Gigi Proietti

«NON faccio satira né politica, non ho mai avuto tentazioni di usare il palcoscenico per mandare messaggi. Il messaggio sono io.

Quello che si crea a teatro è un consenso breve, non serve a formare governi. Dura una sera e finisce lì». Gigi Proietti, gigante del teatro italiano, mattatore, giullare, chansonnier, si prepara al ritorno a Torino, città dove ha lavorato molto nei primi anni Settanta negli sceneggiati Rai di Quartucci e Gregoretti («Feci "Le tigri di Mompracem" un anno prima di Kabir Bedi, ma del mio Sandokan non si ricorda nessuno», ironizza), e dalla quale manca da parecchio tempo. Arriva domani e sabato alle 21 al Colosseo con il recital "C'è gente stasera?", spettacolo-antologia omaggio al varietà "all'italiana", con numeri, gag e canzoni, ma anche al suo personale, vastissimo repertorio.

Scritto, diretto e interpretato dallo stesso Proietti, vede la partecipazione di alcuni ex allievi del Laboratorio: Claudio Pallottini, Loredana Piedimonte e Marco Simeoli, con la direzione musicale di Mario Vicari. Proietti, "C'è gente stasera?" è il tormentone dei teatranti che prima che si alzi il sipario vogliono sapere se la sala è piena. Quella fibrillazione la prova ancora anche lei? «Certo. L'emozione c'è sempre. E la domanda ce la poniamo ogni volta, anche se ora con le prenotazioni on line non è più tanto una sorpresa... Ma il titoloè solo un gioco. È una frase che rende bene l'idea del teatro».

Cosa si deve aspettare il pubblico? «Una serie di numeri che hanno vita propria, tutti legati alla mia storia e al mondo del varietà, da quello più colto all'avanspettacolo. Ci saranno canzoni, momenti comici, balletti e sketch. Elementi che in teatro quasi non esistono più». Si ride anche del presente? «Nei miei spettacoli c'è molta improvvisazione e può capitare che scappi anche la battuta legata all'attualità. Ma in geneale non faccio satira. La realtà è troppo mutevole. Bisognerebbe aggiornare il copione continuamente».

Da uomo di sinistra ed elettore del Pd, come giudica la crisi del centrosinistra e il difficile momento della politica italiana? «Arrivo buon ultimo, è stato già detto tutto. Credo che il Pd debba smetterla con l'autocritica e passare all'azione. A forza di flagellazioni si rischia di consumarsi.

Quanto al Paese, la crisi economica la conosciamo ed è chiaro che la questione è prioritaria. Ma sarebbe anche importante ripensare una nuova cultura per la politica. Tornare alla teoria, ai fondamentali. Oggi i politici sono più in tv che in Parlamento. E il giudizio della rete crea dipendenza, ma è effimero e superficiale».

Ha mai pensato di usare la sua popolarità per creare consenso? «Sì, ma solo attorno a progetti artistici.

In passato le accademie, più di recente lo shakespeariano Globe Theatre che ho creato a Roma, dove per il decennale riproponiamo "Romeo e Giulietta"».

Che ricordi ha di Torino? «Ricordi felici legati soprattutto alla televisione. Alla Rai ho girato bellissimi sceneggiati con Ugo Gregoretti ("Il circolo Pickwick", "Le tigri di Mompracem", "Romanzo popolare italiano", "Viaggio a Goldonia", ndr) ma anche, negli anni Novanta, due fortunate sitcom come "Villa Arzilla" e "Italian Restaurant". È un peccato che il centro di produzione torinese sia oggi così poco utilizzato e disperda il suo patrimonio. Non voglio entrare nella polemica sui mancati investimenti sulla cultura, ma ai giovani attori consiglio questo: siate creativi, inventate nuove forme di produzione e progettualità».

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CLARA CAROLI