Scatti d’artista: Gabriele Basilico
luglio 15, 2014 Lascia un commento
“Per tanti anni ho avuto l’alibi che non sapevo bene se avrei fatto un giorno l’architetto o il fotografo.”
(Gabriele Basilico)
L’architettura e la fotografia furono i due grandi amori di Gabriele Basilico, architetto per formazione, ma fotografo per passione.
Attraverso gli spazi urbani egli ritrasse i mutamenti sociali, politici ed economici dell’umanità: metropoli industriali e postindustriali depositate sulla pellicola come cristalli di sale, volti di cemento della nostra storia.
Nato a Milano nel 1944, dopo la laurea in architettura si dedicò alla fotografia del paesaggio industriale e delle aree urbane.
Con i suoi scatti egli compì una profonda riflessione sull’urbanesimo, documentando i flussi di energia che attraversano le forme e le linee della città.
Città come luoghi, ma anche come non-luoghi, contenitori di infinite traiettorie non immediatamente identificabili e riconoscibili. Palazzi, strade, lampioni, grattacieli e fabbriche come malinconiche geometrie, così perfettamente disegnate e vuote di uomini: il silenzio del vuoto che sospende il tempo e trasforma lo spazio in un sentimento.
Il suo primo lavoro impegnativo risale al 1982, quando realizzò Ritratti di fabbriche, un ampio reportage sulle aree industriali milanesi: still life dell’era industriale, scatole immobili segnate dal passare delle stagioni.
“Ho sempre pensato che i miei ritratti di fabbriche nascessero dal bisogno di trovare un equilibrio tra un mandato sociale – che nessuno mi aveva dato, ma che era conseguenza dell’ammirazione che io provavo per il lavoro dei grandi fotografi del passato – e la voglia di sperimentare un linguaggio nuovo, in grande libertà e senza condizionamenti ideologici.”
Per quasi quarant’anni Basilico puntò il suo obiettivo sulle città, riproducendone lo sviluppo e i mutamenti in atto.
Dalla sua amata Milano a Messina, da Roma a Beirut, dalla Normandia alla Toscana: città vissute come luoghi di esplorazioni, di passeggiate, di riflessioni.
Un percorso fisico che è anche un percorso emotivo, sensibile alle sorti del paesaggio e concentrato sugli aspetti della storia dell’architettura.
Attraverso le città e le loro vestigia architettoniche, Basilico pare voler penetrare il mistero delle nostre esistenze: la superficie delle strutture come strumento per sondare la profondità della vita.
“Fotografare per me significa prelevare campioni del mondo reale e metabolizzarli come sostanza necessaria e nutriente della memoria.”
Per Basilico la città è un essere vivente, “un organismo che respira e si espande sopra di noi come un mantello protettivo che ci abbraccia e ci confonde allo stesso tempo.”
Per questo motivo soffia la stessa aria lungo un cantiere di Napoli o in una via di Barcellona, tra i palazzi di Milano o attraverso uno svincolo di Lisbona, un’aria che Basilico tentò di cristallizzare e perpetuare con le sue foto, mettendo ordine nel magma espanso di questo grandioso essere vivente.
Ecco che allora possiamo meglio comprendere la scelta del fotografo di inquadrare non tanto centri storici o angoli caratteristici e pittoreschi, ma aree al limite, decentrate, lì dove la vita si manifesta mentre accade: una superficie in attesa della sua storia da raccontare.
“Non cerco stravaganze o equilibrismi estetici, cose che trovo prive di rispetto verso la realtà. Privilegio lo spazio urbano. E mi interessa aiutare le persone a osservare quello che ci sta davanti. Si vive di immagini ultra accelerate, e la gente non ha più la capacità di vedere, si abitua ad un palinsesto. Così la visione va decostruita, lo sguardo va ripulito per recuperare un’essenzialità.”