Villasor (Cagliari)

A cura della SEZIONE SARDEGNA – D.R. Fiorino, M. Pintus


  • Denominazione: Castello Siviller; Castello Alagon
  • RegioneSardegna
  • Provincia: Cagliari
  • Comune: Villasor
  • Ubicazione: via Baronale
  • Epoca di fondazione: XV sec. (1415)
  • Conservazione: da restaurare
  • Proprietà attuale: comunale
  • Vincoli: vincolo soprintendenza
  • Uso attuale: centro culturale polifunzionale (attualmente non fruibile)
  • Come arrivare: Da Cagliari, prendere la SS 131 dir, fino all'uscita Monastir/Ussana/San Sperate/Dolianova/Donori per poi procedere sulla SS466 e dopo sulla SP7. Giunti a Villasor, prendere Via Rinascita verso Via della Pace, svoltare a sinistra alla 1a traversa e prendere Via P. Togliatti, quindi svoltare a destra in Via Baronale.
  • Apertura al pubblico: E' possibile, previa prenotazione, effettuare delle visite guidate al Castello Siviller. Per prenotare è necessario inviare una richiesta scritta, anche mediante fax (070/9647331) al Comune di Villasor, indirizzata alla Responsabile dell'Area Socio-culturale

Informazioni utili su alberghi, ristoranti, servizi:


La storia

Il castello di Villasor,
in provincia di Cagliari, è uno dei rari esempi, in Sardegna, di casa signorile fortificata. Per le sue caratteristiche architettoniche, è facilmente riconducibile alla tipologia della masia, una sorta di fattoria baronale fortificata, evoluzione, di matrice spagnola, della villa di epoca romana. Edificato agli inizi del Quattrocento, il maniero presenta però schemi e moduli costruttivi strettamente legati al secolo precedente, per impostazione formale e per concezione tecnico-strutturale. Nel corso dei secoli essa ha subito profonde trasformazioni legate alle mutate esigenze funzionali, perdendo gradualmente la sua vocazione difensiva a vantaggio di quelle residenziale e agricola.

Il castello Siviller è oggi dislocato in posizione pressoché baricentrica rispetto al piccolo centro di Villasor, in prossimità della chiesa parrocchiale di San Biagio. Castello e chiesa, simboli del potere religioso e laico, hanno costituito un polo di aggregazione, attorno al quale, a partire dal XV secolo, si è sviluppata l’antica villa di Sorres. Villasor, infatti, costituisce un esempio di ripopolamento rurale legato all’iniziativa baronale, in contrapposizione alla volontà dei pastori barbaricini, che, ritenendo ormai acquisito il diritto di utilizzare queste zone per il pascolo, cercarono di impedirne la ricolonizzazione agricola.

Nel 1414 Giovanni Sivilleri, doganiere del castello di Cagliari e procuratore reale, divenne feudatario della ParteIppis. Il re Alfonso d’Aragona concesse in feudo a Giovanni Siviller l’intera Curatoria di Parte Ippis. La carta di infeudazione è datata 27 ottobre 1414, identifica con precisione i confini del nuovo feudo, e stabilisce che il futuro barone aveva diritto di esercitarvi la giustizia di primo grado civile e penale.

Il tentativo di ripopolare il villaggio di Sorres, quasi completamente abbandonato in seguito a pestilenze, carestie e scontri armati, provocò la reazione violenta dei pastori, in quanto la rifondazione dell’antico insediamento costituiva una minaccia per i propri interessi. Forse per questo, nel 1415, Sivilleri chiese ed ottenne l’autorizzazione a costruire una fortezza in prossimità della parrocchiale di Santa Maria, sita nei pressi della strada reale e demolita a metà Ottocento. La nuova fortezza doveva garantire la difesa degli abitanti dalle incursioni barbaricine, nonché da eventuali battaglie tra l’esercito aragonese e quello del giudicato d’Arborea. Inoltre, in ottemperanza a quanto previsto nell’atto di infeudazione, ospitava la residenza del feudatario. La scelta dell’area fu probabilmente influenzata anche dalla preesistenza di una torre con funzione di controllo o dogana, la cui struttura sarebbe stata inglobata nella nuova costruzione e ne avrebbe condizionato lo sviluppo planimetrico. Il castello non fu mai oggetto di conquista e subì un unico tentativo di assedio, a metà del Seicento, durante una controversia tra il marchese Biagio Alagon e Don Agostino Castelvì.

Con la definitiva conquista aragonese della Sardegna, il castello si trasformò rapidamente da baluardo difensivo in residenza signorile, conservando al suo interno alcuni ambienti adibiti a carceri. La proprietà del castello nel XV secolo passò dai Sivilleri ai Besora, agli inizi del XVI secolo fu ereditato da Giacomo Alagon ed elevato prima a Contea (1537) e poi a Marchesato (1594). La famiglia Alagon mantenne il possesso del Marchesato fino al XVIII secolo, quando passò alla famiglia De Sylva, fino all’abolizione del sistema feudale, (1835-1840). Nel XVIII secolo, come è attestato da alcuni contratti di appalto, si avviò la ristrutturazione del castello. Documenti ottocenteschi riportano ulteriori interventi che hanno previsto la demolizione e lo smontaggio di alcune parti, non meglio identificate, che sarebbero state recuperate e utilizzate dal fattore baronale, Giuseppe Pinna, per abbellire e risistemare la propria casa.

Inizialmente, dopo l’abolizione del sistema feudale, il castello ospitò la sede del Mandamento, le sedute del Consiglio e la scuola femminile. A metà del XIX secolo esso era ancora sede del carcere mandamentario, che poco dopo fu dismesso, mentre i detenuti venivano trasferiti nella nuova struttura detentiva di Buoncammino a Cagliari. Negli anni successivi all’Unità d’Italia, la famiglia De Sylva, proprietaria del castello ma residente in Spagna, procedette alla vendita di questo e dei consistenti fondi agricoli ad esso connessi, che furono acquistati dai Cossu, commercianti di Cagliari. La vendita della proprietà alla famiglia Cossu decretò la dismissione definitiva del castello come sede di pubblica utilità, e i suoi ambienti furono destinati a servizio esclusivo dell’attività agricola del nuovo proprietario, accogliendo depositi di granaglie e ricoveri per mezzi e attrezzature.

Nel 1910, identificato come bene di interesse architettonico, è stato vincolato ai sensi della L. 364/1909 e dichiarato ufficialmente Monumento Nazionale. Nel 1923 fu venduto a Cesare Abis, agricoltore benestante di Villasor, al quale nel 1940 fu intimato di sgomberare i locali della casa-forte, in quanto l’uso cui erano adibiti non era ritenuto confacente al valore storico-artistico ad essa attribuiti.

Nel 1985, l’amministrazione comunale ha avviato l’iter per l’acquisto del castello. Nel 1991, il castello insieme alle sue pertinenze è diventa proprietà comunale e già a partire dal 1988, la profesoressa Tatiana K. Kirova ha predisposto un progetto di massima per il restauro, prevendendo un primo intervento su intonaci e murature, pavimenti interni, solai e copertura, e infine la risoluzione dei collegamenti verticali e la sostituzione degli infissi. Successivamente, in seguito al completamento di un organico intervento di restauro condotto tra il 1988 e il 2004, il complesso monumentale è stato adibito a centro culturale, con l’allestimento di una biblioteca e di una mediateca. 
L'architettura

Attualmente i confini della casa-forte si identificano a nord, con la via Castello e una piccola piazza, a sud con una proprietà privata, ad est con la via Cagliari - strada statale 196 - e, infine, ad ovest con la via Baronale. Si accede al lotto attraverso due ingressi, di cui il principale è posto lungo la via Baronale, mentre il secondo è collocato lungo la via Cagliari. Il castello insiste su un’area che copre una superficie di circa 3.000 mq, di cui quasi la metà edificati. Il complesso si compone di un fortilizio principale intorno al quale, nel corso del tempo, sono stati costruiti altri fabbricati a suo servizio, in parte conservati e restaurati e, in parte demoliti durante i diversi interventi susseguitisi verso la fine del Novecento.

Planimetricamente, la fabbrica presenta una configurazione a U, composta da tre bracci che definiscono l’area di una corte interna, chiusa sul quarto lato da un muro. Tale configurazione si sviluppa su tre livelli: piano terra, primo piano e sottotetto. Nel corso del tempo, in corrispondenza del muro a chiusura della corte si erano addossati diversi corpi di fabbrica, alcuni su due livelli, altri ad un solo piano, che sono stati demoliti durante i restauri del XX secolo. Di essi permangono i resti delle fondazioni e le aperture, sulle testate dei bracci nord ovest e sud est, in parte convertite in porte finestre e in parte occluse.

L’ingresso al fortilizio avviene, da sempre, attraverso il portale a tutto sesto che si apre nella facciata principale e che immette, dopo un breve tratto voltato a botte, nella corte interna sulla quale affacciano i locali del piano terra. L’accesso al primo piano avveniva attraverso una rampa di scale ed un ballatoio esterni, originariamente in muratura, sostituiti negli anni Novanta con una struttura in legno e acciaio, recentemente rimossa in quanto gravemente compromessa e inagibile. Questo livello era accessibile anche attraverso un'altra scala, posta sul perimetro esterno della fabbrica, lungo il prospetto sud, anch’essa sostituita alla fine del secolo scorso e recentemente demolita. L'accesso al sottotetto avviene, invece, esclusivamente mediante scale a pioli collocate all'occorrenza. A causa degli agenti atmosferici e dei materiali utilizzati, il ballatoio esterno, realizzato in acciaio e legno lamellare per le travi di sostegno e lastre di basalto per il camminamento, ha subito un deterioramento tale da risultare inagibile e il piano primo è attualmente totalmente inaccessibile.

La configurazione attuale dei fronti esterni è frammentata, definita dalla compresenza di elementi architettonici frutto di riconfigurazioni funzionali alle variazioni d’uso. I fronti prospicienti verso l’esterno sono ritmati mediante cortine merlate con saettiere, poste lungo il coronamento del fronte principale e in corrispondenza degli angoli. Anche l'alternanza irregolare delle bucature, alcune impreziosite da piedritti e architrave finemente lavorati ad arabeschi di gusto gotico-catalano, ed altre di forme più semplici, contribuisce alla peculiare configurazione dei prospetti. Sulla corte interna si aprono altrettante bucature, recanti elementi ornamentali di diverso genere, ma con elementi di decoro riconducibili alla stessa matrice culturale dell'ornato dei prospetti esterni.

Sopra l'arco del portale di ingresso è posto uno stemma lapideo su cui sono rappresentati i simboli della famiglia degli Alagón Arborea de Silva, nata dalla fusione, avvenuta in pieno Settecento, dei due casati. Lo stemma nobiliare, realizzato in pietra calcare, è configurato come un’antica pergamena, sovrastata da una bella corona marchionale. Lo scudo è suddiviso in quattro quadranti: nel primo in alto a sinistra, le sei cocce - ovvero i paramano della spada - a rappresentare gli Alagon; nel secondo quarto, sempre in alto, ma a destra, sono raffigurate le armi dei Siviller e dei de Besora - cinque pali verticali, una fascia obliqua e un leone rampante-; nel terzo quadrante, in basso a sinistra, l’albero eradicato, emblema degli Arborea, ultimo giudicato sardo sconfitto dagli aragonesi, e di cui un Alagon ha sposato un erede; nel quarto ed ultimo quadrante, è ben riconoscibile un castello merlato, a rappresentare la famiglia dei Requesens, di cui faceva parte Isabella, presa in moglie da Martino Alagon. Lo stemma è, inoltre, sovrastato da un’aquila coronata ad ali spiegate a suggello dei legami intercorsi tra le varie famiglie succedutesi.

Al piano terra, gli ambienti del braccio sud ospitano la biblioteca comunale, mentre quelli del braccio nord accolgono la mediateca. Gli ambienti al primo piano sono destinati a sale polivalenti, usate nel passato come sede di mostre temporanee o piccoli convegni. Tra gli edifici intorno al castello, quello posto lungo la via Baronale è adibito a sala consiliare, mentre quello lungo via Cagliari ospita servizi vari.

Da guardare con attenzione

Per una puntuale comprensione della fabbrica, le notizie storiche dedotte dalle fonti indirette sono state incrociate con la lettura stratigrafica delle murature, che ha consentito di redigere una sintesi delle fasi costruttive. Nello specifico, sulla base dell'analisi dei rapporti di relazione tra le varie parti costituenti il manufatto architettonico, supportata da valutazioni derivanti dalla lettura degli spessori murari e delle peculiarità tecnico-costruttive, è stato possibile ipotizzare che la realizzazione del castello sia riconducibile ad una fase costruttiva principale ascrivibile, come è noto, agli inizi del XV secolo. Il cantiere, avviatosi nel 1415, sembra essersi concluso in brevissimo tempo. È verosimile, inoltre, che nell’impianto principale sia stata inglobata una struttura preesistente, con ogni probabilità identificabile col piccolo vano voltato a botte al piano terra. Questo, infatti, presenta numerose anomalie, quali, ad esempio, gli spessori murari, le tecniche murarie impiegate, la copertura realizzata con una volta a botte, oltre al fatto che risulta essere l’unico vano con i muri disposti ad andamento planimetrico ortogonale. Inoltre, va evidenziato che il braccio nord-ovest risulta prodotto dalla ripetizione di tale vano come modulo base. Anche l’analisi tipologico-formale delle aperture sembrerebbe confermare l’ipotesi di un originario cantiere principale, seguito da numerosi rimaneggiamenti e piccole modifiche, legate sostanzialmente ad esigenze funzionali. Alcune delle aperture del castello sono contraddistinte da caratteri formali riconducibili alla cultura costruttiva gotico-aragonese di inizio Quattrocento. Queste, realizzate sulla fronte principale, ma anche su quelle prospicienti la corte interna, presentano caratteri comuni a strutture coeve dislocate nel territorio regionale. In un momento successivo, non databile in termini assoluti ma probabilmente di poco posteriore alla fase di impianto, forse nel tentativo di risolvere fenomeni di dissesto statico, è stata realizzata la giustapposizione dei contrafforti sul prospetto nord est, in corrispondenza dell’area di sedime del quarto braccio, oggi non più presente, e sul prospetto sud-est del braccio nord-ovest. Un quarto contrafforte è posto in corrispondenza dell’angolata ovest, sempre del braccio nord-ovest. In tutti e quattro i casi, è evidente che non vi sia alcuna ammorsatura con la struttura principale, risultando semplicemente appoggiati ad essa, senza continuità nella tessitura e nella composizione muraria. Questa fase di “aggiustamento” ha previsto l’impiego di materiali e tecniche del tutto simili a quelle impiegate per la realizzazione dell’impianto principale. Un altro elemento di rinforzo è costituito dal rinfianco realizzato in corrispondenza del muro nord-ovest del piccolo vano voltato a botte. Con ogni probabilità, esso è conseguente alla destinazione d’uso dell'ambiente a cui si riferisce, sede, come già detto, del carcere mandamentale. Ma è pur vero che le caratteristiche del vano, e in particolare la volta a botte, possono aver indotto comportamenti anomali della scatola muraria, determinando fenomeni di dissesto differenziato, manifestatosi con la deformazione delle strutture murarie ancora ben visibili, nonostante i diversi accorgimenti messi in atto nel corso del tempo. Oltre ai contrafforti murari, infatti, sono ancora in sede alcune catene metalliche, la cui presenza è attestata già nelle foto dei primi sopralluoghi della Soprintendenza. Il confronto tra la tessitura muraria del muro a scarpa del prospetto nord-ovest e quello della fronte sud-est, oggi intonacata ma ben documentata nel repertorio fotografico del cantiere degli anni novanta del Novecento, mette in evidenza l’affinità tra le due tecniche murarie impiegate, avvalorando l’ipotesi della loro contemporaneità. Di contro, tale tipologia muraria si discosta nettamente da quella impiegata per i contrafforti, ascrivibili a una fase successiva.

Bibliografia

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Siti consigliati

http://www.comune.villasor.gov.it/citta-e-territorio/storia-e-cultura/castello-siviller.html

https://www.facebook.com/Gruppo-Castello-Siviller-Marchesato-di-Villasor-1491122754517804/ 


Ricerche, testi e immagini a cura di Valentina Pintus, sezione Sardegna - Giovani