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NATASHA ZVEREVA, LA RIBELLE DELLE CAUSE VINTE

Parigi. 4 giugno 1988. Sono stati sufficienti 34 minuti di tribolazione per far entrare Natalia Zvereva nella storia del tennis come la giocatrice capace di subire la sconfitta più veloce nella finale di una prova del Grande Slam. Questo è il tennis, uno sport spietato. Prendere o lasciare. Quando le viene consegnato il piatto della seconda classificata, la russa ha le lacrime agli occhi e, nella rinuncia di pronunciare qualche parola al microfono, trasuda l’umiliazione di una diciassettenne rassegnata a recitare la parte dell’agnello sacrificale da immolare agli Dei del tennis per auspicare la corsa verso il Grande Slam dell’implacabile valchiria tedesca, una Steffi Graf che dopo aver siglato la pratica con un perentorio 6-0 6-0, le riserva una manciata di parole consolatorie. Poco importa se solo due anni prima, Natalia ha conquistato i titoli juniores al Roland Garros, a Wimbledon e agli US Open, se da almeno un anno viene dipinta come l’anti Graf del futuro, se per arrivare fino a quel fatidico ultimo atto ha sconfitto tenniste del calibro di Helena Sukova e Martina Navratilova, se da lì a poche settimane sarà numero otto del mondo; la miseria di tredici punti conquistati in 34 minuti di mattanza sono ampiamente sufficienti per appiccicarle addosso l’etichetta diperdente”.

Una nomea rafforzata dal suo carattere timido, introverso, dal suo modo di stare in campo, lo sguardo sempre un po’ abbassato, le spalle appena ricurve, mai una lamentela durante le fasi del gioco, mai un’esultanza dopo una vittoria. Una mancanza di popolarità che si estendeva anche alle colleghe dato che, quando non era solita faticare sul campo da tennis, si eclissava da tutto e da tutti per starsene in disparte a leggere e rileggere i romanzi del suo autore preferito, Fedor Dostoevskij. All’epoca Natalia era una ragazzina ipersensibile, indottrinata da papà Marat, un ex calciatore poi diventato il suo coach, succube della Federazione Sovietica, rea di sottrarle quasi il 90% dei premi in denaro vinti, che soffriva la distanza che la separava dalla madre Nina, a cui non era stato concesso il “visto” nemmeno in occasione della finale al Roland Garros.

E poi venne la finale ad Hilton Head. Nell’aprile del 1989 Natalia non era cambiata tanto, aveva ancora i capelli cortissimi, era ancora magrolina e durante le interviste rispondeva sempre a monosillabi. Così come in Francia, anche in South Carolina, dall’altra parte della rete si ritrova in finale Steffi Graf e, pure stavolta rimedia una stesa non da poco, 6-1 6-1 in nemmeno 50 minuti durante i quali Natalia non fa un piega mentre la tedesca, dopo averle inflitto l’ennesimo supplizio, si mantiene di poche parole e, tra quelle poche, non ce n’è nessuna per l’avversaria. Più o meno le solite cose. Finché, durante la cerimonia di premiazione, viene consegnato l’assegno di 24.000$ alla sconfitta. Natalia Zvereva lo prende in mano, lo solleva e, rivolta al pubblico, bisbiglia: “Questo per me non è niente. E’ solo carta”. Ed ecco che un silenzio surreale sembra trasfigurare le tribune del centrale di Hilton Head nella platea del Royal Albert Hall di Londra dopo aver sentito Lawrence Oliver contorcersi nel fatidico: “Essere o no essere, questo è il dilemma!”. Non solo tutto il pubblico statunitense, anche il leggendario Bud Collins che aveva commentato il match per la NBC; un uomo che aveva sempre qualcosa da dire, e che matematicamente coincideva con qualcosa di giusto, non sa proprio cosa aggiungere al cospetto di quelle parole, pronunciate da una diciottenne che in quell’istante aveva iniziato la sua battaglia personale contro l’Unione Sovietica.

Conflitto che sfocia in guerra aperta quando Natalia firma un contratto con l’agenzia Pro-Serv, affinché filtri e gestisca i suoi guadagni. Un’insurrezione, che spinge i suoi connazionali ad accusarla di tradimento mentre lei durante un’intervista spiega, con aria quasi colpevole, di essere forse “una ribelle, ma con una causa”, con un motivo: potersi comprare con i suoi soldi una Mercedes rossa. Una voce, quella dell’allora numero 5 del mondo, che si fa sentire al momento giusto, perché da lì a poco tutto muore o meglio risorge, la cortina di ferro si spezza, l’Impero Sovietico crolla, alla Bielorussia, nella cui capitale, Minsk, la Zvereva è nata il 16 aprile del 1971, viene riconosciuta l’indipendenza. E, insieme alla decisione di abbandonare il nome Natalia, per diventare Natasha Zvereva, a poco a poco, l’ex perdente che aveva osato sfidare il comunismo, si trasforma in una ragazza spigliata, spontanea, espansiva; una numero uno.

Ridiscesa dal Calvario parigino, la Zvereva ha proseguito per la sua strada tra alti e bassi, senza mai riuscire a trovare quell’acuto che le scrollasse definitivamente di dosso i fantasmi del “Court Philippe Chatrier”, tanto da riuscire a conquistare il suo primo titolo WTA il 7 gennaio del 1990 a Brisbane, per poi ripetersi la settimana dopo a Sydney. E così, mentre inizia ad aggiudicarsi i primi titoli del Grande Slam in coppia con l’ex connazionale diventata lettone, Larisa Savchenko, lo spettro del fallimento continua ad aleggiare sulla carriera da singolarista al punto che, la semifinale sfiorata per un soffio a Wimbledon, dopo essersi “auto annullata” un match point con un doppio fallo contro Gabriela Sabatini, la fa piombare in un’allarmante crisi di risultati. Precipitata oltre la ventesima posizione del ranking, per riuscire a raggiungere un altro quarto di finale, la Zvereva deve attendere il 1992 quando, al Roland Garros, incontra e perde contro Steffi Graf, questa volta però con il punteggio di 6-3 6-7 6-3 dopo quasi due ore di lotta. Una stagione, quella del 92’ che si rivelerà magica per la bielorussa che, proprio dai French Open, insieme a Gigi Fernandez da inizio ad uno sodalizio che le renderà una delle coppie più vincenti della storia del tennis.

In campo eravamo come il fuoco e il ghiaccio”, ha dichiarato Gigi Fernandez quando, nel luglio del 2010, è stata inserita insieme a Natasha nellaInternational Hall of fame”. Un insediamento il loro, coronato da 39 titoli WTA tra cui 14 prove del Grande Slam, consistenti in 2 Australian Open, 5 French Open, 4 Wimbledon e 3 US Open, oltre a due Master. Nonostante una striscia di 40 vittorie consecutive in tornei dello Slam; iniziata al primo turno di Parigi 1992, sarà proprio la sconfitta subita in semifinale degli US Open dell’anno seguente, ad impedire alla coppia numero uno del mondo di realizzare il Grande Slam. Un traguardo che stanno per tagliare anche l’anno seguente prima di sbattere contro l’ennesima semifinale maledetta, sempre agli Us Open, questa volta contro le modeste Katerina Maleeva e Robin White. “Io provengo da una ricca famiglia di Porto Rico e sono sempre stata una ragazza viziata, che ama trascorrere il tempo libero in spiaggia, indossare abiti di Armani ed avere al polso un Cartier; Natasha invece veste sportivo, ascolta i Led Zeppelin, è sempre con un libro in mano e appena può non vede l’ora di tornare nella sua cas di Minsk, una fattoria piena di animali”; ha dichiarato Gigi Fernandez a Sally Jenkins. Secondo la nota reporter del Washington Post, vederle insieme nel quotidiano era uno spettacolo ancora maggiore rispetto a quello, assicurato, di quando erano in azione sul campo. Non a caso Natasha aveva soprannominato Gigi, “Beavis”, e quest’ultima aveva contraccambiato chiamando la bielorussa “Butt-Head”; ossia il biondo e il moro del cartone animato ideato da Mark Judge, “Beavis & Butt-Head”. Una coppia spettacolare, anticonformista, incline alla risata quanto al sostenere campagne impegnative, come quella della lotta contro l’AIDS, sorretta dalla promessa che che non si sarebbero mai pugnalate alle spalle”. Una promessa che hanno mantenuto.

Di sette anni più giovane, la Zvereva ha continuato a giocare alcuni anni in più rispetto a Gigi e solo per questo motivo ha vinto un Australian Open insieme a Martina Hingis. Quanto al singolare, l’ultimo successo la bielorussa lo coglie sui campi verdi di Eastbourne, nel 1999. Ma è sull’erba del Centre Court, durante l’edizione di Wimbledon 1998 che Natasha Zvereva arriva molto più vicina di quanto possa sembrare a compiere l’impresa della sua carriera. Dopo aver superato ai quarti Monica Seles, la bielorussa si arrende in semifinale a Natalie Tauziat, lasciando aleggiare il rammarico di vederla contendersi i Championships con la sua nemica Jana Novotna. Visti i precedenti, conditi anche da piccoli screzi, nonché le fragilità caratteriali della ceca, ci sono infatti ottime possibilità che ad alzare il piatto di Wimbledon sarebbe stata la Zvereva. Ad ogni modo, durante il terzo turno della 112esima edizione dello Slam londinese, Natasha Zvereva si è presa l’impareggiabile soddisfazione di battere per la prima ed unica volta in carriera Steffi Graf con il punteggio di 6-4 7-5. E, tra le pieghe della vittoria ottenuta contro la tedesca, corredata da 5 titoli WTA in singolare, 80 in doppio tra cui 18 prove del Grande Slam, si dispiega l’ultima causa sostenuta e vinta da Natasha Zvereva.


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