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«Mazzega uccise la fidanzata Nadia per abnorme desiderio di possesso»

Le motivazioni della sentenza sull'omicida friulano che poi si è tolto la vita

UDINE Aveva mentito dopo l’omicidio, fornendo una versione fasulla delle modalità di soppressione di Nadia Orlando e una spiegazione non veritiera delle ragioni che lo avevano spinto a farlo, e anche il pentimento manifestato più di due anni dopo in aula, a poche ore dalla lettura del verdetto di secondo grado, era parso tutt’altro che autentico ai magistrati. «Parole vuote», le aveva giudicate la Corte d’assise d’appello di Trieste ritirandosi in camera di consiglio, e tali ha continuato a considerarle anche dopo il tragico gesto con cui Francesco Mazzega si tolse la vita, il giorno dopo la conferma della condanna a 30 anni e la riserva sulla richiesta di trasferirlo in carcere. Un epilogo, il suicidio, che l’imputato aveva forse immaginato quando, in quelle stesse dichiarazioni spontanee, ai giudici aveva detto anche di pensare che «soltanto scomparendo», avrebbe potuto «lenire il dolore provocato a tante persone».

È una storia, quella riportata anche dal Messaggero veneto, che produce sofferenza da qualunque parte la si guardi quella del delitto compiuto la sera del 31 luglio 2017, a Dignano. Nadia, la vittima, aveva 21 anni, e Francesco, il fidanzato reo confesso, 37. La notte dello scorso 30 novembre è stato lui stesso a farla finita, appendendosi a un albero del giardino di casa, a Muzzana del Turgnano, dove i genitori si erano resi disponibili a ospitarlo, ai domiciliari con braccialetto elettronico. «All’indomani della pronuncia della decisione di questa Corte è pervenuta la notizia dell’atto suicidiario dell’imputato – scrive in grassetto il presidente estensore Igor Maria Rifiorati, nelle motivazioni della sentenza d’appello depositata l’altro giorno –. Preso dolorosamente atto del tragico epilogo della vicenda, si dà doveroso conto delle relative ragioni».

Un paragrafo è dedicato alle bugie dell’imputato. La corte ci si sofferma, per spiegare la decisione di respingere la richiesta della difesa di concedergli le attenuanti generiche e quindi una riduzione della pena. «Mazzega ha mentito quando ha parlato di una stretta al collo e ha taciuto del tutto del soffocamento – così nella sentenza –. Ha mentito quando ha correlato la sua reazione violenta alla rivelazione da parte di Nadia di un tradimento, che è stato poi ampiamente smentito. E ha mentito anche sullo spegnimento del cellulare proprio e di Nadia: menzogna che conferma che il lungo girovagare notturno, con affianco» il cadavere, «fosse giustificato dalla necessità di prendere tempo e pensare come limitare le conseguenze».

Da qui anche i dubbi sul pentimento. Respinta anche la richiesta di spostare l’omicidio dall’alveo della volontarietà a quello della preterintenzionalità. Riqualificazione insostenibile, per l’assise d’appello, se solo si considerino «la consapevolezza» delle conseguenze derivanti allo strozzare e poi soffocare la vittima e «il comportamento antecedente e quello successivo». Centrale anche la valutazione dell’attenuante prevista in caso di vizio parziale di mente dell’imputato, su cui pure la difesa aveva puntato e che i giudici hanno escluso, negando l’esistenza del «benché minimo elemento per anche lontanamente ipotizzare la ricorrenza di un’infermità o di un disturbo della personalità di intensità e gravità tali da seriamente incidere sulla capacità di intendere e di volere dell’imputato».

A spostare l’ago della bilancia del gup di Udine verso il massimo della pena era stato in particolare il riconoscimento dell’aggravante dei motivi abietti e futili. Il copione si è ripetuto a Trieste. Scartata l’ipotesi di qualche movente passionale, come aveva cercato di far credere Mazzega (attribuendo la causa alla presunta confessione di un tradimento), la Corte ha ribadito «non doversi parlare di gelosia o di passione, tantomeno ovviamente di amore». «Mazzega uccide Nadia perché gli ha confermato la fine della loro relazione – così la sentenza –, gli ha notificato la propria scelta di libertà, gli ha fatto intendere che non voleva continuare a essere il suo “zerbino”». Già, «Nadia mi diceva che aveva mille idee in testa», dice l’imputato, e questo lui non lo poteva tollerare. «Col risentimento sordo, ancora ben presente in lui, per l’affronto ricevuto« Mazzega «uccide, per abnorme e ingiustificato desiderio di possesso, per impedire a Nadia di autodeterminarsi liberamente, per punirla dell’offesa».— 

 

Pubblicato su Il Piccolo