Italia-Svizzera. Spostamenti ancora possibili. Ma solo per lavoro

Italia-Svizzera. Spostamenti ancora possibili. Ma solo per lavoro
(ansa)

70mila frontalieri ogni giorno varcano il confine. Molti sono medici e infermieri. Dopo il blocco, ora nessuna restrizione per chi ha un impiego. Da martedì controlli medici anche al Brennero  

MILANO – L’incubo di vedere le aziende svizzere in ginocchio e i timori di un caos legato al blocco dei lavoratori italiani – per la maggior parte lombardi – ai valichi di frontiera. Per più di dodici ore, dalle 22 di sabato alla tarda mattinata di domenica, l’emergenza coronavirus e la conseguente stretta del Governo sugli ingressi e le uscite dalla Lombardia ha generato allarme e confusione anche in Canton Ticino.

Gli effetti del Dpcm varato da Roma non potevano non riflettersi sui 70mila frontalieri che ogni giorno - soprattutto dalle province di Como e Varese – si recano in Svizzera per lavoro: e infatti, inizialmente, sembrava che le limitazioni decise dal governo dovessero imporre uno stop. Con l’impossibilità per la forza lavoro italiana di attraversare il confine e raggiungere il Canton Ticino. Quali fossero le indicazioni da seguire non era chiaro nemmeno agli addetti ai controlli frontalieri. Ma, dopo ore di mediazioni e contatti Roma-Berna – con telefonate e chiarimenti nel corso della notte - la situazione si è sciolta: le limitazioni introdotte sulla Lombardia (e su altre 11 province) non vietano gli spostamenti per comprovati motivi di lavoro.

Tecnicamente, è e sarà questo il lasciapassare che permetterà ai frontalieri di continuare tranquillamente a entrare e uscire dalla Svizzera con rientro in Lombardia. Salvo, ovviamente, che siano soggetti in quarantena o positivi al virus. A certificare il “pass” è una nota esplicativa al Dpcm pubblicata dal ministero degli Esteri. La Farnesina ha chiarito che gli italiani che lavorano in Svizzera “potranno comprovare il motivo lavorativo dello spostamento con qualsiasi mezzo, inclusa una dichiarazione che potrà essere resa alle forze di polizia in caso di eventuali controlli”. Lo stesso vale per le merci. Anche su questo punto i rappresentanti del mondo imprenditoriale, in primis Carlo Bonomi, presidente di Assolombarda, sono stati espliciti nel chiedere al governo di “garantire e favorire la libera circolazione delle merci in entrata e in uscita dalle vaste aree interdette in cui si originano quote decisive del Pil, del lavoro e dell’export italiano”.

Ma vediamo ora come si è arrivati allo sblocco dell’impasse nato dalla bozza del Dpcm. Quando il decreto ha blindato la Lombardia, la politica si è immediatamente attivata per la sorte dei 70mila frontalieri. “Questi lavoratori rappresentano un quarto della forza lavoro del Canton Ticino – spiega Alessandro Alfieri, senatore Pd, di Cunardo, provincia di Varese -. Nelle delicate ore notturne ho subito lavorato affinchè i ministeri di Roma e Berna si parlassero per chiarire le conseguenze del blocco. Alla fine abbiamo avuto le certezze che chiedevamo: i frontalieri che non possono utilizzare il telelavoro o lo smartworking potranno recarsi quotidianamente al lavoro oltreconfine, rientrando, appunto, nella fattispecie delle ‘comprovate esigenze lavorative’.”

C’è un aspetto importante. Molti frontalieri sono medici e infermieri. Gente insomma che dovrà aiutare la Svizzera a gestire l’ondata dell’emergenza coronavirus in arrivo anche lì. La preoccupazione, in questo caso, è legata al fatto che i contratti ticinesi non danno le stesse garanzie di quelli italiani: e questo potrebbe causare un effetto a catena. Che l’emergenza Covid-19 non si trasformi in una selezione per far restare la lavoro solo le figure di cui c’è bisogno, lasciando a casa gli altri. “Abbiamo chiesto alle autorità ticinesi di mettere in campo iniziative simili a quelle italiane per promuovere e facilitare il lavoro da casa anche in Canton Ticino – ha riferito Alfieri.

Va detto infine che gli svizzeri, prima ancora che Roma approvasse il Dpcm, si erano organizzati per tempo: già da venerdì L’Associazione industrie ticinesi aveva ragionato sulla possibilità di non fare uscire dalla Confederazione i lavoratori italiani, obbligandoli a soggiornare in Canton Ticino finchè l’emergenza coronavirus non fosse passata. Un piano sostenuto e chiesto anche dalla Lega ticinese, il partito identitario cantonale che da sempre vede i frontalieri italiani come un fastidio. Alla fine non ce n’è stato e non ce ne sarà bisogno. Almeno per ora.

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Carlo Verdelli ABBONATI A REPUBBLICA
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