«Uccisi la mia amante», il boss Belforte confessa per scagionare la moglie

Venerdì 15 Febbraio 2019 di Mary Liguori
Da sinistra Maria Belforte, Angela Gentile e Domenico Belforte
Sembra un disperato quanto tardivo tentativo di salvare la moglie, la confessione in extremis di Domenico Belforte. Il colpo di scena che se non fosse per i personaggi in ballo sembrerebbe la raggiunta verità dopo ventotto anni di mistero, è arrivato all'udienza che precede la requisitoria. «Ho ucciso Angela perché scoprii che faceva la prostituta. Le diedi appuntamento in zona San Giuliano, a Marcianise, avevo con me una pistola. In realtà non avevo pianificato di ammazzarla, volevo solo spaventarla, ma quando tirai fuori la pistola partì un colpo che la centrò al cuore. A quel punto chiamai Salvatore Giuliano e Domenico Marrocco che mi aiutarono a disfarmi del corpo. Gettammo il cadavere nei regi lagni».
 
La confessione di Belforte è stata resa nota ieri dal pm Luigi Landolfi della Dda di Napoli, il magistrato che ha rispolverato il cold case di Angela Gentile. La donna ebbe una figlia da Mimì Belforte, Gianna, che per questo manteneva lei e la ragazzina, pagandole anche il fitto di un appartamento a Caserta. La donna scomparve misteriosamente il 28 ottobre del 1991 dopo aver accompagnato la figlia a scuola. Dopo la scomparsa della donna, la figlia fu accolta in casa Belforte a Marcianise. Se ne occupò, sorprendentemente, proprio la moglie del boss, Maria Buttone.

Secondo la Dda fu lei la mandante dell'omicidio. Costrinse il marito a far fuori l'amante, col patto che si sarebbe occupata della figlia che lui aveva avuto fuori dal matrimonio, la prova vivente della sua infedeltà. «Doveva farla sparire «senza troppo clamore» perché «tutta Marcianise sapeva» che aveva una figlia con lei e, per questo, lei «aveva perso la faccia nei confronti delle altre donne del clan». Per questo, raccontano i pentiti, Angela fu prelevata da , tre uomini nell'ex parcheggio dell'ospedale dove la sua auto, una Marbella, fu poi ritrovata. Il corpo «fu seppellito a Puzzaniello di Marcianise, vicino ai pilastri della ex Pontello» (nella foto). «Me lo disse Gino Trombetta che all'epoca io nascondevo perché era latitante». Michele Froncillo, nel giugno del 2017, raccontò anche di «aver saputo da Maria Buttone che era stata lei a far uccidere la Gentile» e accusò anche Mino Musone, fedelissimo dei boss Mazzacane, che insieme a Domenico Belforte avrebbe materialmente eseguito la lupara bianca.

Secondo il pentito, anche Musone, come Belforte, aveva all'epoca una relazione extraconiugale e «aiutò il boss perché la sua amante era amica di Angela e temeva che la ragazza potesse spifferare a sua moglie che non solo aveva una tresca ma aveva a sua volta una figlia fuori dal matrimonio». Eliminata Angela, «la Buttone mantenne i patti, sostenne economicamente la figliastra, - continuò il pentito - e le aprì anche un bar, ma non la trattava come i suoi veri figli».

Agli atti d'accusa c'è anche il racconto di Salvatore Caterino che puliva la cella di Belforte in carcere a Torino. Al pm riferì che Salvatore Belforte gli confidò che «la moglie di Domenico aveva voluto soddisfazioni dal marito quando seppe dell'esistenza della ragazzina avuta dall'amante e affermò che i figli non hanno colpe, ma che voleva vendetta nei confronti della madre, e per questo Domenico, su richiesta della moglie, aveva ucciso la donna e aveva fatto scomparire il corpo«. «Salvatore Belforte - aggiunse Caterino - mi disse più volte che non avrebbe mai detto la verità al pm Landolfi». Suo fratello invece ha raccontato la sua verità. Che «salva» la moglie e tira in ballo Giuliano e Marrocco che, essendo morti da tempo, non potranno né confermare né smentire. E il pm già ieri ha fatto capire che andrà avanti. I canali in cui Belforte sostiene di aver gettato il cadavere dell'amante furono dragati un paio d'anni dopo il delitto e del corpo della donna non c'era traccia.

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