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2019/04/30

Antibufala: Franco Battaglia, “L’utopia dell’auto elettrica” e le puttane del clic

In tanti mi state segnalando un articolo a firma di Franco Battaglia, intitolato “L’utopia dell’auto elettrica” e pubblicato su Nicolaporro.it. Lo potete leggere qui su Archive.org senza regalare clic pubblicitari o ranking nei motori di ricerca.

È una collezione di falsi luoghi comuni e di scempiaggini tecniche. Di cretinate come l’asserzione che un’auto elettriche sia “sostanzialmente priva di bagagliaio” (basta guardare una Hyundai Kona o una Opel Ampera-e, senza scomodare il doppio bagagliaio delle Tesla) o come “L’idrogeno [...] non esiste sulla Terra”.

Oppure ancora cretinate come misurare l’autonomia in ore (“una autonomia di 4 ore”). Mancano solo le distanze in litri e i famosi gigabyte di watt e poi siamo a posto. O “la vostra auto, se elettrica, peserebbe almeno il doppio”: chissà come fanno quelli di Hyundai, allora, che offrono la Kona a benzina e anche elettrica con pesi tutt’altro che doppi (1420 kg contro 1818 kg).

O falsità totali come “Scadute le 4 ore, ce ne vogliono altre 4 per fare il pieno”. Io, con la mia vecchietta iOn, ci metto venti minuti, e le elettriche a lunga autonomia recenti si ricaricano completamente in meno di un’ora.

E qui mi fermo, perché Teslaowners.it ha spiegato pazientemente e in dettaglio tutte le imbecillità scritte nell’articolo di Battaglia. Che, se è lo stesso Franco Battaglia professore di chimica a Modena citato qui da Perle Complottiste, non è nuovo ad acrobazie mentali di questo genere.

Faccio fatica a pensare che Franco Battaglia sia così stupido da non documentarsi prima di scrivere falsità manifeste. L’altra ipotesi è che sia perfettamente consapevole di scriverle e che lo faccia apposta per attirare l’attenzione, suscitare polemica e indignazione e così guadagnare clic e visibilità, come stanno facendo in tanti sugli argomenti caldi. E l’auto elettrica è un argomento caldo.

Ci sono purtroppo troppi pseudogiornalisti ai quali non interessa affatto informare o ragionare: interessa solo vendersi pur di ottenere clic pubblicitari o compiacere un editore o uno sponsor economico o politico. Scrivono qualunque cosa pur di infiammare gli animi, fregandosene delle conseguenze. A casa mia questo non si chiama giornalismo. Si chiama prostituzione.


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Come funziona la pubblicità mirata

Credit: Mediacrossing.com.
Questo articolo è il testo del mio podcast settimanale La Rete in tre minuti su @RadioInblu, in onda ogni martedì alle 9:03 e alle 17:03. La puntata è ascoltabile qui su RadioInblu.


Avrete sicuramente notato che quando cercate qualcosa in Google o nei social network, o se fate acquisti in un negozio online o anche semplicemente lo consultate in cerca di un prodotto, subito dopo vi compare dappertutto pubblicità di quello che avete cercato.

Questo è il cosiddetto programmatic advertising, ossia la pubblicità personalizzata di Internet. Tutto comincia quando cliccate su un link e inizia a comparire sul vostro schermo la pagina di informazioni che desiderate. Il sito che state visitando cerca di identificarvi in vari modi, per esempio tramite un cookie: il segnalibro digitale che ha depositato sul vostro dispositivo durante le vostre visite precedenti, se ne avete fatte.

Il sito manda poi le informazioni che ha su di voi al proprio servizio pubblicitario, che cerca se esiste una campagna pubblicitaria interna che corrisponda al vostro profilo personale. Se c’è, visualizza questa campagna; ma se non c’è, avvia un’asta elettronica silenziosa, alla quale partecipano numerose agenzie pubblicitarie esterne, che in maniera completamente automatica fanno offerte in denaro per far comparire a voi la loro pubblicità nel sito che state visitando.

Le offerte di queste agenzie variano in base al tipo di persona che siete, al dispositivo che state usando, a dove vi trovate, alla vostra cronologia di navigazione, al vostro reddito stimato, alla composizione della vostra famiglia, alle regole di spesa decise dagli inserzionisti pubblicitari, e altro ancora.

È per questo che i social network sono una miniera d’oro per le agenzie pubblicitarie: frequentandoli, ci profiliamo da soli, regalando nome, età, indirizzo, situazione sentimentale, interessi e orientamenti. Questa profilazione viene usata per ottimizzare le campagne pubblicitarie. È inutile, infatti, mandare per esempio pubblicità di pannolini a chi non ha figli neonati, mentre è molto vantaggioso poter inviare pubblicità di automobili proprio a chi sta cercando informazioni su un’auto da comperare.

Questa è una personalizzazione che soltanto Internet rende possibile: gli altri mezzi di comunicazione, come radio, TV e giornali, devono per forza proporre la stessa pubblicità a tutti e quindi sono svantaggiati rispetto al programmatic advertising. Di conseguenza, miliardi di euro pubblicitari che prima finivano nelle casse dei media tradizionali oggi vengono raccolti invece dalle agenzie su Internet. È anche per questo che la stampa, in particolare, è in crisi mondiale.

Tornando all’asta silenziosa che avevamo lasciato in sospeso, l’agenzia che la vince offrendo di più si aggiudica il diritto di far comparire il proprio spot pubblicitario nella pagina che state consultando e comunica i dati necessari al sito di partenza, che li usa per caricare e visualizzare la pubblicità selezionata su misura per voi, che finalmente compare sul vostro schermo insieme alla pagina che avevate chiesto inizialmente di visitare.

Tutto questo complesso e invisibile scambio di dati, con relativa asta, si ripete per ognuno degli spazi pubblicitari presenti nella pagina, coinvolgendo centinaia di computer sparsi per il mondo. Eppure tutto il procedimento che vi ho raccontato in tre minuti dura nella realtà circa due decimi di secondo: meno di un battito di palpebra. Tutta questa tecnologia solo per mostrare un spot.


Fonti aggiuntive: Shellypalmer.com, Medium.com.




2019/04/28

Davvero un’auto elettrica produce più CO2 di una diesel secondo uno studio tedesco?

Ultimo aggiornamento: 2019/04/28 23.30. Ringrazio tutti i lettori che hanno contribuito a questo articolo con le loro segnalazioni; siete troppi per ringraziarvi uno per uno.

Mi stanno arrivando parecchie segnalazioni di uno studio tedesco che dimostrerebbe che le auto elettriche produrrebbero più CO2 delle auto diesel.

Lo studio si intitola Kohlemotoren, Windmotoren und Dieselmotoren: Was zeigt die CO2-Bilanz? ed è scaricabile qui (PDF). Ne trovate una sintesi in inglese qui e una sintesi in italiano su Alvolante.it.

Le auto messe a confronto sono specificmente la Mercedes C 220 d e la Tesla Model 3. Il tedesco tecnico è un po’ troppo per le mie capacità; se fra voi c’è qualcuno che si vuole cimentare nella lettura, i commenti sono a sua disposizione.

Questo mini-articolo si basa solo sulla sintesi in inglese, preparata dallo stesso ifo Institute che ha redatto lo studio (ifo va scritto minuscolo, a quanto pare), e su quella di Alvolante.

La sintesi dell’ifo Institute dice che la tecnologia ideale è costituita dai motori termici a gas naturale come transizione verso i propulsori a idrogeno o a metano “verde” nel lungo periodo, perché un motore a gas naturale già oggi produce quasi un terzo in meno di emissioni rispetto a un motore diesel:

“Natural gas combustion engines are the ideal technology for transitioning to vehicles powered by hydrogen or “green” methane in the long term [...] even with today’s technology, total emissions from a combustion engine powered by natural gas are already almost one-third lower than those of a diesel engine”

In altre parole, lo studio propone ben due cambi di tecnologia, con relativi doppi problemi di costruzione di infrastrutture e di smaltimento delle stesse (oltre che delle relative auto arrivate a fine vita). Se vi spaventa l’idea di creare una rete di ricarica per milioni di auto elettriche, provate a immaginare la creazione di una rete di distribuzione di gas naturale e poi un’altra rete per la distribuzione di idrogeno o metano. Non so se gli autori hanno tenuto conto di questo aspetto nel loro studio.

Cosa più importante, questa proposta degli autori vuol dire che chi si appoggia a questo studio per sostenere che possiamo quindi mantenere la situazione attuale senza fare nulla sta contraddicendo lo studio stesso.

Per quanto riguarda invece il confronto di emissioni di CO2 fra auto elettriche e auto diesel, lo studio dice che queste emissioni sono più alte nelle auto elettriche rispetto a quelle diesel se si considera il mix energetico tedesco attuale e l’energia consumata per la produzione delle batterie:

“Considering Germany’s current energy mix and the amount of energy used in battery production, the CO2 emissions of battery-electric vehicles are, in the best case, slightly higher than those of a diesel engine, and are otherwise much higher”

La conclusione dello studio è che il governo tedesco dovrebbe trattare alla pari tutte le tecnologie e promuovere anche le soluzioni a idrogeno e a metano:

“the German federal government should treat all technologies equally and promote hydrogen and methane solutions as well”

Alvolante.it sintetizza lo studio dicendo che la Mercedes diesel

“presenta il miglior bilancio ambientale in tema di emissioni di CO2. Ciò considerando non soltanto quel che avviene sulla strada, ma tenendo conto per la Mercedes anche delle fasi di produzione e distribuzione del carburante e per la Tesla anche delle batterie che fanno funzionare il motore della Tesla e della energia elettrica necessaria per le ricariche. Il risultato di questo calcolo indica che la Tesla 3 è fonte di emissioni di CO2 per un valore tra 155 e 188 g/km mentre la Mercedes C220d non va oltre 141 g/km.”

Tuttavia va notata la precisazione: il dato riguarda esclusivamente le emissioni totali di CO2 e non considera in alcuni modo tutte le altre emissioni nocive o climalteranti dei veicoli.

Per esempio:

  • non tiene conto del particolato emesso da un motore diesel (nelle auto elettriche non ce n’è);
  • non tiene conto degli NOx emessi dagli scarichi dei diesel (inesistenti nelle elettriche);
  • non tiene conto del fatto che durante ogni frenata, un’auto elettrica recupera energia elettromagneticamente, senza buttarla via sotto forma di calore e di consumo delle pastiglie dei freni come fanno le auto non elettriche, rilasciando quindi particolato dai freni;
  • non tiene conto del fatto che il mix energetico delle centrali diventa progressivamente più verde;
  • non tiene conto del fatto che un’auto elettrica, essendo più semplice, ha meno parti soggette a manutenzione e quindi tende a durare di più di una diesel, e che quindi la maggiore generazione iniziale di CO2 per fabbricare la batteria si spalma su un lasso di tempo più lungo;
  • non tiene conto del fatto che un’auto elettrica non ha cinghie, olio, marmitte, filtri, cambio e tanti altri componenti che inquinano e producono CO2 per smaltirli;
  • non tiene conto del fatto che l’auto diesel continuerà a emettere gas di scarico per tutta la propria vita, l’elettrica no.

Questo studio va inoltre considerato anche alla luce di questa analisi del Ministero dell’Ambiente tedesco:



Secondo questo debunking, lo studio dell'ifo Institute sbaglia quando presume che la batteria verrà sostituita dopo 150.000 chilometri (non è così) e presenta un dato non realistico (sottostimato) per le emissioni di CO2 della Mercedes. Anche Focus.de evidenza i numerosi errori di metodo dello studio, compreso quello piuttosto macroscopico di aver confrontato una berlina elettrica ad alte prestazioni con un’auto che, marca a parte, è prestazionalmente ben più modesta. E poi c’è Der Spiegel, che nota altri errori dello studio.

In conclusione: usare questo studio tedesco per dire che un’auto elettrica inquina quanto o più di una diesel e per avere un alibi per non fare nulla è sbagliato. Eppure c‘è chi lo fa lo stesso, come per esempio questo titolo lapidario (copia su Archive.org) basato sullo stesso studio:


La verità, come al solito, è molto più complessa di quanto alcuni vorrebbero presentarla.


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Una Hyundai che usa Windows CE ed esegue qualunque software?

Sapete riconoscere che modello di Hyundai è questo?



Secondo l’autore di questi tweet, queste foto mostrano un pannello di comando di una Hyundai che usa Windows Embedded CE 6.0 ed è dotata di un server telnet. Come se non bastasse, esegue qualunque software al quale venga dato il nome HyundaiUpdate.exe messo su una chiavetta USB. Non c’è alcun controllo di firma crittografica o di autenticazione.

Spero sinceramente che sia uno scherzo e che nessuna casa automobilistica sia così incosciente da aver davvero fatto qualcosa del genere. Ma temo di essere troppo ottimista.


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2019/04/26

Puntata del Disinformatico RSI del 2019/04/26

Ultimo aggiornamento: 2019/04/29 12:15.

È disponibile lo streaming audio della puntata del 19 aprile del Disinformatico della Radiotelevisione Svizzera.

La versione podcast solo audio (senza canzoni, circa 20 minuti) è scaricabile da questa sezione del sito RSI (link diretto alla puntata), qui su iTunes (per dispositivi compatibili) e tramite le app RSI (iOS/Android) o su TuneIn; la versione video (canzoni incluse, circa 55 minuti) è nella sezione La radio da guardare del sito della RSI ed è incorporata qui sotto.

La demo (decisamente poco seria) di Amazon Alexa è a 26:40 circa dello streaming video.

Buona visione e buon ascolto!