, a cui si è deciso di assegnare il nome storico, perchè in Italia lo ricoda d'istinto il 90% delle persone (le auto "normali" non vanno oltre il 40%).

La macchina va a rifarsi una vita in Polonia e a Torino si chiude un'era, segnando il progressivo allontanamento del baricentro industriale della Fiat dal proprio quartier generale: una tendenza che ha aspetti critici per l'occupazione dell'impianto di corso Unione Sovietica, ma dolorosamente inevitabile per un gruppo che deve abbinare la necessaria razionalizzazione produttiva con le ambizioni mondiali. Tra l'altro, l'emigrazione in terra polacca suona vagamente beffarda per una macchina che più di ogni altra è stata identificata come in Italia: mentre la sorella "Punto" è sempre stata una vettura dalla forte connotazione internazionale, la "Panda" sin dall'inizio ha preferito giocare sui campi di casa, dove ha potuto contare su una fedeltà a tutta prova (il tasso di fidelizzazione,

ovvero i clienti che cambiavano il modello vecchio col nuovo, è sempre stato attorno a uno strabiliante 40%). Basta un semplice numero per evidenziare questo attaccamento alla madre patria: nell'ultimo periodo della carriera, l'Italia è arrivata a rappresentare il 94% dei volumi complessivi di vendita del modello. Certo, alcuni fattori hanno inciso notevolmente su questo dato per certi versi unico: nel maggiore mercato europeo, ovvero la Germania, per esempio, la "Panda" non veniva più venduta da qualche anno per scelta della Fiat, dopo che un crash test condotto da un ente privato aveva dato risultati poco lusinghieri. Frustrata all'estero, la "Panda" s'era rifugiata dentro le mura domestiche, continuando, nonostante l'evidente anzianità progettuale, a battagliare fra le più vendute. Ancora a luglio, quando già si parlava della nuova versione, la rude torinese era al secondo posto nella classifica delle auto più popolari da noi, a poca distanza dall'incontrastata regina "Punto" e senza poter contare su un motore diesel (che oggi vale il 50% dell'immatricolazione globale). Macchina uccisa, dunque, non dal mercato, bensì dall'inadeguatezza alle sempre più stringenti normative tecniche, in queste ultime settimane la "Panda" è divenuta l'oggetto del desiderio. Un pò raggelati dal prezzo della nuova (altra macchina, d'accordo, ma il confronto viene naturale quando si parla di soldi), molti clienti sono corsi nelle concessionarie cercando uno degli ultimi esemplari dell'auto. Questione di vil denaro, chiaramente, più che d'improvvisa ventata di collezionismo. Tra promozioni, incentivi alla rottamazione e tassi zero, la "Panda" è l'unica macchina acquistabile con meno di 5000 euro. Meno di un maxi scooter. A fine mese, l'auto scomparirà dal listino e a quel punto anche gli ultimi 5000 esemplari ancora disponibili saranno stati "bruciati". A quel punto, sarà definitivamente conclusa la straordinaria carriera dell'auto italiana per definizione, in grado di schiantare le concorrenti più moderne in quelle zone dove conta la praticità, più che l'apparenza. Un'auto da Italia minore, ideale per Nuoro e Rieti e Sondrio, dove la geniale e talora brutale concretezza della "Panda" ha avuto a lungo la meglio sulle sofisticate, ma delicate, utilitarie straniere. Un'auto, comunque, trasversale: l'hanno guidata Gianni Agnelli (che in uno scintillante 740 dichiarò di possederne dodici) come Antonio D'Amato, presidente della Confindustria, come il forestale del Gran Sasso, a testimonianza che il progetto originariamente chiamato "Tipo Zero" dell'Itadesign e voluto da Carlo De Benedetti nei suoi 100 giorni da amministratore delegato (si parla del 1976...) è stato davvero l'involontario collante sociale di un Paese in cerca di cose buone e semplici. Per molti anni la vedremo ancora sulle nostre strade: non un addio, quindi, ma un arrivederci.

G.L.P. Tratto da: QUATTRORUOTE n°576 Ottobre 2003