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La storia di Chiavenna in breve

 

Posta all'estremo lembo settentrionale di Lombardia, che con la sua valle si incunea nel cantone svizzero dei Grigioni, Chiavenna, "Clavenna" per i Romani, fu un importante centro di transito fin dall'epoca di Augusto tra la pianura Padana e il nord Europa. Costituisce il centro della Valchiavenna, composta a sua volta da tre valli minori: il Piano di Chiavenna a sud, dove anticamente continuava il lago di Como (oggi sopravvive il lago di Mezzòla), la val San Giacomo verso il passo dello Spluga e la val Bregaglia verso il passo del Settimo un tempo (oggi percorso da un sentiero turistico) e verso quello del Maloja, accesso all'Engadina. Quest'ultima valle, infatti, è divisa dal confine di stato, che fu stabilito dall'imperatore Ottone I fin dal 960.

Della romanità di Chiavenna fanno fede due carte stradali romane: l'Itinerarium Antonini e la Tabula Peutingeriana, che registrano pure "Summus lacus" (oggi Samòlaco).

Lo stemma del borgo compare nel XIII secolo con una sola chiave, evidentemente derivando il nome da "clavis", cioè chiave verso i passi alpini, mentre oggi si propende per una base mediterranea "klava" a indicare un abitato fondato su una frana. Nel XV secolo lo stemma sarà completato con due chiavi incrociate, sormontate dall'aquila.

Gli imperatori assegnarono la Valchiavenna, come il resto del territorio della diocesi, ai vescovi di Como, e il comune di Chiavenna, attestato nel 1097, è il primo a comparire nel territorio dell'attuale provincia di Sondrio. Nel 1335 al vescovo subentrarono i Visconti di Milano e quindi gli Sforza, quando Ludovico Maria Sforza detto il Moro, per difendersi dai vicini Grigioni costituiti in repubblica delle tre Leghe, fece costruire le mura di cinta attorno al borgo (1488-1497).

Ma a poco servirono, perché, sconfitto Ludovico il Moro dalla Francia, a questa passò la valle fino al 1512, quando i Grigioni riuscirono a conquistarla. La terranno fino al 1797, con l'intervallo di un ventennio seguito  al cosiddetto Sacro Macello del 1620, durante il quale in Valtellina furono uccisi 400 protestanti. Si trattò di un'insurrezione sanguinosa motivata ufficialmente dalla reazione dei cattolici contro i protestanti (lo erano in maggioranza i Grigioni), in realtà fomentata per motivi politici dalla Spagna, che aveva il ducato di Milano confinante con la Valtellina, e dai nobili valtellinesi, esautorati dalla nobiltà grigione. Non vi partecipò la Valchiavenna, legata ai traffici commerciali con i dominanti, ma ne subì le conseguenze politiche, con l'allontanamento dei Grigioni fino al Capitolato di Milano del 1639.

Il borgo, che era stato dato alle fiamme durante una incursione degli stessi Grigioni nel 1486, risorse a partire dal XVI secolo, quando nacque il centro storico che si vede tuttora, caratterizzato da una strada principale, detta "Paart de mèz" (vie Quadrio, Dolzino, Pedretti), delimitata da case e palazzi a cui si accede da portali in pietra ollàre con date e iscrizioni religiose e morali. Nelle piazze sopravvivono fontane nella stessa pietra locale: da quella cinquecentesca (ma solo relativamente alla vasca ottagonale) del "Cantón" (piazza Pestalozzi) a quella con tazza circolare e sculture del 1732 in piazza San Pietro, a quella tardo ottocentesca di "piaza Növa" (piazza Crollalanza) ecc.

Più o meno parallela alla "Paart de mèz", verso ovest, era la zona artigianale, già servita dal canale derivato dal fiume Mera. Si snoda lungo le vie della Marmirola, al Maglio vecchio, Cappuccini e Molinanca. Sul lato opposto era la zona agricola, servita dalle vie Macolino, delle Agostiniane e Lena-Perpenti. Quest'ultima diventerà zona abitativa a partire dal 1886, quando vi fu costruita la stazione ferroviaria.

Della dominazione grigione rimangono, sulle pareti esterne e soprattutto interne del Pretorio, abbondanti tracce di affreschi dei commissari che ogni due anni venivano inviati dal governo come rappresentanti e giudici, oltre che affreschi sulle case, come quella in via Dolzino, appartenente a un medico riformato, il quale nel 1591 fece decorare la facciata a monocromo con due scene bibliche e, in alto, i re di Francia Enrico III e IV, che fino ad allora si erano distinti nell'appoggio agli ugonotti.

Oltre il fiume, perpendicolare alla "Paart de mèz", si snoda la contrada di Oltremera (via Bossi), fino a una ottantina di anni fa unica via di accesso alla val San Giacomo.

Allontanati i Grigioni nel 1797 dalle truppe napoleoniche, la Valchiavenna entrò nella Cisalpina fino alla sconfitta di Napoleone e dal congresso di Vienna fu aggregata al regno lombardo-veneto, dominato dagli Austriaci, costituendo con la Valtellina la provincia di Sondrio. Nel frattempo, a partire dal 1804, la repubblica dei Grigioni entrava nella Svizzera come cantone. Nel 1861 la Valchiavenna entrò nel Regno d'Italia.

Durante i quasi tre secoli di dominio grigione Chiavenna con la sua valle aveva goduto di un certo benessere, grazie soprattutto alla sua posizione sulla via più diretta tra Milano e il nord Europa. Ciò non fermò il flusso migratorio di parte della popolazione verso altre terre europee, come Austria, Germania, Boemia e Polonia e - da parte di ceti più popolari - verso città italiane, come Venezia, Roma, Napoli, Palermo ecc.

In patria nacque l'industria. In via di estinzione quella della pietra ollàre, con cui si facevano i "laveggi" (pentole per la cottura di cibi) ma anche elementi architettonici (rinascerà a Prosto di Piuro un secolo dopo, dov'è tuttora attiva), in crisi la lavorazione della seta soprattutto per la caduta del mercato inglese, si sviluppò quella del cotone, che nel 1829 a Chiavenna aveva 8500 fusi in funzione e quindici anni dopo occupava 230 operai. Compaiono anche i birrifici, favoriti dalla presenza di acqua leggera e dei tipici "crotti" (luoghi naturali dove la temperatura si mantiene pressoché costante durante tutto l'anno); essi raggiungeranno il numero di nove e nel 1911 saranno unificati nel birrificio Spluga, che fu in funzione fino a oltre la metà del '900. Si aggiungano gli ovattifici, per cui, su una popolazione di 2500 persone, 400 erano impiegati nell'industria locale.

Favorì il traffico internazionale la prima carrozzabile dello Spluga, voluta nella prima metà dell'800 dai dominanti austriaci, ma l'apertura del traforo del Fréjus nel 1871 e di quelli ferroviari del San Gottardo e del Sempione cominciò a segnare la crisi della valle come zona di transito internazionale. Con l'avvento del '900 la popolazione di Chiavenna diminuì del 10%, anche per effetto dell'emigrazione in Europa, ma soprattutto in America e poi in Oceania, peraltro già in atto dalla metà dell'800.

Ci fu tuttavia una rinascita industriale agli inizi di quel secolo con il sorgere di varie ditte, generalmente fondate da persone forestiere. A partire dal 1927 si sviluppò l'industria idroelettrica, che portò in valle alla costruzione di varie dighe e centrali. Dopo le due guerre mondiali Chiavenna si sviluppò verso sud con nuove case e quartieri popolari. Le frazioni di mezza costa come Uschione e Pianazzòla, abitate permanentemente dal XV secolo, cominciarono a spopolarsi.

Oggi tutte le industrie di Chiavenna sono dislocate fuori dal territorio comunale, generalmente nell'area industriale di Gordona, mentre sono in atto attività di valorizzazione turistica, grazie all'ambiente naturale, alle ricche testimonianze storiche e alle preziose opere d'arte qui conservate.

Testi di Guido Scaramellini,  Centro di studi storici valchiavennaschi

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