Dalla droga alla politica: le mani della ’ndrangheta anche in Valle d’Aosta

Tra i sedici arrestati un consigliere regionale e un assessore comunale Gli investigatori: procurati voti alle elezioni in cambio di appalti

Le prime indagini della Procura sul voto di scambio in Valle d’Aosta (nella foto Aosta) risalgono al 1996


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Pubblicato il 24/01/2019
torino

«La ’ndrangheta in Valle d’Aosta? C’è da una vita». Parola di Bruno Nirta, esponente di spicco dell’omonima famiglia che, assieme agli Scalzone, controlla i traffici illeciti nella zona di San Luca (Reggio Calabria). Lui ha preferito stare al Nord. Aosta, in particolare. È stato arrestato dai carabinieri del Ros di Torino e del Gruppo di Aosta con altre 15 persone. Compreso un avvocato, Carlo Maria Romeo, in cella per «concorso esterno in associazione mafiosa». E con lui, anche l’ex assessore comunale (ora consigliere regionale) Marco Sorbara e uno comunale (a Saint-Pierre, sette chilometri dal capoluogo), Monica Carcea. Ma qualche politico era anche dentro la cosca. Di più. Secondo gli investigatori, Nicola Prettico è entrato nella ’ndrangheta prima che in Consiglio comunale. Certo, la “locale” mafiosa aostana c’è da tempo. Finora, però, le indagini erano riuscite soltanto a scalfirla. Il meccanismo è sempre lo stesso: la cosca cerca contatti, alleanze e accordi con le imprese locali, ma soprattutto punta a entrare nelle stanze del potere. Baratta voti con appalti, gli appalti portano lavoro, il lavoro porta consenso e accresce i potenziali consensi da manifestare nel segreto dell’urna.

La procura di Aosta aveva già indagato sul voto di scambio. Gli investigatori avevano filmato lo scambio di una busta, annunciato da varie conversazioni intercettate. Nel 1996, i “portavoti” Francesco Raso e Domenico Cosentino erano stati condannati assieme all’allora presidente della giunta regionale Augusto Rollandin. Due anni dopo, la Corte d'Appello ha ribaltato il verdetto: «Non vuol dire necessariamente che i voti dovevano essere “acquistati”, ma può significare che l’attività di propaganda comportava delle spese»

A distanza di dieci anni, la storia si ripete. Cambiano soltanto gli interpreti. I tempi sono cambiati, la sete di contatti spinge la ’ndrangheta a cercare appoggi nella massoneria. Entrare in una loggia poteva essere una soluzione, ma richiedeva tempo. E la “locale” aveva fretta. Meglio fondare una loggia propria. Anzi, perché non osare? Magari fondare una bella “Obbedienza”, per riunire altre logge. Il sogno della “Gran loggia” solleticava Prettico e il sodale Antonio Raso. Di mestiere fa il ristoratore, è abituato a stare in mezzo alla gente. Per questo, sovente era lui il contatto con il mondo politico.

Secondo gli inquirenti, la “locale” di Aosta poteva disporre di un pacchetto di 3-400 voti. Più che sufficienti per condizionare un’elezione comunale, ma anche per fare la differenza in quella regionale. Per capire: il consigliere più votato alle ultime consultazioni è stato Augusto Rollandin, con 3 mila 417 preferenze.

Per gli inquirenti, la rete di contatti, i progetti, il lavoro per accrescere la credibilità non sono legati (soltanto) all’ambizione personale. È tutto nell’interesse della “locale”. Per il potere e gli affari della ’ndrangheta. E questo vale anche per l’idea di un movimento politico unico, basato sul consenso della comunità calabrese. Chiacchierando con un amico, “Tonino” Raso tratteggia il sogno di una “lobby politica”. Basata su un punto fermo: «Ti dico quanti calabresi ci sono in Valle d’Aosta, siamo un quarto della popolazione, siamo 32 mila».

Ma quello poteva essere il futuro. Nel presente, servivano contatti con la politica. “Tonino” bussa a varie porte per offrire voti. Anche a quella del futuro sindaco di Aosta, Fulvio Centoz. Un colpaccio, se fosse andato in porto. Ma lui ha rifiutato.

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