Criminologia

Revenge porn: solo una questione di potere?

Iniziamo col dire che non è sempre revenge porn.
Comunemente, anche per via dei media, si fa riferimento alla pornografia non consensuale come revenge porn: il revenge porn lo troviamo sotto il cappello della pornografia non consensuale ma questa non sempre riguarda casi di revenge porn.
Per pornografia non consensuale s’intende la diffusione illecita di immagini e video a contenuto sessualmente esplicito, destinati a rimanere privati, senza il consenso della persona ritratta, punita dal novello articolo 612-ter del codice penale.
Ma cos’è, quindi, il revenge porn?
È revenge porn il particolare caso di pornografia non consensuale, in cui la diffusione è operata per mano di una persona che è legata a livello affettivo alla vittima, come ad esempio l’ex-partner.
Alcuni autori lo definiscono come un atto in cui l’autore soddisfa la sua rabbia e frustrazione per la rottura della relazione, abusando delle informazioni di cui è a conoscenza o del materiale di cui è in possesso o che ha sottratto, al fine di diffamare pubblicamente la vittima (Halder e Jaishankar, 2013) ovvero di vendicarsi di lei/lui.
Tuttavia, al di là delle specifiche linguistiche, una volta online non è sempre semplice comprendere se a pubblicare le immagini o i video intimi, senza consenso, sia effettivamente stato l’ex-partner, o se queste immagini sono state pubblicate da altri, come forma di molestia sessuale online.
Ultimamente, vista la crescita di questi reati, l’attenzione dei media è incessante ma la pornografia non consensuale è un tema tutt’altro che nuovo.
Esistono ormai tantissimi siti web, forum, gruppi che incoraggiano gli utenti alla pornografia non consensuale ovvero che favoriscono la diffusione dei contenuti, illeciti, con – a corredo – commenti sprezzanti e violenti nei confronti delle vittime ritratte.
Il primo sito web di revenge porn, risale esattamente a dieci anni fa.
Il gestore del sito – di cui volontariamente non si rifà il nome – in un’intervista al noto magazine “The Rolling Stone” rivelò di voler “diventare un boss dei nuovi media alla vecchia maniera – attraverso la droga, le donne e il porno”.
Quest’ultimo lucrava sul desiderio di vendetta di ex-fidanzati e ex-mariti a mezzo di scatti intimi, direttamente forniti da quest’ultimi oppure sottratti attraverso l’accesso abusivo a caselle email private. Ebbene, la sua idea scatenò la furia del web, delle tante donne denigrate sul suo sito, mentre lui guadagnava migliaia di dollari, tanto che fu definito “L’uomo più odiato del Web” (Stroud, 2014).
Tornando al concetto di revenge porn la prima domanda è perché è essenziale distinguerlo dalla pornografia non consensuale?
Perché hanno un’eziologia totalmente diversa.
Sotto l’aspetto criminologico, psicologico e sociale, mentre la pornografia non consensuale, operata da estranei alla vittima o comunque non da persone legate a essa da un rapporto affettivo, rispondono a logiche quali l’arricchimento economico, la noia, la disattenzione, la noncuranza, il revenge porn risponde alla logica del potere e del controllo.
Invero, la diffusione di materiale intimo di chi non si conosce o che si conosce, ma a cui non si è legati affettivamente, è dovuta ai fenomeni dell’oggettificazione del corpo femminile, dell’effetto disinibente del web, della normalizzazione della pornografia.
Nel revenge porn, esattamente come nelle violenze e nelle molestie sessuali, invece, vi è un desiderio di controllo sulla vittima, tanto che viene definita vendetta pornografica proprio perché spesso segue ad un’interruzione del rapporto e, dunque, corrisponde ad una perdita del controllo sul partner.
Quest’ultima necessità di operare potere sulla vittima – che vi si è sottratta e che ormai è sfuggita a quel controllo, pertanto – di gestire e di fatto poter decidere rispetto all’intimità della stessa, rispetto a chi potrà accedere a quell’intimità, nonché la possibilità di distruggere l’esistenza della vittima, riporta l’ex partner in una condizione di oppressore e di detentore del potere.
In questa dinamica, il medium, ovvero il web, opera un ruolo fondamentale, in quanto facilita questo tipo di comportamenti e rende il soggetto più disinibito e de-responsabilizzato.
Per tutte queste ragioni, è ormai opinione della maggior parte della letteratura scientifica sul tema che il revenge porn “dovrebbe essere classificato come un reato sessuale a causa della sua somiglianza con altri tipi di reati sessuali, come l’aggressione sessuale e le molestie sessuali” (Bloom, 2014).
E’ bene ricordare che l’aggressione sessuale non sempre è riconducibile ad un incontrollabile bisogno di gratificazione sessuale, spesso è un atto di dominio maschile sulle donne (Bates, 2016).
Al desiderio di potere, sempre più spesso, si aggiunge l’odio nei confronti delle donne e la necessità di riaffermare ruoli di genere stereotipati che pongono le donne sotto il controllo degli uomini (Chapleau & Oswald, 2010).
Oltre alle cause sottese al revenge porn, un’altra ragione che porta la letteratura criminologica a protendere verso la concezione di quest’ultimo come ad un reato sessuale sono gli effetti sulla vittima. Tra tutti, la vergogna e l’umiliazione pubblica, ma non solo. Gli effetti sulla salute mentale, come depressione e ansia, sono tragici, equiparati ai sintomi del disturbo post-traumatico da stress (Bellfontaine e Irving, 2012).
Interessante, a tal proposito, sono i risultati della ricerca di S. Bates, la quale ha svolto un’analisi delle esperienze di donne che hanno subito revenge porn. Ogni donna in questo studio ha subito un’orrenda invasione della privacy sessuale e spazio personale per mano di qualcuno che amava e di cui si fidava.
Le vittime hanno affermato come questa esperienza abbia loro causato problemi di fiducia, PTSD, ansia, depressione, perdita di controllo e autostima, ma anche vergogna del proprio corpo (Bahadur, 2014; Dupont, 2014).
Non solo. Le vittime avrebbero sviluppato “meccanismi di coping negativo“, come alcolismo incontrollato, automedicazione, negazione e ossessione, in risposta agli effetti negativi sulla salute mentale causati dalla violenza subita.
Alle conseguenze psicologiche sulla vittima, spesso seguono anche eventi quali la perdita del lavoro o problemi nell’assicurarsi un nuovo impiego, nonché il rischio di divenire più facilmente vittima anche di altri reati, quali le molestie e lo stalking, online e offline. (Citron & Franks, 2014).
Inoltre le vittime di pornografia non consensuale, analogamente all’aggressione sessuale, sono spesso investite da una doppia vittimizzazione, ovvero vengono accusate per la loro vittimizzazione, come succede nel caso di pornografia non consensuale o di revenge porn a seguito di sexting (Brown, Warsham, 2012).
Infatti, quando il materiale intimo diffuso illecitamente è stato realizzato direttamente dalla vittima, questa viene spesso additata come meritevole di essere denigrata: come causa del suo male.
Parte della letteratura – ma anche gran parte dell’opinione pubblica – ritiene di dover incentrare la gestione del rischio di vittimizzazione da pornografia non consensuale, puntando sulla prevenzione intesa come “evitare la vendetta” (Gray, 2014).
Certamente, vista la forte connessione tra revenge porn e sexting, parrebbe opportuno qualificare quest’ultimo come comportamento a rischio e, quindi, da evitare.
Tuttavia, questo non deve tramutarsi in attribuzione della colpa alla vittima, assolvendo l’autore di qualsivoglia responsabilità e soprattutto non può essere l’unico strumento per il contrasto a tali reati.
È opportuno domandarsi quanto è diffusa la pratica del sexting?
Da cosa dipende? Come é vissuta tale pratica da chi la pone in essere?
Il sexting è inteso come l’invio consensuale di foto e/o messaggi di testo a contenuto sessualmente esplicito, molto diffuso tra adolescenti e giovani adulti.
In primo luogo, è opportuno sottolineare che non vi sono significative differenze di genere nella frequenza del sexting, tuttavia, gli uomini hanno maggiori probabilità di provare sentimenti positivi nei confronti di questa pratica, mentre le donne hanno maggiori probabilità di andarci caute e sentirsi ansiose a riguardo (Alderson, 2014).
I messaggi e il materiale multimediale vengono inviati prevalentemente a un partner, nuovo o stabile, suggerendo che il sexting è diventato una sorta di nuovo corteggiamento per molti giovani uomini e donne (Freiburger, Hilinski-Rosick, & Headley, 2012), ormai abituati alla dimensione online e troppo spaventati dal contatto fisico.
In tal senso, la campagna nazionale “Prevent Teen and Unplanned Pregnancy” (2008) ha scoperto che oltre la metà delle ragazze adolescenti inviavano immagini e messaggi sessualmente allusivi a causa della pressione da parte di un ragazzo.
Questo studio ci permette di distinguere le motivazioni sottese a questa diffusissima pratica: da un lato la libera volontà di giocare, esplorare, e sperimentare con il partner o con colui o colei che si sta conoscendo, dall’altro la pressione esercitata dal contesto e dal richiedente.
Rispetto al secondo tipo di sentire e percepire la pratica del sexting, riveste un ruolo importante l’oggettivazione sessuale delle donne da parte dei media.
“La costante proposta di immagini sessualizzate e oggettificate, porta i potenziali autori di pornografia non consensuale e di revenge porn a pensare al corpo, in particolare quello femminile, come ad un oggetto di intrattenimento sessuale. Ma non solo. Porta le donne ad auto-oggettificarsi, a convincersi che l’essere attraenti e apprezzate sia possibile solo se coincidente con l’essere sexy e provocante” (Perrone, Brega, 2020).
La concezione della femminilità, che incoraggia le donne ad avere tale comportamento anche quando non le rappresenta (Ezzell, 2008) ha portato ad interiorizzare alcuni concetti quali: bisogna fare sexting, come fosse una performance per dimostrare che si è femminili; la nudità nelle foto deve esserci per essere socialmente accettata.
La rappresentazione degli uomini nei media, d’altra parte, sottolinea l’aggressività sessuale (Schrock & Schwalbe, 2009).
Invero, in molti spettacoli televisivi, film e video musicali, o semplicemente nei contenuti in rete, le donne sono raffigurate come oggetti sessuali, controllate da un uomo potente (Ezzell, 2008).
Questa concezione viene interiorizzata, quindi, tanto da uomini quanto dalle donne, con effetti diversi ma coincidenti.
Ebbene, siamo sicuri che la normalizzazione della nudità femminile porti davvero a qualcosa di costruttivo?
Oppure questa potrebbe, invece, rafforzare l’associazione tra nudità e femminilità e quindi tra corpo femminile e oggetto?
È verosimile pensare che, non tutte le vittime di revenge porn si sentiranno rappresentate dalle campagne contro le violenze di genere che richiamano la libertà sessuale.
Ad esempio, tutte quelle vittime di revenge porn che avranno fatto sexting per compiacere il partner (Branch et al, 2017) si sentiranno davvero rappresentate da questa normalizzazione o le farà sentire ancor più sbagliate?
Tornando alla concezione del revenge porn quale reato sessuale, anche altri autori concordano con tale prospettiva e lo definiscono una “violenza sessuale basata sull’immagine” (McGlynn e Rackley, 2017), affermando che questo sia un continuum della violenza sessuale.
Sulla stessa linea molte ricercatrici internazionali della c.d. criminologia femminista, le quali portano avanti la classificazione della pornografia non consensuale come reato sessuale, ovvero studi volti all’esplorazione delle somiglianze tra aggressione sessuale e, appunto, pornografia non consensuale.
Nel panorama italiano si parla di cyber-stupro, ma cosa s’intende per cyber-stupro?
È una definizione che trova applicazione in vari comportamenti, sebbene riconducibili alle stesse dinamiche causali: dai commenti sprezzanti online su foto di donne, all’abuso verbale diretto, dal web stalking al revenge porn (Striano, 2018).
Ma qual è il ruolo del contesto nel quale questa nuova frontiera della violenza viene perpetrata?
Il web è uno strumento altamente pervasivo e ha in sé capacità di depersonalizzazione, deresponsabilizzazione e deumanizzazione.
Troppo spesso, quando si studiano i nuovi reati online, come quello d’interesse in questo testo, si omette il contesto e le possibili alterazioni percettive subite dagli utenti, a causa delle sue peculiari caratteristiche.
L’anonimato, tra tutte, identificato come il propellente dei comportamenti violenti in rete (Lea e Spears, 2001): invisibili o sotto falsa identità gli utenti danno sfogo ai più primitivi e infimi istinti ovvero a comportamenti devianti, che altrimenti verrebbero socialmente sanzionati.
Ma, in internet vi è una perdita delle sanzioni sociali (Perrone, 2017).
Ecco perché l’anonimato viene progressivamente abbandonato, verso l’“ipertrofia dell’identità Personale” (Striano, 2018): la voglia di presentarsi al mondo.
Sarebbe automatico pensare: ma allora se l’anonimato cade e nel web si è “sé stessi”, i reati dovrebbero diminuire! Questo è quello che credevamo e, invece, non è così.
Questa è la pagina più dura da girare.
L’odio, la violenza, la rabbia, la banalità, la mediocrità sono ormai talmente dilaganti che nessuno teme più la sanzione sociale, perché questa non arriverà!
Come nell’Hate speech 2.0 (Brega, Perrone, 2020), ovvero odiare e offendere il prossimo senza servirsi dell’anonimato, anche il cyber stupro, le molestie sessuali online, ormai normalizzate, vengono perpetrate a faccia scoperta attraverso i propri profili social, in cui prevale la voglia di affermarsi denigrando il prossimo (Perrone, Brega, 2019).
Ciò che era criminale, nel web, è regredito ad un concetto di devianza e ciò che era deviante, sanzionabile e sanzionato socialmente, è regredito ad un concetto di normalità (Perrone, 2017).
Ricoprire di commenti sprezzanti donne, vittime di un ex-partner che ha scelto, arbitrariamente, di cambiare la destinazione d’uso di un materiale intimo, per poi ri-condividere il materiale denigratorio all’infinito, è divenuto un gioco, un passatempo.
L’anonimato non è più l’unica spiegazione: la normalizzazione dell’odio, dell’uso e dell’abuso di informazioni e immagini potrebbe esserlo.

Dott.ssa Giulia Perrone

 

Bibliografia:

  • Bates, S., (2017) Revenge Porn and Mental Health: A Qualitative Analysis of the Mental Health Effects of Revenge Porn on Female Survivors in SAGE Journals, Volume: 12 issue: 1, page(s): 22-42
  • Bloom, S. (2014), No vengeance for “revenge porn” victims: Unraveling why this latest femalecentric, intimate-partner offense is still legal, and why we should criminalize it. Fordham Urban Law Journal, 42, 233-289.
  • Branch et al, (2017), Revenge Porn Victimization of College Students in the United States: An Exploratory Analysis, in International Journal of Cyber Criminology – ISSN: 0973-5089 January – June 2017. Vol. 11(1): 128–142. DOI: 10.5281/zenodo.495777
  • Brega R., Perrone G., (2020) Hate speech 2.0: odiare a faccia scoperta, in https://www.consulenzecriminologiche.com/hate-speech-2-0-odiare-a-faccia-scoperta/
  • Brown-Warsham, S. (2012), sexting rules to avoid starring naked in someone’s “revenge porn.”, in http://thestir.cafemom.com/love_sex/135696/8_sexting_rules_to_avoid
  • Cecil, A. L. (2014). Taking back the internet: Imposing civil liability on interactive computer services in an attempt to provide an adequate remedy to victims of nonconsensual pornography. Washington and Lee Law Review, 71, 2513-2556.
  • Chapleau, K. M., Oswald, D. L. (2010) Power, Sex, and Rape Myth Acceptance: TestingTwo Models of Rape Proclivity, Journal of Sex Research, 47: 1, 66 — 78, First published on: 08 May 2009 (iFirst)To link to this Article: DOI: 10.1080/00224490902954323URL: http://dx.doi.org/10.1080/00224490902954323
  • McGlynn, C., Rackley E., Houghton, R., (2017) Beyond ‘Revenge Porn’: The Continuum of Image-Based Sexual Abuse, Feminist Legal Studies volume 25, pages25–46.
  • Halder, Debarati, &Jaishankar Karuppannan “Cyber Gender Harassment and Secondary Victimization: A Comparative Analysis of the United States, the UK, and India,” Victims & Offenders, 6:4, 386–398. (2011):
  • Hilinski-Rosick, C., Freiburger, T., Headley, R. (2011), Teen Sexting and Social Learning Theory (2011) in https://scholarworks.gvsu.edu/fsdg/401
  • Laird, L. (2013), Victims are taking on “revenge porn” websites for posting photos they didn’t consent to. ABA Journal, 99(1), 1-10.
  • Lea, M., Spears, R., de Groot, D., (2001), Knowing Me, Knowing You: Anonymity Effects on Social Identity Processes within Groups, in «Personality and Social Psychology Bulletin», vol. 27, n. 5, 2001, pp. 526-537.
  • Perrone, G., Brega R., (2019) Cyber odio: normativa, analisi criminologica e rimedi, NEU Nuova Editrice Universitaria, Roma.
  • Perrone, G. Brega, R., (2020) Don’t go viral: revenge porn e cyber bullismo, Tedx Ferrara in https://www.ted.com/talks/giulia_perrone_roberta_brega_don_t_go_viral_revenge_porn_e_cyberbullismo
  • Perrone, G., (2017), L’influenza del mondo virtuale sui minori e la tutela penale, in “Psicologia & Giustizia”, Anno XVIII, Numero Speciale.
  • Stroud, S. R. (2014). The dark side of the online self: A pragmatist critique of the growing plague of revenge porn. Journal of Mass Media Ethics: Exploring Questions of Media Morality, 29, 168-183. doi:10.1080/08900523.2014.917976

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